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Lemaître, Georges Edouard (1894 - 1966)

Anno di redazione: 
2002
Dominique Lambert

I. Cenni biografici - II. I modelli cosmologici e l'idea dell'"atomo primitivo" - III. Gli studi di meccanica e di matematica - IV. La visione del rapporto fra scienza e fede: il problema cosmologico - V. Osservazioni conclusive.

I. Cenni biografici

Georges Lemaître nacque a Charleroi in Belgio il 17 luglio 1894. Completati gli studi classici presso i gesuiti, inizia gli studi d'ingegneria all'Università Cattolica di Lovanio. Dopo la guerra 1914-1918, nella quale parteciperà come volontario nella battaglia dell'Yser, decide di cambiare l'indirizzo didattico dei suoi studi iscrivendosi al dottorato in matematica e fisica, e seguendo nel contempo i corsi per il baccalaureato in filosofia tomista all'Istituto Superiore di Filosofia, fondato a Lovanio dal cardinale Mercier. Nel 1920 consegue il suo dottorato (l'attuale licenza in Belgio) in matematica e fisica, dopo aver discusso una tesi sull'approssimazione delle funzioni di più variabili reali, sotto la direzione del celebre matematico Charles de la Vallée Poussin.

Lemaître aveva avvertito una prima chiamata alla vita sacerdotale all'età di nove anni, contemporaneamente al momento in cui decise, assecondando i suoi desideri più intimi, di consacrarsi alla carriera scientifica. Suo padre lo pregò tuttavia di anteporre gli studi universitari al seminario. Così, fu solamente nell'ottobre del 1920 che entrò alla Maison Saint-Rombaut, una sede annessa al Seminario di Malines destinato alle vocazioni adulte, diretto dal canonico Allaer, discepolo del cardinale Désiré Mercier (1851-1926). Durante i tre anni che trascorre alla Maison Saint-Rombaut Georges Lemaître non trascura i contatti con la scienza. I suoi superiori gli permettono di dedicare il suo tempo libero allo studio ed egli ne approfitta per leggere e studiare tutti gli scritti disponibili dedicati alla teoria della relatività: Einstein, Eddington, Pauli, De Donder, ecc. Nel maggio del 1922, termina la stesura di un memoriale intitolato La physique d'Einstein che presenta ad un concorso per una borsa di studio all'estero. Avendolo vinto, può finalmente partire alla volta di Cambridge (Inghilterra) per studiare astronomia, dopo essere stato ordinato sacerdote dal cardinale Mercier il 22 settembre 1923.

Durante l'anno accademico 1923-24, Lemaître riesce a frequentare i corsi di Sir Arthur Stanley Eddington (1882-1944), che avrà un'influenza assai profonda sulla carriera e sull'opera del nostro autore, e quelli di Ernest Rutherford (1871-1937). Alla fine dello stesso anno, il giovane sacerdote si reca negli Stati Uniti all'Harvard College Observatory diretto da Harlow Shapley (1885-1972). Riesce a perfezionare e ad approfondire i suoi studi di astronomia, dedicati in questo momento alle stelle variabili, iscrivendosi al tempo stesso al Massachussets Institute of Technology (M.I.T.) per iniziare un PhD in fisica. Al M.I.T. conosce Norbert Wiener (1894-1964), futuro fondatore della cibernetica. Al termine del suo primo soggiorno negli Stati Uniti, Lemaître ha già acquisito una profonda conoscenza riguardo la teoria della relatività generale e l'astronomia. Inoltre, ha l'opportunità di assistere ad alcune conferenze riguardanti alcune nuove osservazioni circa le distanze e le velocità delle galassie, note a quell'epoca ancora col nome generico di «nebulose». Ascolta, tra le tante, la relazione di Henry Norris Russel sulle scoperte di Edwin Hubble (1889-1953) relative alla misura della distanza della nebulosa di Andromeda, che ne avevano ormai chiaramente definito la natura e la posizione extragalattica, cioè esterna alla via Lattea.

Rientrato in Belgio, nell'ottobre del 1925 è incaricato di tenere alcuni corsi presso la Facoltà di Scienze dell'Università Cattolica di Lovanio. Sino al 1964 vi insegnerà astronomia, meccanica quantistica, calcolo delle probabilità, storia e metodologia della matematica e teoria della relatività. Nel 1926, dopo la sua tesi di Lovanio, propone e discute con successo presso il M.I.T. la tesi dal titolo Il campo gravitazionale in una sfera fluida di densità uniforme e costante, secondo la teoria della relatività, il cui tema di studio gli era stato suggerito da Eddington. In questa tesi, a tutt'oggi inedita, pone le basi per lo studio di un modello di universo non omogeneo a simmetria sferica (universo di Tolman- Lemaître). Il quadro teorico usato nella sua tesi gli permette di unire, in un solo modello matematico, i campi di Schwarzschild (campi gravitazionali attorno e all'interno di una stella sferica di densità costante), l'universo statico di Einstein (universo omogeneo e sferico, di raggio e densità costanti) ed il modello di universo proposto dall'astronomo olandese de Sitter (universo omogeneo e isotropo, ma senza materia).

Le osservazioni di Hubble avevano dimostrato che la recessione delle galassie lontane era proporzionale alla loro distanza, ma agli inizi degli anni venti non si conosceva ancora una spiegazione soddisfacente per tale fenomeno. Weyl e Silberstein avevano dimostrato che un fenomeno del genere si produce in un universo di de Sitter quando vi introduciamo delle galassie sotto forma di "particelle-test" di massa trascurabile. Ma poiché il modello matematico di tale universo lo prevedeva vuoto di materia, esso non poteva descrivere, in termini rigorosi, il cosmo realmente osservato. Lemaître, che su suggerimento di Silberstein aveva studiato in dettaglio l'universo di de Sitter, ebbe l'idea di cercare una soluzione alle equazioni di Einstein che corrispondessero ad un universo sferico, di massa costante e in espansione, la cui variazione del raggio di curvatura potesse render conto della velocità radiale di allontanamento delle galassie lontane. Così, nel 1927, egli mette a punto un modello cosmologico ove il raggio dell'universo cresce esponenzialmente nel tempo, mostrandosi capace di ricollegarsi, nel lontano passato con l'universo statico di Einstein, e nel lontano futuro con l'universo vuoto di de Sitter (cfr. Lemaître, 1927). Per mezzo di questo modello, egli può derivare teoricamente una relazione tra la distanza e la velocità delle galassie che prefigura ciò che diverrà la «legge di Hubble», che trovata sperimentalmente, verrà pubblicata nel 1929.

