Tu sei qui

L'uomo dinanzi al creato e di fronte a Dio

Papa Pio XII
30 novembre 1941

Il 30 novembre 1941 Pio XII pronunciò questo discorso, alla presenza degli Accademici presieduti da P. Agostino Gemelli, in occasione dell'inaugurazione del VI anno della Pontificia Accademia delle Scienze. Il Papa parlò delle relazioni tra l'uomo e Dio e delle conquiste, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo, che Dio permette all'uomo di raggiungere. In queste parole è possibile scorgere la grande passione nutrita da Pio XII per le scienze e l'astronomia che sintetizza in una prolusione in cui incoraggia gli scienziati a proseguire il proprio lavoro di ricerca, invitandoli ad alzare il nostro «spirito che viene da Dio e a Dio anela di salire per la scala della scienza di questo mondo».

Richiamo di gioia all'animo Nostro e il ritorno in quest'aula della Pontificia Accademia delle Scienze, fra questa corona di Signori Cardinali, di illustri Diplo­matici, di nobili personaggi e insigni maestri del sapere, in mezzo a voi, Accademici Pontifici, valorosi scrutatori della natura, delle sue multiformi manifestazioni e della sua storia, chiamati a costituire quest'alto Istituto scientifico dal sapiente Nostro Predecessore, Pio XI, sagace ammiratore del progresso delle scienze fisiche e degli abissi ch'esse indagano, ancor più profondi degl'immani dirupi da lui contemplati sui vertici delle Alpi. Ma Ci sentiremmo minori della stima e dell'apprezzamento ch'egli fece dei vostri meriti scientifici e, a un tempo, dell'opera sua, divenuta per arcana consiglio divino retaggio Nostro, se non tributassimo onore e gratitudine a lui, rendendo e accrescendo l'onore a voi, decoro di tante Nazioni, come fu Nostra intenzione nell'accordarvi il titolo di «Eccellenza»; titolo che altro non è se non un riconoscimento di quella vera eccellenza scientifica, che possedete e vi esalta in faccia al mondo.

L'onore e il saluto, che porgiamo a voi, e in primo luogo al vostro benemerito e instancabile Presidente, vola dall'animo Nostro oltre la soglia di questo convegno anche agli altri Accademici, ai quali le dure vicende dell'ora presente non hanno consentito di qui venire dai loro Paesi. In seno a tanto dotta e gradita adunanza, la letizia che proviamo è quasi una dolce stilla di conforto alle amarezze, che Ci cagiona il fiero conflitto di Nazioni, tutte a Noi care; e di tale conforto siamo pure debitori a Dio, al quale innalziamo ogni giorno le Nostre più fiduciose speranze, affinché, provvido e benigno, illuminando, sanando e perdonando, tutto diriga e muova verso quella meta, dove trionfi più la sua misericordia che la sua giustizia.

  

 Il Signore, Dio onnisciente, creatore dell’universo e dell’uomo 

A Lui si eleva il pensiero Nostro e il Nostro cuore anche in quest'aula delle Scienze; perché quel Dio, che regge l'universo, il corso dei tempi e le vicende liete e tristi dei popoli, è anche il Signore, Dio onnisciente: Deus scientiarum, Dominus (I Reg. 2, 3). La sua sapienza infinita lo fa maestro del cielo e della terra, degli angeli e degli uomini: in Lui, creatore dell'universo, sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (cfr. Coloss. 2, 3). In Lui l'ineffabile scienza di se stesso e dell'infinita imitabilità della sua vita e bellezza; in Lui la scienza del nascere e del rinascere, della grazia e della salute; in Lui gli archetipi delle mirabili danze dei pianeti volteggianti intorno al sole, dei soli nelle costellazioni, delle costellazioni nel labirinto del firmamento fino agli ultimi lidi del pelago dell'universo. Egli mosse dal centro dell'inaccessibile luce del suo trono eterno a creare il cielo e la terra, e accanto a Lui era, quale architetto, la sua Sapienza che si deliziava ricreandosi in ogni momento alla presenza sua (Prov; 8, 3o); parlò al nulla dalla soglia della sua eternità con la potenza della sua voce; e il nulla fu sopraffatto e vinto dalla comparsa del cielo e della terra al tuono di quel grido onnipotente. Ex nihilo nihil fit, è vero, dalla mano dell'uomo e di ogni creatura, ma non dalla voce di Dio: Ipse dixit, et facta sunt (Ps. 32, 9). E come furono fatti il cielo e la terra, e la terra era informe e vuota, e lo Spirito di Dio si moveva sopra le acque (Gen. I, I-2); così fu formato l'uomo dal fango della terra e Dio gli ispirò in faccia lo spirito della vita e l'uomo divenne persona vivente (Gen. 2, 7). Ecco il macrocosmo, qual è l'universo dei mondi, di fronte al microcosmo, ch’è l'uomo (S. Th. I p. q. 9I art. r in corp.); l'uomo piccolo, minuscolo mondo dello spirito, che circonda e copre, come luminoso arco, l’empireo, l’empireo immenso per mole materiale, minore dell’uomo per inanità di spirito.
 

