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Perché non sono cristiano

Bertrand Russell
tr. it. di Tina Buratti Cantarelli
Longanesi, Milano 1979
ISBN:
8878190837

Il 6 marzo 1927 Bertrand Russell (1872-1970) pronunciò, al Battersea Town Hall di Londra, un discorso dal titolo "Why I Am not a Christian", che è rimasto famoso e, tradotto come "Perché non sono cristiano", costituisce la testata di un volume, pubblicato in Italia nel 1960, che raccoglie quindici saggi aventi per argomento la fede e la morale, e rappresenta una delle sue opere più note, in cui egli esprime, in forma fortemente polemica, il suo pensiero, vigorosamente avverso a ogni dogma e a ogni forma di rinuncia. Il volume produsse subito una eco significativa negli ambienti intellettuali europei, e a motivo della statura scientifica del suo autore esercitò una notevole influenza fra gli uomini di scienza, nonché sul loro modo di vedere i rapporti con la religione, il cristianesimo in modo particolare. La voce dedicata a Bertrand Russell, disponibile in questo Portale, offre al lettore una visione di insieme del pensiero filosofico del matematico inglese, ed alcuni spunti in merito alla sua posizione nei confronti della trascendenza e della religione, un tema oggetto di frequenti discussioni con il suo allievo Ludwig Wittgenstein.

Il contenuto dei saggi che compongono l'opera

Nel primo saggio di quest'opera, quello che appunto dà il titolo al libro, Russell, dopo aver chiarito che per cristiano deve intendersi colui che possiede la fede in Dio, nell'immortalità e in Cristo, contesta i vari argomenti addotti per dimostrare l'esistenza di Dio (il ricorso ad una Causa prima, l'esistenza di una legge naturale, tanto in ambito cosmologico come in quello morale), tacciandoli di pretestuosità, infantilismo, gratuità e irrazionalità. Inoltre, per quanto riguarda la persona di Gesù Cristo, egli sostiene che ha enunciato grandi insegnamenti, mai però messi in pratica da alcuno, o ha affermato cose in realtà non particolarmente sagge, basate sulla convinzione di un suo imminente ritorno. L'adesione alla religione, secondo Russell, è spesso frutto di emotività, e il suo fondamento è il timore. La Chiesa avrebbe ritardato il progresso ed il mondo - esorta Russell - va conquistato con l'intelligenza, sapendo valutare sia gli elementi positivi che quelli negativi, non rimpiangendo il passato e non soffocando le capacità razionali con l'ignoranza.

Nel saggio "La religione ha contribuito alla civiltà?" il pensatore inglese, in continuità con il pensiero di Sigmund Freud, ravvisa nella religione una specie di malattia, fonte di indicibili sofferenze per l'umanità. L'aspetto peggiore del cristianesimo sarebbe il suo atteggiamento nei confronti della sessualità, improntato ad un'innaturale morbosità che ha causato soltanto gravi sofferenze, relegando la donna al ruolo di seduttrice e ispiratrice di immonde lussurie e predicando, con vero e proprio sadismo, la necessità della rinuncia e della mortificazione per espiare i peccati. «Forse - conclude Russell - l'umanità è alla soglia di un periodo aureo; ma per poterla oltrepassare sarà prima necessario trucidare il drago di guardia alla porta: questo drago è la religione».

Ne "Il mio credo", pubblicato nel 1925 e che gli costò il posto di insegnamento al City College di New York, Russell espone il suo pensiero sulla posizione dell'uomo nell'universo e sulle sue possibilità di vivere rettamente; esistono forze che conducono alla felicità e altre all'infelicità: per agire saggiamente dobbiamo conoscere sia le une che le altre, anche se non sappiamo quali prevarranno. Egli ribadisce la sua sconfinata fiducia nella scienza ed è convinto che, quando gli uomini avranno conseguito sulle proprie passioni lo stesso dominio che già hanno sulle forze del mondo esteriore, allora finalmente avranno conquistato la libertà.