Quando pubblica il suo articolo più importante, nel 1927, Lemaître ignora che il meteorologo russo Friedmann ha derivato in modo indipendente questo medesimo modello, così come le soluzioni per tutti gli universi omogenei e isotropi (a geometria sia sferica che iperbolica) tra il 1922 e 1924 (cfr. Friedmann e Lemaître, 1997). L'esistenza di questi lavori gli sarà resa nota da Einstein in occasione del Congresso Solvay del 1927, a Bruxelles. Eddington, da parte sua, verrà a conoscenza del modello di Lemaître nel 1930. A partire da quel momento, l'astronomo di Cambridge contribuirà a diffondere l'opera del suo allievo belga e a divulgarla nel panorama scientifico internazionale.

  

II. I modelli cosmologici e l'idea dell'"atomo primitivo"

Fino al 1931 Lemaître non ebbe l'idea di discutere scientificamente la questione riguardante l'"inizio" dell'universo. Il suo modello esponenziale - come soleva ricordare con umorismo - non aveva, fisicamente parlando, né un inizio né una fine! In quell'anno Eddington aveva affermato che la nozione di un inizio fisico dell'universo era per lui "filosoficamente ripugnante". A questa affermazione, il cosmologo di Lovanio reagì immediatamente. Secondo Lemaître, la fisica poteva dare un senso, nei limiti delle proprie competenze, alla nozione di inizio dell'universo, ma questa nozione non poteva essere confusa, così come tale, con la nozione di creazione in senso filosofico o teologico. Lemaître sottolineava inoltre che la situazione dei primissimi istanti dell'universo doveva essere assai diversa da quella attuale.

L'origine dello "spazio-tempo-materia" poteva essere secondo lui descritta utilizzando la termodinamica e la meccanica quantistica. Egli propone si possa trattare della disintegrazione di un unico quantum che riunisce in sé tutta "l'energia-materia" dell'universo in uno stato di massimo ordine (cioè con entropia). Questo quantum è battezzato da Lemaître: «atomo primitivo» (cfr. G. Lemaître, The Beginning of the World from the Point of Quantum Theory, 1931). Va notato che l'atomo primitivo non è individuabile né descrivibile nello spazio e nel tempo. Le nozioni introdotte hanno per lui un significato prettamente statistico: lo spazio-tempo inizierebbe ad esistere solo dopo la "disintegrazione" dell'«atomo primitivo»Il prodotto di questa disintegrazione avrebbe poi riempito progressivamente l'universo durante la sua espansione, generando tutti i nuclei atomici, a partire - così egli riteneva - dai più pesanti. In realtà, questa visione è oggi sorpassata, poiché la nucleosintesi degli elementi chimici si presenta come una costituzione progressiva di complessi di particelle a partire da una miscela di quarks e di leptoni, che forma da principio gli elementi chimici più leggeri (idrogeno, elio, ecc.).

A partire dal 1931, Lemaître, abbandona il suo modello di universo a raggio esponenzialmente crescente per adottare un universo sferico con tre fasi evolutive caratteristiche, iniziando da una "singolarità iniziale", che coinciderebbe con la disintegrazione dell'atomo primitivo. L'evoluzione dell'universo di Lemaître (il cui modello era stato scoperto anche da Friedmann) è regolato dal gioco di due "forze" antagoniste. L'una è la forza di gravità, che tende ad avvicinare tra loro le masse, e l'altra è una "forza repulsiva" (forza centrifuga) la cui intensità è legata alla «costante cosmologica» (la cosiddetta costante Λ) e che tende a controbilanciare l'effetto della gravità. Lemaître, come Eddington, ma contro l'opinione "estetica" di Einstein, riteneva che questa costante traducesse una proprietà fisica essenziale dell'universo. Oggi sembra che l'esperienza gli abbia dato ragione. Le osservazioni più recenti sulle supernovae lontane mostrano che il valore di questa costante probabilmente non è uguale a zero. Dal punto di vista teorico, la «costante cosmologica» può essere interpretata come espressione di una "pressione", quella dovuta al contributo dell'energia del vuoto quantistico.

La prima fase dell'evoluzione dell'universo di Lemaître è un'espansione decelerata, durante la quale i residui della disintegrazione dell'atomo primitivo riempiono progressivamente l'universo sotto forma di un gas omogeneo di polveri. Non appena la forza di gravità riesce a controbilanciare la "forza centrifuga" legata alla costante cosmologica, l'universo raggiunge uno stato di equilibrio (seconda fase) in cui il suo raggio non varia praticamente più, così come nell'universo statico di Einstein. La durata di questo stato può essere prolungata o ridotta variando il valore della costante cosmologica Λ. Tale trattazione teorica era piuttosto importante perché a quell'epoca si possedeva una misura osservativa assai imprecisa della costante H di Hubble (la costante, cioè, che pone in relazione la velocità v di allontanamento delle galassie lontane, con la loro distanza d, secondo l'equazione v = Hd ). Le misure allora disponibili conducevano a sottostimare l'età dell'universo equiparandola all'incirca a quella delle più antiche rocce terrestri. Agli inizi degli anni trenta Lemaître offrì una stima dell'età dell'universo di circa una decina di miliardi di anni, stima assai prossima a quanto suggerito dalle conoscenza odierne. Durante la fase quasi-statica, le polveri materiali possono condensarsi sotto l'azione di fluttuazioni statistiche di densità, per formare così le stelle, le galassie e i loro ammassi. Ad un primo esame, queste condensazioni possono essere descritte dal campo non-omogeneo a simmetria sferica che Lemaître aveva sviluppato nella sua tesi al M.I.T. Riesaminando i calcoli con uno dei suoi allievi, Joseph Wouters, Lemaître fornirà una stima della dimensione degli ammassi delle galassie il cui valore era confacente alle osservazioni fatte da Hubble sugli ammassi nella costellazione della Chioma di Berenice (G. Lemaître, L'univers en expansion, 1933).