Iddio maestro dell’uomo

Quel giorno in cui Dio plasma l’uomo e gli corona la fronte del diadema della sua immagine e somiglianza, costituendolo re di tutti gli animali viventi del mare, del cielo e della terra (Gen. 1, 26), quel giorno il Signore, Dio onnisciente, si fece maestro di lui. Gl'insegna l'agricoltura, a coltivare e custodire il delizioso giardino nel quale lo aveva posto (Gen. 2, 15); condusse a lui tutti gli animali del campo e tutti gli uccelli dell'aria, perché vedesse come chiamarli; ed egli diede a ciascuno il suo vero e conve­niente nome (Gen. 2, 19-20); ma, pur in mezzo a quella moltitudine di esseri a lui sottoposti, si sentiva tristemente solo e cercava invano una fronte che somigliasse a lui e avesse un raggio di quella immagine divina, onde splende l'occhio di ogni figlio di Adamo. Dall'uomo soltanto po­teva venire un altro uomo che lo chiamasse padre e pro­ genitore; e l'aiuto dato da Dio al primo uomo viene pure da lui ed è carne della sua carne, formata in compagna, che ha nome dall'uomo, perché da lui è stata tratta (Gen. 2, 23). In cima alla scala dei viventi l'uomo, dotato di una anima spirituale, fu da Dio collocato principe e sovrano del regno animale. Le molteplici ricerche sia della paleon­tologia che della biologia e della morfologia su altri pro­blemi riguardanti le origini dell'uomo non hanno finora apportato nulla di positivamente chiaro e certo. Non ri­mane quindi che lasciare all'avvenire la risposta al quesito, se un giorno la scienza, illuminata e guidata dalla rivelazione, potrà dare sicuri e definitivi risultati sopra un argomento così importante.

 

Grandezza dell'uomo 

Non vi meravigliate se innanzi a voi, che avete con tanto acume studiato, indagato, anatomizzato, raffrontato i cervelli degli uomini e degli animali irragionevoli, Noi esaltiamo l'uomo, il quale leva la fronte irradiata da quell'intelligenza, che è retaggio esclusivo della specie umana. La vera scienza non abbassa né umilia l'uomo nella sua origine, ma lo innalza ed esalta, perché vede, riscontra e ammira in ogni membro della grande famiglia umana l'orma più o meno vasta stampata in lui dalla immagine e similitudine divina.

L'uomo è grande. Il progresso, che egli fa e promuove nelle scienze fisiche, naturali, matematiche, industriali, avido di sempre migliori e più ampi e sicuri avanzamenti, che altro è mai se non effetto del dominio, che esercita ancora - quantungue limitato e di faticosa conguista - sopra la natura inferiore? E quando mai, come al presente, l'ingegno umano cercò, studiò, scrutò, penetrò la natura per conoscerne le forze e le forme, per dominarle, piegarle nei suoi strumenti e servirsene a suo genio?

L'uomo è grande, e fu più grande nella sua origine. Se egli cadde dalla sua prima grandezza, ribellandosi al Creatore, e andò esule e ramingo fuori del giardino delle delizie, bagnando col sudore della sua fronte il pane che fra triboli e spine gli dava la terra (Gen. 3, 18-19); se il cielo e il sole, se il freddo e il caldo, se i rifugi e le selve, se tanti altri usi e travagli, disagi di luoghi e condizioni di vita ne umiliarono il volto e la figura; se guell'avanzo che gli resta dell'impero ricevuto sugli animali altro non è che un labile ricordo della sua potenza e un lieve fram­mento del suo trono; anche nella rovina sorge grande, per quell'immagine e somiglianza divina che porta nello spi­rito, e per la quale Dio tanto si compiacque della creatura umana, ultimo lavoro della sua mano creatrice, che non la disamò né abbandonò caduta, e per risollevarla Egli stesso «si fece simile all'uomo, e per condizione riconosciuto quale uomo, compaziente alle nostre infermità, simil­mente tentato in tutto, tolto il peccato» (Phil. 2, 7; Hebr. 4, I 5).