Chiedendosi poi "Sopravviviamo alla morte?", il pensatore britannico risponde che la continuità del corpo umano è soltanto nell'apparenza e non nella sostanza. La fede in una vita futura non nasce da argomenti razionali, bensì da emozioni, come la naturale paura della morte.

Il saggio "Apparenza e realtà", la cui stesura coincise con il distacco di Russell dalla filosofia hegeliana, è dedicato alla contestazione della metafisica, ritenuta una dottrina vuota e astratta, dalla quale non si può trarre nessuna utile deduzione per la comprensione della realtà e neppure il minimo conforto ai dolori e ai mali della vita. Il desiderio di trovare una sorta di consolazione nella metafisica ha condotto alla disonestà intellettuale, dalla quale potremo liberarci solo allontanandosi dalla religione.

In "Liberi pensatori fra i cattolici e i protestanti", che vide la luce nel 1928, il filosofo delinea la differenza esistente tra il libero pensatore di origine cattolica e quello di origine protestante: per quest'ultimo, l'uomo veramente virtuoso è quello che si oppone all'autorità e alla dottrina ricevute, mentre per il cattolico nella virtù c'è sempre un elemento di sottomissione, non solo alla volontà di Dio, ma anche all'autorità della Chiesa. Ed è per tale motivo che il protestante che lascia una chiesa o una setta è portato a fondarne un'altra, mentre il cattolico, al di fuori della Chiesa, si sente smarrito; costui evita la disputa seria e impegnativa, mantenendosi sul piano del sarcasmo e dell'ironia, mentre il protestante è molto portato alla discussione critico-scientifica.

Ne "La vita nel Medioevo" Russell cerca di interpretare la storia medievale, sgombrando innanzitutto il campo dalle comuni interpretazioni di coloro che vedono nel medioevo un periodo oscuro, quasi di barbarie, oppure lo considerano esclusivamente l'età della cavalleria, o ancora il tempo della devozione, dell'ortodossia, dell'unità di tutto il mondo cristiano. Secondo Russell, per giudicare un'epoca nella giusta luce, si dovrebbe cercare di guardarla con gli occhi di coloro che la vissero. A suo parere, molti aspetti di questa epoca storica possono essere interpretati come un conflitto fra tradizione romana e tradizione germanica, ovvero fra Chiesa e Stato, tra legge e piacere.

Nello studio intitolato "Il destino di Thomas Paine", Russell parla di questo rivoluzionario, poco conosciuto, ma considerato una specie di Satana in terra, la cui importanza consisterebbe nell'aver voluto un'autentica democrazia: egli, nei suoi scritti, si espresse, al contrario di molti filosofi e uomini politici, in forma assolutamente semplice e chiara, tale da poter essere compresa da qualsiasi persona intelligente. Paine fu il primo a sostenere la completa indipendenza degli Stati Uniti; promosse un forte movimento rivoluzionario in Inghilterra e scrisse "I diritti dell'uomo", che fu considerato un testo sovversivo. Incolpato ingiustamente di immoralità e intemperanza, finì i suoi giorni in solitudine.

In "Gente simpatica" il pensatore inglese sottopone ironicamente all'attenzione del lettore una galleria di cosiddetti "simpatici", tra i quali spiccano le zie zitelle, i ministri della religione, le ragazze "carine", gli arricchiti, gli uomini di legge. La gente "simpatica" lascia le cure del mondo a mercenari, ma non delega a nessuno la calunnia, lo scandalo, il pettegolezzo. Di se stessa pensa che avrebbe fatto un mondo migliore di quello creato da Dio, odia la verità, è ipocritamente sensibile e, soprattutto, diffida del piacere ovunque lo intraveda.