La formazione di condensazioni in un universo sul modello descritto da Einstein provoca un'instabilità che genera una nuova espansione dell'universo, ma questa volta in modo accelerato (terza fase). Durante questa fase, Lemaître prevedeva che le galassie e i loro ammassi si separassero, dando luogo alla "recessione delle nebulose" descritta dalla legge di Hubble. Le idee del sacerdote cosmologo sulla formazione di strutture extragalattiche a partire da condensazioni di materia (formazione di galassie e ammassi di galassie) restano molto attuali, anche se il tipo di fluttuazioni statistiche alle quali egli pensava non potevano generare, come tali, le strutture che noi oggi osserviamo. Negli anni 1940 e 1950, Lemaître completerà il suo modello di formazione di queste strutture, aggiungendovi i contributi delle velocità proprie (cioè intrinseche) delle stelle e delle galassie. Attraverso questi modelli "meccanici", alla fine degli anni cinquanta e all'inizio degli anni sessanta, egli cercherà di comprendere il modo in cui le strutture cosmiche potevano disaggregarsi sotto l'effetto della fase di espansione accelerata.

Fino alla fine della sua vita, Lemaître si servirà di questo modello di universo sferico a tre fasi evolutive. Il suo attaccamento a un modello sferico deriva dal fatto che egli riteneva che il cosmo dovesse essere necessariamente di volume finito. Perché? Sembrava quasi che, sotto l'influenza dell'epistemologia di Eddington, Lemaître si fosse convinto che l'universo dovesse essere interamente intelligibile dalla ragione umana, e che una delle condizioni di questa completa comprensione fosse il fatto che la sua estensione non poteva essere infinita. Al termine della sua vita, Lemaître noterà che anche un universo divenuto totalmente conoscibile dalla ragione umana avrebbe potuto comunque continuare a meravigliarci profondamente. Egli sosteneva che l'universo descritto dalla fisica contemporanea fosse intelligibile, ma estremamente «strano» (cfr. L'étrangeté de l'univers, 1961). A più riprese, in alcuni lavori pubblicati e inediti, Lemaître intraprese una presentazione di diversi modelli geometrici del suo universo sferico: una sfera a tre dimensioni (che si può descrivere come insieme di quaternioni di norma unitaria) ovvero questa medesima sfera dove si identificano i punti diametralmente opposti (si ottiene allora un modello di spazio proiettivo a tre dimensioni). Al giorno d'oggi, le osservazioni che danno alla costante cosmologica un valore positivo non-nullo, favoriscono un universo che comporti le tre fasi evolutive appena descritte, ma la sua geometria è vicina a quella di uno spazio euclideo (quindi senza curvatura) spazialmente infinito e non quella di una sfera.

Einstein non amava molto la nozione di singolarità iniziale e ancor meno l'ipotesi dell'atomo primitivo, ed il motivo era che, secondo il padre della relatività, queste idee sembravano implicare necessariamente la fede in una creazione iniziale. Durante uno dei loro incontri al California Institute of Technology all'inizio degli anni trenta, Einstein suggerì a Lemaître che un'anisotropia dell'universo - il fatto cioè che le sue proprietà fisiche non fossero le stesse in tutte le direzioni - era sufficiente per eludere la singolarità iniziale. Ma al contrario di quanto pensasse Einstein, Lemaître dimostrò che la singolarità iniziale era inevitabile, anche in un universo anisotropo, come era il modello del tipo Bianchi I (uno dei nove modelli di universo omogeneo, ma non isotropo, corrispondenti alle soluzioni trovate da Bianchi). Con questo lavoro, egli anticipò i teoremi di Penrose e Hawking (1974), che dimostrano l'inevitabilità di una singolarità iniziale nei modelli cosmologici standard, inevitabilità che Lemaître aveva già mostrato in una vasta scala di modelli di universi (in anni più recenti, come è noto, Hawking suggerirà dei modelli che prescindano però da una simile singolarità, mediante una opportuna trasformazione della variabile temporale.)

A partire dal 1933-34, le idee di Lemaître conobbero un enorme successo in Europa, ma anche e soprattutto in Canada e negli U.S.A. Il sacerdote, che divenne nel 1935 canonico onorario del Chapitre de Saint-Rombaut, fu invitato nei più grandi centri universitari ricevendo premi prestigiosi (la Medaglia Mendel, nel 1934, al Villanova College in Pennsylvania; il Premio Francqui sempre nel 1934, in Belgio; il Dottorato honoris causa dell'Università McGill di Montréal, nel 1935). Eletto nel 1933 membro della Classe di Scienze dell'Accademia Reale del Belgio, nel 1936 sarà nominato da Pio XI (1922-1939) membro della Pontificia Accademia delle Scienze, da poco ricostituita. Nel 1960, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, succederà a Padre Agostino Gemelli (1878-1959) in qualità di presidente di quella Accademia e sarà elevato alla carica di Prelato domestico di Sua Santità. Nonostante questi momenti di gioia ed i suddetti titoli di merito, tra l'altro ben meritati, non si può dimenticare la grande indifferenza di molti astronomi nei confronti di Lemaître, nel periodo subito successivo alla seconda guerra mondiale. In effetti, a partire dalla fine degli anni 1940, la visione cosmologica di Lemaître (riassunta nel suo libro divulgativo apparso nel 1946 con la prefazione del filosofo svizzero Ferdinand Gonseth: L'hypothèse de l'atome primitif) e quelle che integreranno l'idea di una singolarità iniziale, di un Big Bang (come quella di Gamow), non beneficiarono a quell'epoca di una conferma soddisfacente, e furono quindi soppiantate da una teoria rivale: la «teoria dello stato stazionario» di Bondi, Hoyle e Gold. Secondo quest'ultima teoria, non esisteva né una singolarità iniziale né un inizio dell'universo. L'universo rimaneva uguale a se stesso in tutto lo spazio e in tutte le epoche, in virtù del «principio cosmologico perfetto». Poiché le osservazioni avevano dimostrato che l'universo era effettivamente in espansione, perché restasse essenzialmente lo stesso occorreva che la diminuzione di densità dovuta all'allontanarsi delle galassie fosse compensata da una nascita di nuove galassie: la teoria dello stato stazionario presupponeva una creazione continua di materia nel cosmo. Questa visione del mondo piacque enormemente a quegli scienziati che ritenevano, a torto, che il Big Bang, implicasse necessariamente una scelta metafisica o religiosa in favore di una creazione. Il termine stesso di Big Bang, che non fu mai utilizzato da Lemaître, fu introdotto del resto da Fred Hoyle per designare ironicamente il "fuoco d'artificio" iniziale suggerito dal cosmologo di Lovanio. Le idee di Lemaître, come del resto quelle di Gamow, ignorate o criticate da buona parte degli scienziati tra il 1945 e il 1960, balzarono alla ribalta solo con la scoperta di Penzias e Wilson, agli inizi degli anni sessanta, che metteva in luce l'esistenza di una «radiazione termica di fondo» il cui valore teorico della temperatura era stato predetto da Dicke e Peebles, osservazione, questa, che risultava essere adesso incompatibile con la teoria dello stato stazionario.