L’uomo scrutatore dell’universo e le sue conquiste

Due doni, che lo elevano ben alto fra il mondo degli spiriti celesti e il mondo dei corpi, fanno grande l’uomo, anche dopo la caduta: l’intelletto, il cui occhio spazia per l’universo creato, che varca i cieli, bramoso di contemplare Dio; e la volontà, dotata di libero arbitrio, serva e signora dell’intelletto, che ci fa in diverso grado padroni del nostro pensiero e dell’opera nostra innanzi a noi stessi, innanzi agli altri e innanzi a Dio. Non sono forse queste le due grandi ali che vi innalzano nel firmamento, o scrutatori della volta dei cieli, e attraverso le tenebre della notte vi destano nel sonno a contare i soli e le stelle, a misurare i loro moti, a interrogare i loro colori, a scoprire le loro fughe, i loro incontri, i loro urti? Veramente vi elevate giganti: con l’ampia vista dei vostri telescopi numerate gli astri e ne scindete gli spetti, inseguite i vortici e i bagliori delle nebulose e date loro un nome; ma dove inchinarvi alla scienza di Dio, il quale meglio di voi fissa il numero delle stelle e tutte le chiama per nome, numerat multitudinem stellarum, et omnibus eis nomina vocat (Ps, 146, 4).

I cieli di cristallo sono scomparsi. I geni di Kepler e di Newton ritrovarono nei cieli la meccanica terrestre; voi nelle fiamme e nella luce di quei mondi roteanti scopriste i congegneri elementi del nostro globo; e legando in connubio il cielo e la terra, estendeste l’impero della fisica, già ricco nelle sue vie sperimentali, teoriche, applicate e matematiche di tante altre scienze, quante l’ingegno, l’investigazione, l’industria e l’unione degli ardimenti umani hanno moltiplicate e promosse fino alle vittorie della fisica atomica e nucleare.

Dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo

Nelle profondità del firmamento voi scrutate nelle «notti astronomiche» quelle «Supergalassie» ovvero «Gruppi od Ammassi nebulari», le quali – come ha notato uno di voi, illustri Accademici - «costituiscono il fenomeno più meraviglioso che ci rivelino le osservazioni e la cui immensa grandiosità supera realmente ogni intelletto ed ogni immaginazione» (Armellini, Trattato di astronomia siderale, Bologna, 1936, vol. III, pag. 318): colossali famiglie, formate, ciascuna di esse, da migliaia di «Galassie», ognuna delle quali alla sua volta è un immenso sistema astrale che ha un diametro di molte migliaia di anni luce e racchiude in sé molti milioni di soli. E in questo campo voi molto attendete dalla inaugurazione, che sperate non lontana, del grande riflettore di cinque metri di diametro sul monte Palomar in California, con cui la sfera di esplorazione dell'universo potrà forse dilatarsi fino a mille milioni di anni luce!

Ma da questo infinitamente grande voi scendete ad esplorare l'infinitamente piccolo. Chi avrebbe potuto immaginate, circa cento anni or sono, quali enigmi si trovano racchiusi in quella particella minutissima che è un atomo chimico, nello spazio di un decimo milionesimo di millimetro! Allora si considerava l'atomo come un piccolissimo globulo omogeneo. La nuovissima fisica vede in esso un microcosmo nel vero senso della parola, in cui si nascondono così profondi misteri, che, nonostante i più fini esperimenti e l'uso dei più moderni strumenti matematici, la ricerca è oggi ancora soltanto all'inizio delle sue conquiste nella conoscenza della struttura dell'atomo e delle leggi elementari che ne regolano le energie e i moti.

Così al presente apparisce più che mai manifesto il continuo mutarsi e trasformarsi di tutte le cose materiali, fino all'atomo chimico ritenuto per lungo tempo immutabile e imperituro. Uno solo è l'immutabile e l'eterno: Dio. Ipsi (caeli) peribunt, tu autem permaner; et omnes sicut vestimentum veterascent. Et sicut opertorium mutatis dos, et mutabuntur; tu autem idem ipse es, et amni tui non deficient (Ps. 101, 27-28). «I cieli van deperendo e Tu rimani; essi tutti si logorano come un panno; Tu li muti come un vestito ed essi cambiano; ma Tu rimani lo stesso e i tuoi anni non avranno fine».

In tal guìsa voi negli immensi campi dell'esperienza andate in cerca delle leggi della materia e dei fenomeni, che fanno l’unità, la varietà e la bellezza dell’universo. 