Nel saggio dal titolo "La nuova generazione" Russell esamina i mutamenti avvenuti nella psicologia parentale in conseguenza dei cambiamenti economici e scientifici che hanno interessato la famiglia, dove, per esempio, un maggior senso di sicurezza ha sviluppato l'individualismo. In particolare, egli rivolge la sua attenzione alla questione dell'educazione dei bambini, affermando che l'aspetto più carente di quest'ultima è quello relativo alla sfera sessuale: la morale tradizionale instilla nelle menti dei giovani il senso del peccato e fa sorgere assurdi complessi, precludendo la possibilità di vivere un amore felice.

Nello studio "La nostra etica sessuale", il filosofo denuncia il fatto che il sesso è considerato in un modo del tutto irrazionale. La vita moderna rende molto difficile la monogamia, che, in passato, era legata soprattutto all'isolamento e alla superstizione. Matrimonio e paternità devono sopravvivere come istituzioni sociali, tuttavia è necessario trovare qualche compromesso tra assoluta monogamia e completa promiscuità. I due impulsi primitivi che hanno contribuito alla formulazione di un codice morale sono stati la gelosia e il pudore. Muovendosi all'interno di una visione totalmente materialista e istintiva dell'essere umano, Russell sostiene che, rispetto alla morale tradizionale, grandi mutamenti potranno avvenire grazie all'educazione e alla diffusione razionale delle conoscenze sessuali, soprattutto tra i bambini, che devono sapere tutto del sesso e non ricevere mai risposte mistificatorie o false.

L'articolo intitolato "Libertà accademica" fu pubblicato nel maggio del 1940, poco tempo dopo il verdetto che dichiarava Russell "non qualificato" per l'insegnamento al City College di New York. Secondo il pensatore britannico, il vero fondamento della libertà accademica consiste nel fatto che i docenti vengano scelti per la loro competenza nelle materie che devono insegnare, e che a giudicare tale competenza siano altre persone veramente competenti. Inoltre, una delle facoltà più importanti da sviluppare nelle scuole di una nazione democratica è il senso critico degli allievi.

Nel lungo dibattito, originariamente trasmesso dalla BBC, tra Russell e il gesuita Copleston, incentrato sul tema de "L'esistenza di Dio", Copleston sostiene che essa può essere dimostrata con l'argomento ex contingentia , e che solo tale esistenza può rendere comprensibile l'esperienza morale e religiosa dell'uomo. Russell nega la validità della prova addotta da Copleston. Quanto alla morale, egli afferma che non è attribuibile un'origine divina ai comandamenti etici. Il dibattito, che ebbe una certa risonanza nell'opinione pubblica del suo tempo, manifesterà però la superficialità e l'imperizia di Russell nel citare la Scrittura , di cui propone un'esegesi tanto personale quanto infondata.

Nel saggio "Può la religione lenire i nostri affanni?" Russell afferma che la paura spinge gli uomini a cercare rifugio in Dio. Le regole morali che si sono imposte sono basate o su di un credo religioso o sull'utilità sociale. Ma alla domanda se il Cristianesimo abbia prodotto una morale migliore di quella dei suoi oppositori, egli risponde negativamente e ribadisce che il cristianesimo si è costantemente distinto per aver manifestato una chiara inclinazione per la persecuzione.

Lo studio con il quale si conclude il libro è dedicato al tema "Religione e morale". A coloro che dicono che senza la fede non si può essere né felici né virtuosi, Russell ripropone il proprio convincimento che la morale sia più un intralcio che un bene. Basta un credo qualunque per ostacolare la bontà, virtù più importante insieme all'intelligenza, la quale, a sua volta, viene ostacolata dalla credenza nel peccato e nella punizione che ne consegue. Il mondo, secondo Russell, non ha bisogno di dogmi, ma della libera ricerca.

