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L’importanza della matematica nell’educazione del filosofo

Platone di Atene
390-360 a.C.

Repubblica, VII 521 C - 527 D

Il brano proposto segue la celebre allegoria del Mito della Caverna. Il testo aiuta a comprendere la visione che Platone ha della matematica e la funzione che le attribuisce di strumento per raggiungere la contemplazione del Bene. Gli enti matematici sono, nel pensiero platonico, enti intermedi tra il molteplice diveniente del sensibile e l’identità immutabile dell’idea. Nell’estratto che segue, Platone si sofferma su quali siano le discipline indispensabili per l’educazione dei filosofi. La prima proposta è l’aritmetica, descritta come “essenziale per noi, perché si qualifica come quella [disciplina] che obbliga l’anima a servirsi della pura intelligenza per attingere alla verità in quanto tale”. Essa ci aiuta a capire che l’unità di cui si parla non è una singola cosa sensibile e divisibile. Chi ha abilità nel calcolo inoltre, acquisisce prontezza anche in tutte le altre scienze. Accanto all’aritmetica, la geometria viene definita come “conoscenza dell’essere che sempre è”. Per questo è la seconda disciplina indispensabile per la formazione dei filosofi.

Insufficienza della ginnastica e della musica per la formazione del filosofo

«Quale sarà, Glaucone, quella disciplina che trascina l'anima dalla sfera del divenire a quella dell’essere? E mentre dico questo, ecco venirmi in mente un altro problema: non abbiamo detto prima che per forza di cose questi dovranno essere fin da giovani atleti di guerra?».
«L’abbiamo detto infatti».
«Allora bisogna che la disciplina di cui siamo alla ricerca abbia anche questo fine oltre all’altro».
«Quale intendi? ».
«Di non essere inutili agli uomini di guerra».
«Indubbiamente, se è possibile».
«Ma prima noi intendevamo educarli nella musica e nella ginnastica».
«È vero», disse.
«Però la ginnastica ha per oggetto ciò che si genera e si corrompe, e infatti essa si interessa della crescita e della consunzione dei corpi».
«È evidente».
«Non sarà dunque questa la scienza che cerchiamo». [522 A]
«Infatti non lo è».
«Allora sarà la musica che prima abbiamo preso in esame? ».
«Ma se ben ti ricordi-osservò-, la musica altro non era che il corrispettivo della ginnastica, in quanto intendeva educare i Custodi con la forza dell’abitudine. Essa, al seguito dell’armonia, infondeva il senso della proporzione, non una scienza, e al seguito del ritmo una certa qual eleganza; e pure ai discorsi – siano essi di pura fantasia o assolutamente veritieri – aveva la capacità di conferire certi caratteri formali non dissimili da questi. Ma un insegnamento capace di raggiungere quell’obiettivo che tu vai cercando, nella musica proprio non lo troveresti».
«Grazie a te – dissi – ora mi ricordo benissimo: di tutto ciò non v’era assolutamente traccia. E allora, divino Glaucone, quale sarà mai questa scienza, dato che non c’è un arte che non ci sia parsa banale? ».
«E già! Ma poi, quale altra scienza ci rimarrà, se scartiamo la musica, la ginnastica e le arti?».
 

La matematica nel suo aspetto pratico è utile alla guerra e in quello teorico alla filosofia

