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Proemio delle dimostrazioni anatomiche nel teatro di Copenaghen

Nicolò Stenone
1673

Proemium demonstrationum anatomicarum in Theatro Hafniensi anni 1673

In occasione del ritorno di Niels Steensen (Stenone) in Danimarca, su invito del re Cristiano V che lo aveva nominato “anatomicus regius”, fu riaperto il teatro anatomico di Copenaghen. Il testo costituisce il discorso inaugurale tenuto da Stenone prima di una dimostrazione anatomica. “Questo è il vero scopo dell’anatomista — egli vi afferma — quello cioè di innalzare gli spettatori, servendosi della meravigliosa architettura del corpo, alla nobiltà dell’anima e, di conseguenza, attraverso le meraviglie di entrambi, alla conoscenza e all’amore del creatore”. Il lettore interessato può consultare la voce del Dizionario Interdisciplinare dedicata a Steensen

Il fatto che io mi presenti a voi, degnissimi spettatori di ogni ordine, dipende dalla liberalità del creatore nei confronti della sua opera, dal favore del Re verso un suddito e dalla mia attesa di una benevola attenzione da parte di tutti voi.

Dio, senza che io le cercassi, anzi nonostante la mia riluttanza, mi ha consentito di fare molte scoperte nel campo dell’anatomia, scoperte per l’innanzi negate a molti tanto più degni di me. Il Re volle oggi aprire questo teatro patrio, chiuso da molti anni, alla dimostrazione pubblica delle osservazioni mie e di altri. Voi, rivolgete la vostra attenzione non al volto e alle mani di colui che fa la dimostrazione, ma alla rivelazione dei miracoli di Dio nelle sue opere.

Coloro che entrano in un museo per passare in rassegna le rarità appese ed esposte da ogni parte con la guida del righello o della bacchetta del custode, non si sdegnano se qualche volta il righello ha un aspetto piuttosto rozzo, anche se in altre occasioni proprio il righello lavorato con maestria avrà attirato su di sé gli occhi degli spettatori. L’anatomista è come un righello o una bacchetta nella mano di Dio, che mostra le rarità del corpo come in un museo molto frequentato e che qualche volta merita di esser guardato anche lui per l’eleganza della dizione o della dissezione, lode, quest’ultima, che spetta ai maestri che mi hanno preceduto in questo luogo con la loro fama, qualche volta, invece (ed è il mio caso) sommando i difetti dell’eloquenza con una scarsa abilità manuale potrebbe annoiare più che interessare, se l’attenzione degli spettatori non fosse interamente assorbita dalla perfezione degli oggetti.

Se è vero che, a prima vista, il cadavere sembra di per sé uno spettacolo poco piacevole ad alcuni e addirittura orribile ad altri per la squallida immagine della morte che esso evoca, voglio tuttavia pregarvi tutti quanti di non essere troppo corrivi a prestar fede ai sensi. Essi, infatti, c’ingannano sia quando nei Sileni di Alcibiade giudicano tutto vile e ridicolo a causa dell’aspetto vile e ridicolo, sia quando fanno gran conto di una scimmia vestita di porpora per lo splendore del colore esterno. Il mondo solo promette molte più cose e molto più grandi di quanto non mantenga; la Natura dà più di quanto promette ed ambedue, secondo il linguaggio del buonsenso, ingannano, dal momento che in entrambi i casi ciò che resta nascosto è diverso dall’apparenza.

Tuttavia è un errore gradito quello che partendo dal disprezzo o dal timore di cose ritenute basse o sgradevoli si conclude con il riconoscimento della loro nobiltà e gradevolezza, che è fonte di grande diletto. I diamanti, appena estratti dalle rocce o scavati dal fango a piè dei monti, non mettono in evidenza altro che un aspetto ruvido e immondo; ma poi, quando il lavoro dell’artigiano ha rimosso la brutta scorza, mandano in visibilio per la gioia con il loro splendore e il loro pregio lo scopritore. L’ispezione delle miniere ci mostra la stessa verità per quanto riguarda le altre pietre e l’oro stesso, per non parlare delle perle che devono essere nettate dalle puzzolentissime carni delle ostriche putrescenti, e l’insieme di questi esempi dimostra che spesso un velo repellente per i sensi nasconde corpi molto graditi agli stessi.