Il processo di disintegrazione dell'"atomo primitivo" non è mai stato descritto in termini matematici da Lemaître. Sarebbe stato necessario ricorrere a nozioni di fisica nucleare, una disciplina all'epoca ancora agli albori, ed alla quale lo scienziato non dedicherà mai particolare interesse, per questioni del tutto personali. Lo scenario per la produzione del materiale nucleare generato dalla tale disintegrazione in seno all'universo in espansione rimane dunque, secondo il cosmologo di Lovanio, un'ipotesi che non diviene mai una vera e propria «teoria dell'atomo primitivo». Questa ipotesi gli suggerì, pertanto, l'idea che i raggi cosmici rilevati nelle alte atmosfere, alla cui fenomenologia Millikan lo aveva iniziato durante un loro incontro al California Institute of Technology, potevano ben essere delle particelle altamente cariche risultate dalle prime disintegrazioni dell'atomo primitivo. La rivelazione e l'analisi dei raggi cosmici divennero quindi cruciali, essendo considerati, nella misura in cui potevano esserlo, dei "geroglifici" portatori di informazioni riguardanti i primi istanti del nostro Universo.

  

III. Gli studi di meccanica e di matematica

A partire dal 1933-34, in collaborazione con il suo amico e vecchio professore del M.I.T. Manuel Sandoval Vallarta, Lemaître dedicherà buona parte della sua ricerca scientifica a calcolare la forma precisa delle traiettorie dei raggi cosmici (considerate come particelle cariche) nel campo magnetico della Terra. Il formalismo utilizzato dai due scienziati era stato già elaborato da Carl Störmer dell'Università di Oslo, nel contesto degli studi sulle aurore boreali. Tuttavia, la complessità dei calcoli matematici non gli aveva permesso di arrivare sino in fondo. Lemaître e Vallarta sfrutteranno tutta la potenza di calcolo di una macchina analogica elettromeccanica (differential analyser) messa a punto al M.I.T. da Vannevar Bush, capace di rappresentare migliaia di orbite di raggi cosmici. Alla fine degli anni trenta, arriveranno a spiegare i fattori relativi all'osservazione dei raggi cosmici in un punto di determinata latitudine geomagnetica e degli effetti di asimmetria (est-ovest, nord-sud), caratteristica della ricezione di queste particelle sulla superficie terrestre. Le ricerche sulle traiettorie dei raggi cosmici eclisseranno poco a poco, secondo Lemaître, le considerazioni puramente cosmologiche e daranno vita a una vera e propria "scuola di Lovanio" che riunirà insieme Odon Godart, Lucien Bossy, Tchang Yong-Li e Louis Bouckaert, la cui attività cesserà solo all'inizio della seconda guerra mondiale.

Lo sviluppo teorico di un problema di dinamica noto come «problema di Störmer», rivela il genio prettamente matematico di Lemaître. Questi non esita ad inventare tecniche numeriche del tutto nuove (egli è anche uno degli sconosciuti precursori della «trasformata rapida di Fourier») o ad applicare in questo ambito tecniche ideate per affrontare altri problemi. Così, egli applica con successo alle traiettorie dei raggi cosmici un metodo utilizzato da Delaunay per descrivere il movimento della Luna. Conoscendo a fondo l'opera di Henri Poincaré Nuovi metodi della meccanica celeste (1889), Lemaître utilizza, con trenta o quaranta anni di anticipo, tecniche di analisi per la soluzione di sistemi di equazioni differenziali, che diverranno usuali molto tempo dopo con l'avvento della «teoria del caos». Le caratteristiche di alcune soluzioni del problema di Störmer rievocano certi fenomeni (ad esempio la scomparsa di orbite periodiche) che si osservano al livello delle traiettorie di un sistema di tre masse puntiformi in interazione gravitazionale. Questo famoso «problema dei tre corpi» causa enormi difficoltà. Oltre al fatto che esso non è integrabile analiticamente, genera delle divergenze nelle equazioni non appena i corpi si avvicinano tra loro, come una sorta di choc, quando la forza newtoniana tende all'infinito. Alla fine degli anni cinquanta, Lemaître scoprirà una trasformazione nelle variabili in grado di eliminare simili "divergenze" nel caso di "chocs doppi", cioè quando due delle tre masse si toccano. Il suo successore, André Deprit, svilupperà lo studio sul problema dei tre corpi, costituendo una vera e propria scuola di meccanica celeste sulla tradizione di pensiero del cosmologo di Lovanio.