«Suvvia – risposi –, se al di fuori di queste non ce ne sono altre da scegliere, prendiamone una che le abbracci tutte».
«E quale è? ».
«Per esempio questa che è di carattere universale e della quale fanno uso sia le arti, che le discipline matematiche e le scienze, e che quindi ciascuno dovrebbe apprendere fin dall’inizio».
«Insomma qual è? », domandò.
«Niente di particolare – risposi –, semplicemente il saper distinguere l’uno dal due, dal tre: insomma, il saper numerare e far di conto. O non è vero che le cose stanno in questi termini, ossia che non c’è arte o scienza che possa dirsi indipendente da una tale disciplina? ».
«È proprio così», ammise.
E io: «Allora anche l’arte della guerra? ».
«Altro che! - esclamò – . E anche di necessità”.
«E dunque – ripresi –, è ben buffo come comandante l’Agamennone che Palamede ci presenta di volta in volta nelle tragedie.  Noi hai notato che Palamede, essendo lo scopritore del numero,dice di aver disposto le schiere dell’esercito davanti a Ilio e di aver preso il totale delle navi e di tutte le altre forze, come se prima non fossero mai state contate,e come se Agamennone, a quanto risulta, non sapesse neanche quanti piedi avesse, dato, appunto, che non sapeva contare? Ebbene, ma che razza di generale credi che fosse? ».
«Proprio fuori dall’ordinario – disse –, se quello che racconti è la verità».
«Allora come disciplina sussidiaria per un uomo di guerra non dovremo porre anche il saper numerare e far di conto?».
«Ancor più di tutte le altre – osservò –, se dovrà capire qualcosa in fatto di schieramenti; o meglio, se solo dovrà essere un uomo». […]
 

La matematica è mezzo di elevazione e conversione alla sfera del puro intelligibile

«Sarebbe bene, caro Glaucone, che questo insegnamento fosse reso obbligatorio per legge e che gli aspiranti alle somme cariche dello Stato fossero convinti a orientarsi verso lo studio della scienza del calcolo a ad affrontarla non per vili interessi, ma per poter spingersi, grazie ad essa, fino alla contemplazione puramente intellettuale della natura dei numeri; insomma, non va coltivata per tenere la contabilità delle vendite e degli acquisti come farebbe un commerciante o un bottegaio, ma per condurre la guerra e per facilitare la radicale conversione dell’anima dal mondo del divenire e dell’essere».
«Dici cose bellissime», ammise.
E io, di rimando: «Ora che si è discusso della scienza dei calcoli, capisco anch’io come essa sia elevata e per molti aspetti utile al nostro scopo, se uno l’approfondisce al puro fine della conoscenza e non a vantaggio dei propri traffici».
«E in che cosa – domandò – sarebbe utile? ».
«Proprio in quello che testè dicevamo; e cioè nel fatto che essa eleva l’anima, forzandola a trattare dei numeri in quanto tali; tant’è vero che se uno, per caso, nel corso di una dimostrazione le proponesse dei numeri rappresentati da corpi visibili e palpabili, neppure li prenderebbe in considerazione. Del resto, tu sai bene che i matematici esperti non accettano, facendogli fare una magra figura, chi s’avventura a dividere nel ragionamento l’uno in quanto tale; e più tu lo dividi più loro lo moltiplicano, per impedire che l’uno perda la sua unità e appaia molteplice».
«Quello che sostieni – osservò – è assolutamente vero”. [526A]
«E che cosa credi che risponderebbero, Glaucone, se qualcuno ponesse loro questa domanda: “O gente eccelsa, di quali numeri ragionate, numeri nei quali si trova l’uno proprio come voi volete che sia, ogni volta uguale a se stesso in tutto e per tutto, senza la pur minima differenza, e senza alcuna parte al suo interno?”».
«La mia impressione è che essi parlino di quei numeri che possono essere solo pensati e che non sarebbe assolutamente possibile trattare in altro modo».
Ed io ripresi dicendo: «Vedi, dunque, caro amico, come questa disciplina [B] rischi davvero d’essere essenziale per noi, perché si qualifica come quella che obbliga l’anima a servirsi della pura intelligenza per attingere alla verità in quanto tale?».
«È proprio questo quel che fa», disse.
«Ebbene, non hai notato che chi ha una innata attitudine per il calcolo è, oserei dire, altrettanto acuto anche in ogni altra disciplina, e, analogamente, quelli che sono tardi di mente, qualora vengano educati ed esercitati in questa scienza, posto pure che non ne traggano altro profitto, per lo meno, rispetto a prima, progrediscono tutti verso una maggiore acutezza di ingegno?».
«È così», ammise. [C]
«A mio giudizio, però, non sarebbe facile trovare molte altre discipline che siano più impegnative di questa per chi la studia o per chi la coltiva».
«No certamente».
«Ad ogni buon conto, per tutti i motivi che si sono illustrati, non si deve mettere da parte un tale insegnamento, anzi bisogna educare in esso le nature che sono più dotate».
«Sono del tuo stesso avviso», disse.
 