Ma non è soltanto l’abito trascurato a nascondere bellezze elegantissime, dal momento che anche quelle opere della Natura il cui aspetto esteriore ci costringe ad amarle svelano una tale armonia a chi ne penetra l’interno che fa chiaramente giudicare la bellezza che si manifesta di fuori nient’altro che un pallido indizio di quella che troviamo dentro. Chi contempla nella più bella stagione dell’anno un prato da lontano percepisce con gli occhi un grande senso di diletto dalla varietà dei bellissimi colori; ma poi se, stando nel prato, si chinerà ad osservare più attentamente le foglie e i fiori delle singole piante, vedrà dispiegarsi una tale varietà ed armonia di colori da costringerlo ad esclamare: «Da lontano tutto ciò appare bello, ma da vicino lo è molto di più!». Se si spingerà ancora più avanti fino a scrutare anche in una sola pianta la conformazione intrinseca delle particelle che la costituiscono e i percorsi e i movimenti dei liquidi che lì dentro tutta la pervadono e la serie delle trasformazioni, finché non sia compiuto il passaggio dal seme alla pianta perfetta che genera un nuovo seme, anche se coglierà solo una piccolissima parte di tutto questo e come attraverso la nebbia, vedrà tuttavia quel tanto che basta per fargli capire che il piacere ricavato dalle cose che ha conosciuto non è nulla in confronto di quello che riceverebbe da un’integrale conoscenza di ciò che resta nascosto. Nel De senectute Cicerone ha osservato quanta forza abbiano nel riempire di piacere l’animo anche quei terreni che si vedono in campagna intorno alle messi, anche se non si arriva a vedere nient’altro che (come dire?) leggerissimi indizi dei miracoli che vi accadono. Chiunque ricorda di aver guardato le bellezze di una figura con l’animo non sufficientemente premunito contro le sue seduzioni, riconoscerà certo quanta attrazione eserciti la figura umana sui nostri animi. Tuttavia tutto ciò che è così efficace nell’aspetto esteriore è come la vista di un prato fiorito da lontano e niente di più: infatti, nel prato non si vede che una parte trascurabile di alcuni fiori; così nell’uomo non si vede altro che l’involucro esterno e anche questo solo in minima parte. E infatti, che cos’altro dell’uomo intero si manifesta all’altro se non il volto e le mani? E anche in questi ultimi quant’è piccola la porzione della superficie che colpisce i nostri sensi? Certo chi conosce la differenza fra la superficie reale dei corpi e quella apparente o chi almeno avvicina alla pelle un microscopio, confesserà che noi non vediamo altro della pelle umana che certe grossolane asperità, così come della messe di un campo lontano non vediamo altro che la cima delle ariste delle spighe. Ma se quella mano, la cui eleganza e proporzione esteriore riempiono tanto spesso l’animo di chi guarda, trasparendo come un vetro, mostrasse insieme il colore dei tendini sottostanti pari a quello di una perla e la loro struttura che sopravanza qualunque congegno, chi non prevederebbe un piacere di gran lunga maggiore per lo spirito degli osservatori? Se poi fosse possibile penetrare ancora più addentro in quelle parti stesse, e cioè dentro la pelle ed i tendini, e scorgere la complicatissima trama delle fibre e l’intrico e i labirinti dei vasi, che sfuggono ad ogni osservazione e di cui possiamo cogliere ben poco e solo congetturalmente, chi si fermerebbe più alla percezione sensibile della sola superficie esteriore e dal piacere o dalla repulsione da essa provocata giudicherebbe il resto? Anzi chi non proclamerebbe, rifiutando ogni errore dei sensi, belle le cose che appaiono senza far ricorso alla dissezione, assai più belle quelle che la dissezione porta alla luce dai penetrali nascosti, e infine di gran lunga le più belle di tutte quelle che, sfuggendo ai sensi, si conoscono per via razionale partendo dall’esperienza sensibile?