Lo stile matematico di Lemaître è agli antipodi rispetto a quello della scuola di Bourbaki (1939-1967). In tutti questi lavori l'accento è posto, non sulle sintesi astratte, sul massimo grado di generalità, bensì sull'analisi "empirica" dei fenomeni numerici. Rimane il fatto che formule matematiche e calcolo numerico appassionavano Lemaître. Alcuni faranno ricorso alle sue conoscenze in materia per la soluzione di vari problemi. Così, al momento dell'incontro col celebre chimico di Princeton Hugh S. Taylor, Lemaître contribuirà al calcolo del valore dei modi di vibrazione della molecola di monodeuteroetilene. Questa passione per il calcolo matematico spiega dapprima il suo interesse per gli elaboratori di calcoli meccanici ed elettromagnetici, e poi per gli elaboratori elettronici. Dal 1938, introdurrà a Lovanio il primo elaboratore nel suo "Laboratorio di calcolo". Molto presto inizierà lo studio della programmazione e, all'inizio degli anni sessanta, terrà dei corsi di linguaggio Algol.

L'utilizzo di elaboratori indurrà Lemaître a immaginare una riforma dell'insegnamento dell'aritmetica elementare. Perché non insegnare ai bambini a calcolare le operazioni elementari come una macchina, senza dover ricorrere alla memoria e a lunghe riflessioni? Tale era l'interrogativo che si poneva, con l'intento di ben costruire un «calcolo senza sforzo cerebrale, ma non senza fatica muscolare e senza dispendio di carta» (cfr.Calculons sans fatigue, 1954). Durante i suoi ultimi vent'anni, dedicherà molto tempo ad ideare, sulla base di un linguaggio simile ad una scrittura musicale, nuove cifre (in cui il simbolo mostra il valore numerico rappresentato) elaborate in un duplice sistema, che unisce il sistema binario a quello decimale. Riesce inoltre a mettere a punto delle operazioni originali di calcolo scritto che rispettino il senso della scrittura francese.

Nonostante abbia pubblicato negli anni trenta un breve articolo relativo all'applicazione delle relazioni di indeterminazione di Heisenberg alla legge di Coulomb (cfr. L'indetermination de la loi de Coulomb, 1931), Lemaître non approfondirà mai lo studio della meccanica quantistica e della teoria quantistica dei campi. Si interesserà per un certo periodo ad una generalizzazione dell'equazione di Dirac (cfr. Sur l'interprétation d'Eddington de l'équation de Dirac, 1931), solo per studiarne le proprietà di trasformazione. Così, qualche anno prima che essa non appaia in fisica, si introduce nello studio di quella che sarebbe poi stata la «teoria degli spinori» di Majorana. Dopo la guerra, studiando approfonditamente i lavori di Elie Cartan, che egli conosceva personalmente, si dedica ad un lavoro storico-pedagogico, ancora inedito, di unificazione delle diverse presentazioni del concetto di spinore (Eddington, Cartan, Chevalley).

Introdotto alla storia delle scienze da uno dei suoi vecchi professori gesuiti, R.P. Bosmans, Lemaître aveva preso l'abitudine di leggere le opere dei grandi matematici (Euclide, Eulero, Gauss, Jacobi) nella loro versione originale. Ne trarrà buon profitto, non soltanto per i corsi di storia della matematica che egli terrà a Lovanio, e che aveva ereditato da Charles de la Vallée Poussin, ma anche per riesumare sistemi di calcolo che potevano rivelarsi utili ai suoi stessi lavori. Così, ad esempio, egli si ispirerà a Gauss per mettere in atto un processo d «iterazione razionale» suscettibile di poter essere utilizzato per l'integrazione di equazioni differenziali relativamente al «problema di Störmer».

Ma, insieme ai suoi interessi matematici, Lemaître era anche uomo di grande cultura artistica e letteraria. Eccellente pianista, amava suonare Bach, Messiaen e Chopin, di cui apprezzava i passaggi più tecnici. In letteratura era appassionato dell'opera del mistico fiammingo Ruysbroeck al quale lo aveva iniziato il suo vecchio direttore di seminario, il canonico Allaer. Intraprese anche una lettura minuziosa dell'opera di Molière, sperando di confortare la tesi di Maître Garçon, un professore della Sorbona, che sosteneva ci potessero forse essere due autori diversi all'origine di alcuni delle sue opere teatrali. Al termine di questa lettura, volendo partecipare ai suoi colleghi e ai suoi allievi la sua passione per l'enigma letterario, tenne a Lovanio alcune conferenze con titoli significativi: Una coppia di MolièreMolière: una stella doppia.

  

IV. La visione del rapporto fra scienza e fede: il problema cosmologico

Mons. Lemaître non era né un filosofo né un teologo; tuttavia di fronte a interrogativi di alcuni suoi colleghi, o anche del grande pubblico, soprattutto di origine anglosassone, negli anni trenta fu portato a precisare esplicitamente il modo in cui egli intendeva i rapporti tra scienza e fede.

Alla base della sua posizione vi era un netto rifiuto del concordismo. Non intendeva affatto mescolare l'approccio scientifico con quello teologico che costituivano, secondo le sue stesse parole, «due percorsi verso la verità», due approcci legittimi, ma ciascuno con la loro propria autonomia. Come egli affermò chiaramente in un'intervista all'inizio degli anni trenta: «Esistono due vie per arrivare alla verità. Ho deciso di seguirle entrambe. Niente nel mio lavoro, niente di ciò che ho imparato negli studi di ogni scienza o religione ha cambiato la mia opinione. Non ho conflitti da riconciliare. La scienza non ha cambiato la mia fede nella religione e la religione non ha mai contrastato le conclusioni ottenute dai metodi scientifici» (Aikmann, 1933, p. 18).