Anche la geometria, accanto ad un aspetto pratico, ne ha uno teorico che apre al mondo delle essenze

«Comunque – ripresi –, diamo per scontato quanto si è appena stabilito, e in secondo luogo consideriamo quest’altra disciplina che segue la prima da vicino, per vedere se anch’essa ci può essere utile».
«Che cosa intendi? – domandò –. Forse vuoi parlare della geometria? ».
«Proprio di essa», risposi. [D]
«Per quanto attiene all’arte militare – osservò –, la sua importanza è fuori discussione. In ordine alla disposizione degli accampamenti e all’occupazione di determinate posizioni, alla concentrazione o al dispiegamento delle truppe per assumere tutte le varie disposizioni tattiche che l’esercito prende in assetto di guerra o di marcia, sarebbe tutt’altro che indifferente se uno si intendesse di geometria o non se ne intendesse affatto».
«Ma – notai – per fare ciò, basterebbero dei minimi rudimenti della geometria e della scienza del calcolo. Invece, è la parte principale di essa, quella che si spinge più innanzi, che va approfondita per vedere se non [E] tende proprio al fine di rendere più accessibile la visione dell’Idea del Bene. E a tale obiettivo, si diceva, mirano concordemente tutte quelle rappresentazioni che costringono l’anima a rivolgersi al mondo in cui trova posto la parte più perfetta dell’essere, la quale ad ogni costo va contemplata».
«Dici bene», approvò lui.
«Pertanto, se la geometria ci costringe a volgerci al mondo delle essenze, farà al caso nostro; altrimenti, se ci orienta al mondo del divenire, non ci interessa».
«È questa la nostra posizione». [527 A]
«C’è un punto, però, che nemmeno chi ha una semplice infarinatura di geometria potrebbe contestarci; ossia, che questa scienza è tutto l’opposto di quello che appare dai discorsi di chi le mette in pratica».
«Che cosa intendi dire?», domandò.
«Essi ne parlano in modo ridicolo, riducendola alla pura sfera delle necessità contingenti. In effetti costoro, essendo impegnati nella sfera pratica e finalizzando ogni loro discorso a questo ambito, parlano sempre di disegnar quadrati, di costruire figure e di sommarle tra loro, e in bocca loro non risuonano altro che siffatti termini, mentre [B] tutta questa disciplina andrebbe sviluppata in vista della conoscenza».
«Indubbiamente», disse.
«E anche questo non è forse un punto su cui consentire? ».
«Quale?».
 

La geometria, in quanto ha per oggetto esseri che sempre sono è disciplina filosofica

 «Che la geometria è la scienza di ciò che sempre è, e non di ciò che in un certo momento si genera e in un altro momento perisce».
«Su questo punto non si può non essere d’accordo – disse –: la geometria è conoscenza dell’essere che sempre è».
«Dunque, caro amico, essa, nei confronti dell’anima, è forza trainante verso la verità, è stimolo per il pensiero filosofico ad elevare ciò che ora in maniera sconveniente manteniamo terra terra».
«Certo – convenne –, più di ogni altra disciplina». [C]
«Dunque – dissi –, bisogna che quanto più ci è possibile imponiamo che nella tua bella Città in nessun modo venga trascurato lo studio della geometria, in quanto anche le sue applicazioni non sono di poco conto».
«E quali sarebbero? », domandò.
«Ad esempio – risposi –, quelle che tu hai illustrato e che riguardano la guerra e poi anche tutte le altre discipline che grazie ad essa vengono meglio apprese, perché ben sappiamo come eccella sotto ogni punto di vista chi è esperto nella geometria rispetto a chi non lo è».
«Per Zeus! – esclamò –. È senza confronto superiore».
«Allora, stabiliamo questa come seconda materia di studio per i giovani?».
«Stabiliamola», disse. [D]
 

da Platone, Repubblica, VII 521 C – 527 D, tr. it. G. Reale in Platone, Tutti gli scritti, Bompiani, Milano 2000, pp. 1244 – 1249.