I moralisti per distogliere l’animo dagli amori nocivi vanno alla ricerca di tutti i difetti esistenti nell’oggetto amato; l’anatomista, invece, richiesto di fornire rimedi contro siffatti amori, non si dedi­cherebbe all’individuazione dei difetti, ma innalzerebbe l’animo innamorato a più nobili oggetti di amore, purché non fosse del tutto incapace di elevarsi un poco al di sopra dei sensi. Che se poi l’attrazione verso piaceri illeciti ne ha fatto uno scettico, immaginario più che reale (infatti, io ritengo che nessuno sia scettico se non fino a quando l’amore delle cose illecite può mutuare una scusa dalla persistenza del dubbio), non sarà difficile far piazza pulita anche delle sue lamentele sui sensi. Accusa i sensi perché non mostrano le cose così come sono, ma ci lasciano nell’errore o almeno nell’incertezza. Questo lamento sarebbe vero se il giudizio sulle cose dovesse essere affidato ai sensi, ma non è compito dei sensi mostrare le cose come sono o esprimere un giudizio su di esse, bensì trasmettere alla ragione quei dati che bastano ad acquisire un’informazione rispondente al fine dell’uomo.

Abbiamo la ragione per giudicare le cose sensibili e poiché con il suo aiuto ci è consentita una sicura ascesa verso le cose non sensibili, guardiamoci dallo spogliarci della nostra umanità ponendoci al livello delle bestie, anzi, rimuginando con assidua meditazione la certissima verità che ne consegue, innalzandoci dall’ignoranza alla scienza, dall’imperfezione alla perfezione, suscitiamo in noi stessi pensieri sulla vera dignità dell’uomo degni dell’uomo. Se una porzione piccolissima dell’esteriorità dell’uomo è tanto bella e colpisce tanto chi la guarda, quali bellezze vedremmo, quali diletti ricaveremmo, se potessimo vedere la macchina umana nella sua interezza, e l’anima, a cui obbediscono tanti e tanto raffinati strumenti, e la dipendenza di tutto ciò da una causa che conosce tutto quello che noi ignoriamo? Bello è ciò che si vede, più bello ciò che si sa; ma tanto più bello ciò che ignoriamo.

Non restiamo impigliati nei sensi, ma contempliamo con gli occhi della mente attraverso quelli corporei, come dalla finestra di un palazzo ben progettato, questo magnifico prato in cui si offrono al nostro sguardo tante parti quanti fiori e tanti settori quante meraviglie. Non mi si rinfaccino le brutture e i cattivi odori, da cui tutto l’equilibrio degli umori è così sconvolto in certuni che, anche controvoglia, son costretti a restare fuori o sono allontanati. Questo è un effetto della fragilità del corpo, a cui la mente, a causa della strettissima congiunzione, è talvolta obbligata a cedere, anche se nello stesso momento le brutture non stanno nei colori ma nell’ignoranza, il puzzo non è proprio dei corpi ma dei delitti.

In nessuno altro modo infatti ci si guadagna l’appellativo non di parte ma d’immagine dell’aura divina, se non quando siamo respinti da quelle cose soltanto da cui è offesa la stessa aura divina da cui si proviene e da quelle cose soltanto si prende piacere attraverso le quali sempre l’aura divina ci comunica la sua saggezza, la sua potenza e la sua bontà con una tacita facondia che sopravanza qualsiasi eloquenza.