In questa prospettiva, l'ipotesi dell'atomo primitivo non può essere confusa con l'idea di una creazione, non solo perché il concetto teologico di creazione, in quanto "relazione" per mezzo della quale Dio pone il mondo in essere, è filosoficamente distinta dal concetto di inizio, come emergenza metafisica del mondo nella sua esistenza, ma anche perché la disintegrazione dell'"atomo" di Lemaître, che segna l'inizio naturale dello spazio-tempo-materia, non è un inizio assoluto, ma lo spiegamento di una realtà fisica a partire da un'altra realtà fisica preesistente, cioè appunto l'"atomo primitivo" come lo intendeva il nostro autore (cfr. L'hypothèse de l'atome primitif, 1948, pp. 39-40). Secondo Lemaître, non è pertinente pensare che l'adozione dell'ipotesi dell'atomo primitivo sia legata intrinsecamente alla dottrina teologica dell'inizio dell'universo, poiché un materialista potrebbe interpretare molto bene tale "atomo" come una realtà la cui esistenza è sufficiente a se stessa. È quanto fanno ad esempio alcuni fisici contemporanei quando parlano in questi termini dell'esistenza di un vuoto quantistico primordiale o di altre entità cosmologiche iniziali. In occasione dell'undicesimo Conseil Solvay che ebbe luogo a Bruxelles nel 1958, il canonico ebbe a dire: «personalmente ritengo [che l'ipotesi dell'atomo primitivo] rimanga interamente al di fuori di ogni questione metafisica o religiosa. Essa permette al materialista anche di negare ogni essere trascendente. Egli può porsi di fronte al fondamento dello spazio-tempo con la stessa attitudine di spirito che adotterebbe per eventi che sopravvengono in punti non singolari dello spazio-tempo. Per il credente essa esclude ogni tentativo di familiarità con Dio, come potevano esserlo il "colpetto" di Laplace o il "dito" di Jeans. E si accorda anche con i versetti di Isaia quando parlano del "Dio nascosto", nascosto anche all'inizio della creazione» (L'hypothèse de l'atome primitif et le problème des amas de galaxies in L'hypothèse de l'atome primitif: essai de cosmogonie; cfr. Godart, 1972, suppl. pp. 9-10).

In un modo un po' provocatorio, mons. Lemaître dichiarò nel 1963 che una certa interpretazione dell'ipotesi dell'atomo primitivo poteva essere considerata di fatto come "l'antitesi" della dottrina cristiana della creazione (cfr. Univers e Atome, 1963). La sua posizione suggerisce in realtà di operare una distinzione epistemologica: la «creazione» (il concetto teologico, come spiegato ad es. da s. Tommaso d'Aquino), l'«inizio metafisico» del mondo (la nascita del mondo nella sua esistenza) e l'«inizio naturale» dell'universo (lo sguardo della scienza sull'origine dello spazio-tempo-materia). Adottando tali distinzioni, Lemaître si poneva nella grande tradizione dell'Istitut Superieur de Philosophie in cui aveva studiato all'inizio della prima guerra mondiale, tradizione basata su una fedeltà all'insegnamento di s. Tommaso e con un occhio di riguardo all'insegnamento delle scienze della natura.

Questo modo di distinguere tra le «due vie verso la verità» acquista per mons. Lemaître il senso di una concezione che tributa tutta la sua importanza nei confronti di un duplice rispetto: da una parte il rispetto di Dio per l'autonomia relativa, ma effettiva, della sua creazione; dall'altra il rispetto dell'uomo per la trascendenza di Dio. Questi due "rispetti" sono stati espressi dal cosmologo di Lovanio riferendosi, da un lato al Deus absconditus di Isaia (cfr. Is 45,15), un Dio nascosto dalle origini, e dall'altro utilizzando una frase che egli amava spesso riprendere: «Ho troppo rispetto per Dio per poterne fare un'ipotesi scientifica».

La posizione di Lemaître insiste dunque fortemente sul rispetto reciproco fra l'approccio scientifico e quello teologico, ma sfortunatamente egli non ci presenta un pensiero esplicito o sistematico circa la possibile articolazione tra questi due livelli di discussione. In realtà ciò deriva dal fatto che, secondo lui, la mediazione tra la scienza e la fede non deve porsi al livello dei concetti, di "discussioni", ma piuttosto sul piano della "azione" e del lavoro umani. Il contenuto di un teorema o di una fotografia di una galassia non hanno rapporti diretti con la teologia, ma la fede conferisce un peso autenticamente teologico all'attività di uno scienziato che dimostra un teorema o sviluppa una lastra fotografica, così come lo conferisce ad ogni lavoro umano. La fede dello scienziato «rende soprannaturali tanto le attività più umili quanto quelle più elevate! Egli continua ad essere figlio di Dio quando pone l'occhio al suo microscopio, e quando pone tutta la sua attività, nella preghiera del mattino, sotto la protezione del Padre celeste. Quando pensa alle verità della fede, egli sa che le sue conoscenze sui microbi, sugli atomi o le stelle non gli saranno né di aiuto né di ostacolo per aderire alla luce inaccessibile e, come ogni uomo, cercherà di rendere il suo cuore simile a quello di un bambino per poter entrare nel Regno di Dio. Così, fede e ragione, senza mescolarsi in una miscela imbarazzante e sconveniente, né generare conflitti immaginari, si uniscono nell'unità dell'attività umana» (La culture catholique et les sciences positives, 1936, p. 47).

La precisa posizione di Lemaître sulla distinzione tra i «due percorsi verso la verità» lo indusse a reagire al discorso pronunciato da Papa Pio XII (1939-1958) il 22 novembre 1951 davanti alla Pontificia Accademia delle Scienze. In questa allocuzione, il Papa intendeva dimostrare che le più recenti scoperte dell'astrofisica potevano essere utili per arricchire le basi a partire dalle quali si sviluppavano le «vie tomiste» che conducono l'intelligenza filosofica a dimostrare l'esistenza di Dio. Nonostante qualche appunto prudente riguardo la possibilità di utilizzare la cosmologia fisica nel contesto delle "prove dell'esistenza di Dio", il discorso presenta, in certi passaggi, accenti lievemente "concordisti" come può evincersi dal seguente brano: «Pare davvero che la scienza odierna, risalendo d'un tratto milioni di secoli, sia riuscita a farsi testimone di quel primordiale Fiat lux allorché dal nulla proruppe con la materia un mare di luce e di radiazioni, mentre le particelle degli elementi chimici si scissero e si riunirono milioni galassie» (Discorsi e Radiomessaggi, XIII, p. 404).