Una valutazione critica

Non è difficile identificare, almeno nelle sue linee generali, la tradizione filosofica che fa da sfondo all'opera di Bertrand Russell qui presa in considerazione: tale tradizione è quella dello scetticismo che, coniugandosi con l'empirismo di cui rappresenta l'esito pressoché obbligato, ha conosciuto un notevole successo specialmente in Inghilterra: i nomi di Guglielmo di Ockham, di Francesco Bacone, di John Locke e, soprattutto, di David Hume appaiono a questo proposito estremamente eloquenti. Di questo scetticismo, Russell eredita pure il tono volutamente lieve, ma non per questo meno distruttivo, il ricorso al cosiddetto senso comune, alla critica apparentemente fondata sul buon senso e sulla saggezza dell'uomo della strada. In realtà, tutto ciò conduce spesso il nostro autore a prendere posizioni vaghe e superficiali, da cui derivano gran parte delle obiezioni mosse al cristianesimo, le quali fanno leva sull'antimetafisica, sulla presunta impossibilità di dimostrare l'esistenza di Dio, su di una lettura affrettata e semplicistica della storia, che conduce Russell a vedere, secondo uno schema affermatosi durante il periodo dell'Illuminismo, nella religione cristiana e nella Chiesa cattolica due forze oscure e reazionarie, nemiche del progresso e della libertà dell'uomo.

Accanto allo scetticismo, è facile ravvedere in Russell l'eredità del positivismo ottocentesco, interprete di una visione emancipatrice del progresso scientifico, capace di liberare l'uomo dalla sua fase infantile e mitologica, dovuta, rispettivamente, al ruolo della religione e della metafisica. È al progresso scientifico e alle forze della ragione, spesso coniugate con una visione dell'uomo istintiva ed antropologicamente riduttiva, che va dunque affidato il compito di condurre l'umanità verso un futuro più felice. La smisurata fiducia nella razionalità scientifica non ha permesso a Russell di considerare con la dovuta attenzione, e con il dovuto rispetto, alcune fondamentali componenti dell'esperienza umana, prima fra tutte quella religiosa. Questa gli è parsa soltanto frutto di arretratezza e di superstizione: di qui anche il gusto della dissacrazione e della provocazione, assai frequente in molte pagine di "Perché non sono cristiano", dissacrazione e provocazione che si sostituiscono quasi sempre ad una critica ben costruita e ben argomentata. Tale atteggiamento si rende molto evidente nel caso delle reiterati e virulenti attacchi che Russell rivolge all'etica sessuale cristiana e, in particolare, cattolica: egli ritiene che i comportamenti morali non possano essere giudicati sulla base di valori assoluti e perciò rimane legato a una concezione relativistica e naturalistica della vita morale, che ai suoi occhi risulta dominata, in ultima analisi, soltanto dai sentimenti e dai desideri (e qui si palesa ancora una volta la sua vicinanza all'empirismo di Hume). L'etica di Russell contiene pertanto solamente un generico appello umanitario e filantropico alla convivenza tollerante e al rispetto del proprio simile (vivo interesse suscitarono le sue sincere convinzioni pacifiste), senza che tale appello venga giustificato sulla base di criteri universalmente e oggettivamente validi.

L'uomo di scienza, in particolare chi pone la logica alla base delle formulazioni e del linguaggio rigoroso - anche del linguaggio secondo cui si può o non si può parlare di Dio - non è obbligato certamente a seguire, per restare fedele al suo metodo, le orme di Russell nella sua critica alla religione. Ne offrirà dimostrazione puntuale Wittgenstein, il quale, partendo dal medesimo contesto scientifico, giungerà, specie nel "secondo periodo", a conclusioni ben diverse di quelle proposte dal matematico inglese. Per Wittgenstein la logica può giungere ad avere una forte valenza etico-esistenziale, fino ad aprirsi alla rivelazione della Trascendenza e al senso che oltrepassa la sintassi della logica, al contrario di quanto dettato dall'atteggiamento laico e neutrale di Russell e dei neopositivisti.

docente di filosofia, saggista