Ed è questo il vero scopo dell’anatomista, quello cioè di innalzare gli spettatori, servendosi della meravigliosa architettura del corpo, alla nobiltà dell’anima e, di conseguenza, attraverso le meraviglie di entrambi, alla conoscenza e all’amore del creatore. Infatti, poiché l’obiettivo dell’anatomista è quello di svelare le parti del corpo animale e specialmente umano e fin dove è possibile mostrarle ai sensi, non potrà essere che una bellezza tanto grande e tanto manifesta non desti attraverso l’ammirazione, il desiderio di conoscere le cose che sfuggono ai sensi, da cui la ragione s’innalzi alla ricerca del creatore di tante meraviglie, partendo dalla visione delle singole parti e dal mutuo confronto delle diverse. Sul creatore si ottengono più notizie quanto minore è la presunzione e più radicale l’estirpazione dei pregiudizi con cui si esplora la vasta selva delle esperienze. Infatti, se nessuno dotato di una mente sana può guardare una statua, una pittura, un orologio, un congegno o qualsiasi altra magistrale produzione senza sentirsi indotto ad amarne e stimarne moltissimo l’autore, come potrebbe mai la struttura del corpo umano, che lascia a una distanza incommensurabile qualsiasi prodotto dell’uomo, esser esaminata con occhio attento senza provare un impulso veemente e venerare ed amare il suo creatore? Anzi il mirabile piano della divina provvidenza nei confronti delle creature dotate della facoltà di riflettere è proprio questo: sommergerla dapprima attraverso i singoli canali delle percezioni con mille piaceri, suscitare poi il desiderio di cercare la vera causa dei piaceri stessi, fino a farla scoprire attraverso gli oggetti, perché, una volta conosciuto nei doni il donatore, possano trasferire ogni impulso d’amore dai doni al donatore. Sono fuori strada e restano al di sotto dell’importanza di questa attività quando esercitano l’anatomia, coloro che la pongono al servizio della prevenzione e della cura delle malattie; ambito nel quale certo essa ha la sua utilità, ma non nella misura che crediamo, dal momento che l’individuazione dello stato non normale non può andare al di là della conoscenza dello stato naturale, e poiché la seconda è per il momento estremamente limitata, neppure la prima potrà fare grandi progressi. In verità, l’anatomia vera, quella che è rivolta a tutti gli spettatori, è un metodo con il quale Dio ci guida prima alla conoscenza del corpo animale e poi di se stesso servendosi della mano dell’anatomista. Infatti l’anatomista non deve arrogarsi le proprie scoperte e dimostrazioni: egli stesso opera di Dio spiega l’opera di Dio, avendo Dio non solo come assistente ma come operatore dell’opera divina e non potrà attribuire a se stesso nient’altro fuorché i difetti e gli errori. Perciò io voglio pregare voi tutti che, se vedrete qualcosa degna della vostra attesa, lodiate con me la bontà divina, ma imputiate gli errori della parola o delle mani o all’impazienza o a una superbia celata anche a me stesso a cui viene giustamente negato anche quello che altrimenti potrebbe ottenere facilmente, per la smania di risultati più numerosi o più importanti che vanno al di là della volontà di Dio.

Con la guida di Dio affronterò dunque la lezione di anatomia sul corpo qui presente seguendo il criterio di circoscrivere l’esposizione fatta ai vostri occhi e al vostro intelletto alle nozioni stabilite da sicuri esperimenti o ragionamenti. È propria degli sciocchi la convinzione che basti che l’anatomista spieghi davanti agli occhi le parti preparate, mentre il resto può esser affidato all’iniziativa del pubblico, che provvederà con lettere personali e con la meditazione domestica. Cosa che ammetterei anche volentieri, se non ci fosse nessun esempio di affermazioni dei nostri predecessori che la nostra età ha riconosciuto false oppure se la mente si accostasse all’esame della verità sgombra da pregiudizi e in assoluta libertà. Ma le cose non stanno affatto così e, poiché spogliarsi dei pregiudizi è la cosa più difficile, anche le pubblicazioni odierne, benché ci si metta la massima attenzione, non vedono la luce così emendate da non recare traccia delle idee preconcette dell’autore. Difetto da cui, se io mi reputassi esente, meriterei il biasimo di una sfacciatissima superbia. Perciò per mettere al riparo la presente ricerca della verità, per quanto lo consentono le mie forze, dalla mia -inclinazione a sbagliare e per evitare gli errori altrui, non mi limiterò ai soli esperimenti e non porterò solo ragionamenti, ma cercherò una tale mescolanza degli uni e degli altri che se non la quasi totalità almeno molte affermazioni per verifica generale raggiungano la certezza dimostrativa. A questo scopo esporrò solo quei principi della scienza generale dei corpi che sono comuni ai filosofi anche in disaccordo fra loro, come ho già spiegato altrove in un mio lavoro scientifico, e illustrerò le parti del corpo non secondo la loro varia disposizione ma secondo la rispondenza della sostanza e delle funzioni, in modo da soddisfare alla verità e alla chiarezza. Sarò piuttosto misurato nel confutare gli errori altrui, memore del detto di un uomo tanto pio quanto saggio: «La conoscenza della verità è in grado di discriminare e annullare qualsiasi falsità venga proferita, anche se viene udita per la prima volta».

      

Titolo originale: Proemium demonstrationum anatomicarum in Theatro Hafniensi anni 1673, pubblicato in Acta medica et philosophica Hafniensia, vol. II, Hafniae, 1675, n. CXXXIV, pp. 359-366. Tr. it. Nicolò Stenone, Opere Scientifiche, a cura di L. Casella, Nuova Europa Editrice, Firenze 1986, vol. 2, pp. 257-261.