Curiosamente, nel discorso non viene citato nessun lavoro di Lemaître: di fatto, la fonte di ispirazione di quelle parole sembrava essere essenzialmente il libro di un altro accademico pontificio, il matematico Edmund Taylor Whittaker, Space and Spirit. Theories of the Universe and the Arguments and the Existence of God (1946). Nondimeno, il riferimento fatto dal Papa allo «stato iniziale, primitivo dell'universo» rievocava immediatamente l'ipotesi di Lemaître. Ad eccezione della Chiesa cattolica, altri commentatori interpretarono rapidamente tale discorso come una specie di presa di posizione ufficiale del Papa in favore dell'ipotesi dell'"atomo primitivo" di Lemaître e contro la teoria dello «stato stazionario» che è egualmente nominata, anche se i suoi autori non sono esplicitamente citati. Ciò urterà non poco il mons. Lemaître, proprio lui che si era assai prodigato per mantenere l'autonomia relativa alla questione propriamente fisica dell'inizio "naturale", cioè fisico dell'universo, in rapporto alla teologia. In più, meglio di chiunque altro, il cosmologo sapeva che all'epoca nessuno disponeva di prove convincenti per adottare l'ipotesi dell'esistenza di una singolarità cosmologica iniziale, e quindi per rifiutare la teoria dello stato stazionario di Bondi, Hoyle e Gold. Il discorso mise dunque Lemaître doppiamente in difficoltà. Nel 1952, avendo saputo che Pio XII avrebbe tenuto un'allocuzione davanti l'VIII assemblea dell'Unione Astronomica Internazionale, chiese di poter essere ricevuto dal Pontefice. Il colloquio, del quale a tutt'oggi non possediamo alcuna prova scritta esplicita, fu possibile probabilmente grazie all'intervento di Padre Daniel O'Connell, della Specola Vaticana e di mons. Angelo Dell'Acqua, che lavorava presso la Segreteria di Stato, ed aveva come fine quello di evitare che le nuove parole del Papa evocassero in qualcuno la controversa questione dell'ipotesi dell'atomo primitivo. Il Papa, che conosceva personalmente Lemaître fin dal momento della sua nomina alla Pontificia Accademia, fu verosimilmente sensibilizzato dalle sue argomentazioni, al punto che nel previsto discorso tenuto a Castel Gandolfo il 7 settembre 1952 davanti ai membri dell'Unione Astronomica Internazionale, non fece alcuna allusione alla nozione dello stato iniziale dell'universo (cfr. Discorsi e radiomessaggi, XIV, pp. 275-285).

L'ipotesi dell'atomo primitivo risultò così influente da sorpassare i limiti della fisica e dell'astronomia. In effetti, essa contribuì ad alimentare le riflessioni del celebre filosofo svizzero Ferdinand Gonseth (che diresse la redazione e scrisse la prefazione del libro di Lemaître: L'hypothèse de l'atome primitif) e di Padre Teilhard de Chardin (1881-1955). Quest'ultimo, che non aveva mai tenuto una corrispondenza con il sacerdote e cosmologo di Lovanio, era molto interessato alla dimensione evolutiva della sua cosmologia e riteneva che il concetto di "atomo primitivo" rimandasse, per simmetria, al "Punto Ω", di cui parlavano le riflessioni del paleontologo gesuita. Così come l'atomo primitivo non appartiene allo spazio, al tempo e alla materia, ma ne costituisce la fonte e l'origine materiale, anche il Punto Ω non è identificabile con alcuna realtà o processo biologico o cosmologico, collocandosi invece come la loro causa finale, il loro telos (cfr. P. Teilhard de Chardin, La place de l'homme dans la nature, in "Oeuvres", Paris 1977, vol. VIII, pp. 166-167).

  

V. Osservazioni conclusive

La posizione di Georges Lemaître relativa ai rapporti tra scienza e teologia ha il vantaggio di distinguere metodologicamente i livelli di discussione evitando ogni rischio di concordismo. Tuttavia, ci si può domandare se questa distinzione, spinta troppo in là, rischi di divenire problematica. In effetti, se è vero che non si può mai confondere, né identificare "immediatamente" (e cioè senza mediazione), un concetto scientifico (per esempio la «singolarità iniziale») con un concetto teologico (per esempio la nozione di «creazione»), non ne consegue che le scienze non possano instaurare un dialogo con la teologia. Tale reciproco dialogo, infatti, può realizzarsi solo per mezzo di una "mediazione" filosofica. Questa fornisce un'interpretazione, un significato, a partire dai dati scientifici, significato che questi ultimi non rilevano "immediatamente", ma che può, grazie ad opportuni chiarimenti epistemologici, offrire elementi di riflessione anche ad alcune questioni teologiche.

Il merito di Lemaître è stato quello di aver dimostrato che si possono legittimamente affrontare le questioni cosmologiche e soprattutto quelle relative allo stato iniziale dell'universo (l'inizio fisico naturale) da un punto di vista strettamente scientifico, indipendentemente da ogni opzione metafisica o religiosa: la teoria del Big Bang è una teoria fisica e non una dottrina, né un'opzione "meta-fisica". Nondimeno, il limite della distinzione metodologica che Lemaître instaura tra i «due percorsi verso la verità» rischia di suggerire, a torto, che un dialogo fecondo tra cosmologia fisica e teologia della creazione non sarebbe pertinente. Mons. Lemaître, a motivo della sua formazione e non essendo egli né un teologo, né un filosofo professionalmente coinvolto come tale, non era incline ad accettare dei "compromessi" che conducevano ad una mediazione, a un dialogo tra la sua scienza e l'esplicitazione razionale della sua fede. Verosimilmente è per questo motivo che, all'inizio degli anni sessanta, essendo in quel momento Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, fu totalmente preso alla sprovvista dalla domanda postagli da Papa Giovanni XXIII circa il possibile contributo di questa Accademia ai lavori preparatori per il Concilio Vaticano II (cfr. Lambert, 2000, pp. 300-301).