L’ordine nell’universo rivelatore della mano di Dio

È forse muto davanti a voi l’universo? Non ha nulla da dirvi per appagare la tendenza profonda del vostro intelletto per una sintesi grandiosa delle scienze? Per una sintesi che risponda all’ordine del creato? Nell’universo il più degno di considerazione è la disposizione all’ordine, che tutto insieme lo distingue e l’unisce, lo intreccia e lo concatena nelle varie parti e nelle diverse nature, che si odiano e si amano, si respingono e si abbracciano, si fuggono e si cercano, si combinano e si disgregano, scompaiono l’una nell’altra e ricompaiono, congiurano per rapire al cielo il baleno, la folgore, lo schianto, le nubi, di cui ai nostri giorni così terribilmente vediamo turbati la terra, il cielo e i mari. A meraviglia voi conoscete come ciascuna di queste nature ed elementi operi secondo il diverso istinto della propria inclinazione e dipenda da un principio senza saperlo e cospiri a un fine senza volerlo, negli apparecchi della chimica inorganica e organica, ancella dell’industria e della medicina; per tal maniera che il mondo dei corpi, senz’anima che lo informi e avvivi, e senza intendimento che lo governi e guidi, pure si muove per ragione, come se vivesse, e opera a disegno, come se intendesse. Che è mai questo se non il più evidente dimostrare che fa il mondo di avere dentro di sé la mano di quel maestro, invisibile in se stesso, ma palese nell’opera, ch’è il Dio onnisciente, ordinatore dell’universo con arte somma? (cfr. Bartoli, Delle Grandezze di Cristo c. 2). Voi cercate le leggi che reggono la sintesi della natura e del creato; e di queste leggi cercate il perché, stupiti e muti innanzi ai moti della natura, la quale nelle vostre mani e nelle vostre catene si muove e si agita, talora minacciosa, con forza indomita che non viene da voi.

L’ingegno, la volontà e l’azione dell’uomo con le sue macchine e coi suoi arnesi non può turbare l’ordine della natura; può rivelarlo, come voi, medici e chirurgi, col coltello anatomico rivelate il cuore e il cervello, i muscoli e le vene, i più intimi segreti a scoprire nel corpo umano le vie della vita e della morte, ad aiutare la vita e respingere la morte.

Solleviamo, illustri Accademici, il pensiero al Maestro delle scienze, Maestro non di una sapienza appresa da altri, ma propria di Lui, creatore della stessa materia che presenta alla contemplazione e allo studio dell'ingegno umano. Vi è forse contrasto fra l'investigazione della natura fisica e l'intelletto umano? fra le scienze e la filosofia? Certo vi è lotta fra le scienze, che nell'ordine della natura non vedono la mano di Dio, e quella filosofia che nelle leggi della natura riconosce l'ordinazione della ragione divina, la quale cura e governa l'universo. Vuol essere forse la filosofia un sogno ideale che confonde Dio e la natura, che vagheggia visioni e illusioni di idoli della fantasia? Non è invece la filosofia il tenere saldo il piede nella realtà delle cose che vediamo e tocchiamo, e il cer­care le più profonde e alte cause della natura e dell'universo? Non comincia dal senso ogni nostra cognizione? Donde vengono le leggi? Osservate la vita sociale. Tutti i domestici di uno stesso padre di famiglia non hanno forse un ordine fra loro, sottoposti come sono a lui? e il padre di famiglia e tutti gli altri cittadini non conservano un or­dine scambievole rispetto al capo della città, il quale a sua volta ha insieme con tutti gli altri un certo ordine riguardo al Re o Capo dello Stato? L'universo, - già sentenziò, dopo Omero (Iliad. II, 204), il gran filosofo di Stagira - non vuol essere governato malamente: non è buono il comando di molti; unico sia il comandante (Aristotel, Metaphysicorum, 1. XI, cap. 10 in fin.).

Dio unico comandante e legislatore dell’universo. L’ordine nella molteplicità e nella diversità delle cose create