Nell'ambiente universitario e della ricerca scientifica, mons. Lemaître mantenne una grande discrezione riguardo la sua vita sacerdotale e spirituale. Tuttavia tale discrezione nascondeva una fede molto profonda. Dal tempo del soggiorno alla Maison Saint-Rombaut, aveva aderito alla confraternita sacerdotale Amis de Jésus, fondata dal cardinale Mercier dietro la spinta del canonico Allaer (cfr. Lambert, 1996). In seno a quest'ultima, preti secolari dell'arcidiocesi di Malines pronunciavano i voti di povertà, castità ed obbedienza ed un ulteriore voto d'offerta della propria persona a Cristo (votum immolationis). Si impegnavano inoltre a dedicare un'ora alla preghiera dopo la Messa e a partecipare ad un ritiro spirituale annuale della durata di dieci giorni, da trascorrere completamente in silenzio. Mons. Lemaître pronunciò questi voti e restò, fino alla morte, fedele ai bisogni della "Confraternita sacerdotale degli Amici di Gesù". Il suo intenso coinvolgimento spirituale era affiancato anche da un corrispondente apostolato, ugualmente discreto quanto intenso. Appresa la lingua cinese da un confratello del seminario, egli ebbe parte attiva, con i monaci dell'Abbazia di Saint-André de Bruges, all'opera apostolica di Padre Lebbe, rendendosi disponibile ad accogliere gli studenti cinesi che si recavano a Lovanio. Alla fine degli anni 1920, dirigerà lui stesso l'Home chinois di Lovanio e negli anni 1950 si occupò della sorte degli studenti laici e dei sacerdoti cinesi che trovarono rifugio presso la sua università (cfr. Lambert, 2000, pp. 127-138).

  

Bibliografia: 

Opere di G. Lemaître: Un univers homogène de masse constante et de rayon croissant, rendant compte de la vitesse radiale des nébuleuses extra-galactiques, "Annales de la Société scientifique de Bruxelles" (25.4.1927), série A: Sciences Mathématiques, parte I, 47 (1927), pp. 49-59; The Beginning of the World from the Point of View of Quantum Theory, "Nature" 127 (1931), n. 3210, pp. 706; L'univers en expansion "Annales de la Société scientifique de Bruxelles", (3.5.1933), série A: Sciences Mathématiques, 53 (1933) n. 2, pp. 51-85; L'indétermination de la loi de Coulomb, "Annales de la Société scientifique de Bruxelles", (29.1.1931), série B: Sciences Physiques et Naturelles, parte I, 51 (1931), pp. 12-16; Sur l'interprétation d'Eddington de l'équation de Dirac, "Annales de la Société scientifique de Bruxelles", (22.4.1931), série B: Sciences Physiques et Naturelles, parte I, 51 (1931), pp. 83-93; La culture catholique et les sciences positives, in "Actes du VIe congrès catholique de Malines", vol. 5, Culture intellectuelle et sens chrétien, Bruxelles 1936, pp. 65-70; L'hypothèse de l'atome primitif (8.2.1948), "Acta Pontificiae Academiae Scientiarum" 12 (1948), n. 6, pp. 25-40; L'étrangeté de l'univers, in "Un nouveau système de chiffres et autres essais", Multa Paucis, Scuola di studi superiori dell'ENI, Varese 1961, pp. 27-41; L'hypothèse de l'atome primitif: essai de cosmogonie (prefazione di F. Gonseth), Editions du Griffon, Neuchâtel 1946; Calculons sans fatigue, E. Nauwelaerts, Louvain 1954; L'hypothèse de l'atome primitif et le problème des amas de galaxies, in "L'hypothèse de l'atome primitif: essai de cosmogonie", rapporto presentato all'11° Consiglio di Fisica dell'Istituto Internazionale di Fisica Solvay, giugno 1958 [cfr. anche The Primeval Atom Hypothesis and the Problem of the Clusters of Galaxies, in "La structure et l'évolution de l'Univers", Stoops, Bruxelles 1958]; Univers et Atome, conferenza inedita, Namur 23.6.1963, conservata presso la Bibliothèque Morétus-Plantin des Facultés Universitaires Nôtre-Dame de la Paix, Namur. Sul pensiero e l'opera di Lemaître si veda anche il volume: UNIVERSITE CATHOLIQUE DE LOUVAIN, Mgr Georges Lemaître savant et croyant, Atti del Convegno di Louvain-la-Nueve, 4.11.1994, Centre Interfacultaire d'étude en histoire des sciences, Louvain-la-Nueve 1996 [contiene il testo inedito La Physique d'Einstein, a cura di J.-F. Stoffel]. A. FRIEDMANN, G. LEMAÎTRE, Essais de cosmologie, antologia di testi scelti, tradotti e commentati da J.-P. Luminet e A. Grib, Ed. du Seuil, Paris 1997. Per la bibliografia delle opere di Lemaître: O. GODART (a cura di), Georges Lemaître et son ouvre. Bibliographie des travaux de Georges Lemaître, Editions Culture et Civilisation, Bruxelles 1972, 203pp. + 99pp. di suppl.

Altre opere: D. AIKMAN, Lemaître follows two paths to truth. The famous physicists, who is also a priest, tells why he finds no conflict between Science and Religion, "New York Times Magazine", 19.2.1933, pp. 3-18; E.T. WHITTAKER, Space and Spirit. Theories of the Universe and the Arguments for the Existence of God, Thomas Nelson & Sons, London 1946; P.A.M. DIRAC, The scientific work of George Lemaître, "Commentarii Pontificiae Academiae Scientiarum" 2 (1968), pp. 1-20; P. SALIVIUCCI (a cura di), L'Academie Pontificale des Sciences en memoire de son second president Georges Lemaître, "Pontificiae Academiae Scientiarum Scripta varia" 36 (1972); O. GODART, M. HELLER, Les relations entre la science et la foi chez Geoges Lemaître, "Pontificiae Academiae Scientiarum Commentarii", v. III, n. 21, [s.d.]; O. GODART, M. HELLER, Cosmology of Lemaitre, Pachart, Tucson 1985; J. TUREK, George Lemaitre and the Pontifical Academy of Sciences, Vatican Observatory Publications, Città del Vaticano 1989; D. LAMBERT, Mgr Georges Lemaître et les "Amis de Jésus", "Revue théologique de Louvain" 27 (1996), pp. 309-343; IDEM, Mgr Georges Lemaître et le débat entre la cosmologie et la foi, "Revue théologique de Louvain" 28 (1997), pp. 28-53; IDEM, Un atome d'univers. La vie et l'oeuvre de Georges Lemaître, Editions Racine - Editions Lessius, Bruxelles 2000.