Dio è il comandante unico e il legislatore dell’universo. Egli è un sole, che nell’infinita magnificenza della sua luce diffonde e moltiplica i suoi raggi, similitudini di sé, in tutti i campi della creazione; ma nessuna immagine vale ad eguagliarlo. Così anche l'uomo, quando non trova un vocabolo che da solo esprima sufficientemente il concetto della sua mente, moltiplica in vari modi le parole. Ecco nella moltiplicità delle creature la diversità delle loro nature e il vestigio divino diverso, secondo che più o meno si avvicinano a Dio nella somiglianza dell'essere, che posseggono. Voi che studiate intimamente la natura delle cose, non avete forse trovato che la loro diversità si compie a gradi? Dagli strati geologici, dai minerali, dai corpi inanimati voi salite alle piante, dalle piante agli animali irragionevoli, dagli animali irragionevoli all’uomo. Non esige forse la diversità delle cose che non tutte siano uguali, ma che vi risplenda un ordine per gradi? In quest’ordine e in questi gradi noi vediamo accampate nature e forme diverse per perfezione e vigore, per azione e fine, per reazione e composizione, per sostanza e qualità, donde scaturiscono proprietà, operazioni e agenti diversi con reciproche impressioni e differenti effetti, che hanno la loro ragione nella diversità impressa dal Creatore nella natura delle cose, determinate e volte a un fine e a un’azione particolare (cfr. Contra Gent. 1. III. cap. 97). In questa necessità naturale inerente alle cose, la quale altro non è se non una impressione prodotta da Dio che tutto dirige al fine, come un arciere indirizza il dardo al segno inteso, sta la legge della natura dei corpi, legge immedesimata nella loro stessa natura (S. Th. 1 p. q. 103 a. 1 ad 3). Come l’uomo imprime col suo comando in un altro uomo a sé oggetto interno al principio di operare, non altrimenti Dio imprime a tutta la natura i principi delle proprie azioni (S. Th. I, II. q. 93 a. 5); e per tal modo il sommo Fattore dell’universo, Dio e Maestro delle scienze, all’università delle cose praeceptm; posuit et non praeteribit (Ps. 148, 6). Onde,­ magistralmente insegna il gran Dottore d'Aquino -, quando si domandi il perché di un effetto naturale, pos­siamo renderne ragione con qualche causa prossima, quale è la naturale proprietà delle cose, purché tutto riportiamo alla volontà di Dio, come a causa prima, sapiente istitutrice di tutta la natura. Così se uno, a chi gli chiede perché il fuoco riscaldi, risponde perché Dio lo vuole, risponderebbe giustamente, se intendesse ridurre la questione alla causa prima; malamente invece, se intende escludere tutte le altre cause (Contra Gent. 1. III c. 97 in fin.).

Tutti gli uomini fratelli alla scuola di Dio

Anche in noi, creature come siamo di Dio, la causa prima impresse una legge, ch'è un sublime istinto tutto particolare all'uomo, verso la conoscenza del Creatore; desiderio, «che è moto spirituale, e mai non posa - finché la cosa amata il fa gioire» (Purg. XVIII, 32 -33). Se la nostra carne viene dalla polvere e tornerà in polvere, immortale è il nostro spirito che viene da Dio e a Dio anela di salire per la scala della scienza di questo mondo, la quale non arriva ad appagare pienamente l'immensa ansia del vero che ci agita. Scuola di Dio, Maestro di ogni scienza, è il mondo; la cui figura se passa, restiamo soli in faccia al Maestro. Chiniamoci innanzi alla sua sapienza, inarrivabile nei suoi enigmi e nel consiglio d'aver dato per stanza all'umanità questo globo, così pieno di mera­viglie e avvolto da milioni di meraviglie ancora più ful­gide e smisurate; meraviglie, che, contemplate dal Creatore il giorno che le ebbe compiute, vide che tutte erano assai buone (Gen. I, 3 r). Voi stessi non ne dubitate; voi che nella misura ne intendete la quantità, il modo e il grado di perfezione, nel numero la diversità e bellezza dei vari gradi, nel peso le diverse inclinazioni ai propri fini e operazioni; voi che amate e magistralmente promovete la scienza.

Anche la vostra scienza non è forse un fulgido riflesso della scienza divina, nascosta, parlante e occhieggiante dal seno delle cose? Eppure nelle mani degli uomini la scienza può tramutarsi in un ferro a doppio taglio, che sana e che uccide. Date uno sguardo ai campi e ai mari insanguinati, e poi dite s'era per questo che il benigno Dio onnisciente rinnovellò con celesti favori, e se gli largì così alto intelletto e caldo cuore per ravvisare nel fratello un nemico. Nella scuola di Dio, siamo tutti fratelli; fratelli nella contemplazione, nello studio e nell'uso della natura; fratelli nella vita e nella morte; deh che, davanti alla culla di un Dio infante, che silente ama, guarda e giudica l'umanità che si dilania, tutti gli uomini tornino fratelli anche nell'amore e nella concordia, nella vittoria del bene sopra il male, nella giustizia e nella pace! 

   

Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. 3., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1942, pp. 271-281