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La grande domanda. Perché non si può fare a meno di parlare di scienza, di fede e di Dio

Alister Mc Grath
traduzione di Sabrina Placidi
Bollati Boringhieri, Torino 2016
pp. 261
ISBN:
9788833927381

Indice: 1. Dalla meraviglia alla conoscenza: l’inizio del viaggio. 2. Strategie di senso: racconti, immagini, mappe. 3. La teoria, la prova e la dimostrazione: alla ricerca della verità. 4. Inventare l’universo: questo nostro strano mondo. 5. Darwin e l’evoluzionismo. La scienza e la fede di fronte. 6. Anime: sulla condizione umana. 7. La ricerca del significato e i limiti della scienza. 8. L’ipotesi del fondamento scientifico dell’etica. Scienza e morale. 9. Scienza e fede: dare un senso al mondo, trovare il significato della vita.

 

«Questo libro è un invito a compiere un viaggio lungo un’altra via. […] Vi sto invitando a esplorare un nuovo criterio di pensiero riguardo alla scienza e alla fede – un criterio che ad alcuni apparirà bizzarro, ma che a mio parere le fa convivere in un modo che è al contempo appagante dal punto di vista intellettuale ed elettrizzante a livello immaginativo.» (p. 28)

Con queste parole Alister McGrath ci invita a riflettere sul rapporto tra conoscenza scientifica e conoscenza religiosa.

Il testo che segnaliamo in rubrica offre una descrizione lineare dell’importanza del dialogo tra scienza e fede, affrontando con puntualità le maggiori tematiche storicamente emerse da questo dialogo. McGrath gode di una significativa autorità, in ambiente anglosassone, tra coloro che si occupano del rapporto tra scienza e fede; la sua produzione su questo argomento è estremamente vasta e vanta traduzioni in molteplici lingue. Non è solo uno scienziato credente; è pastore anglicano e teologo. Laureatosi dapprima in Chimica a Oxford, si è poi occupato di Biofisica molecolare presso il Dipartimento della stessa università. Ha conseguito successivamente una laurea in Teologia ed è stato docente di Teologia al St John’s College di Cambridge. È attualmente professore di Science and Religion e direttore del Ian Ramsey Centre for Science and Religion ad Oxford. Come scienziato e teologo è noto per la sua attenta critica ai maggiori esponenti del cosiddetto, “nuovo ateismo”: Richard Dawkins, Daniel Dennet, Christopher Hitchens.

In questo libro, con uno stile chiaro e rispettoso l’A. si propone di mostrare come scienza e religione non siano necessariamente in conflitto fra loro, ma possano interagire in un «dialogo creativo» di cui entrambe potrebbero beneficiare. Per poter dialogare in maniera corretta e proficua l’A. sottolinea quali siano le specificità della scienza e della fede e come sia fondamentale non dimenticare i confini di ciascun ambito. Questo “rigore” garantisce la libertà e la fecondità di tale dialogo. L’A. polemizza con le visioni del nuovo ateismo che sostengono come il progresso scientifico abbia reso inutile e obsoleto il pensiero religioso.

Il “viaggio” proposto ha inizio con una descrizione della meraviglia, come sentimento che ciascun essere umano sperimenta e che l’A. racconta come lo abbia animato sin da giovane. Il libro contiene, infatti, anche la narrazione dell’itinerario personale del biologo e teologo anglosassone, che lo ha condotto, a partire da una giovanile posizione ateista, alla fede cristiana. Filo rosso e punto di partenza del viaggio è proprio la meraviglia che conduce l’uomo ad interrogarsi sul mondo e sul senso del nostro esistere. La meraviglia conduce in due direzioni: verso la scienza e alla ricerca di Dio. In quanto esseri umani siamo destinati a farci domande e (come recita il sottotitolo del libro), a parlare di scienza, fede e Dio. La riflessione su questi temi è una risposta alla nostra specificità di esseri umani, per questo può, secondo l’A., condurci ad un sentimento di  gioia. «In questo libro ho cercato di illustrare il mio viaggio personale nelle sue varie tappe, dallo stupore estatico di fronte allo spettacolo della natura alle scoperte prima della gioia intellettuale suscitata dalle scienze naturali, quindi dell’esperienza nobilitante e arricchente della fede religiosa, per giungere infine  all’esplorazione di quella concezione  più ricca della vita che si ottiene quando si permette alla scienza e alla fede di influenzarsi e illuminarsi a vicenda». (p. 199) Affrontare “la grande domanda”, le questioni ultime, non significa abbandonare la strada della scienza, ma riconoscerne (kantianamente) i limiti.

Nel secondo capitolo l’ A. descrive, in maniera chiara e argomentata, come il conflitto scienza-religione sia stato storicamente e culturalmente amplificato e alimentato nelle narrazioni, spesso a causa di un pregiudizio anti-religioso. Pur non negando che in alcune epoche la religione abbia ostacolato il progresso scientifico, l’A. ripercorre un itinerario che ci mostra quanto il cristianesimo abbia anche favorito la pratica scientifica e il progresso della scienza, e quanto ciò non sia stato storicamente messo sufficientemente in luce. Ha radici cristiane la visione di un universo ordinato e regolare, il cui studio è promosso in quanto consente all’uomo di “godere” maggiormente della Sapienza Divina.

L’A. chiarisce quanto la scienza non possa, per sua natura, sposare un punto di vista religioso o politico.  Se la scienza prendesse posizione in ambito politico, religioso, etico, degenererebbe inevitabilmente. Una teoria scientifica non dovrebbe mai diventare un’ideologia da seguire, travalicando i confini della natura stessa della scienza. Se la scienza non può schierarsi “a favore di Dio”, ciò non significa che essa neghi o possa negare la validità della fede. «[…] la scienza e la religione ci offrono visioni della realtà e risposte agli interrogativi della vita su piani diversi. Il quadro della realtà più completo è quello che intreccia in maniera coerente il numero massimo di fili esplicativi» (p. 50) Intrecciare piani interpretativi differenti è ciò che ci caratterizza in quanto esseri umani. Secondo McGrath abbiamo bisogno di integrare prospettive differenti per esprimere al meglio la nostra umanità.

L’idea di fondo dell’autore, che richiama la teorie delle “finestre multiple” di Mary  Midgley, è che antropologicamente l’uomo sia portato a vivere all’interno di una trama di narrazioni interconnesse. «Per apprezzare a pieno il mondo in tutta la sua complessità e per agire in esso in maniera corretta e piena di senso bisogna osservarlo attraverso più di una finestra». (p. 197)  Le persone cercano di costruire un «grande quadro d’insieme» (p. 35), tentano di trovare un senso alla propria esistenza su diversi piani (religione, famiglia, lavoro) e questo comporta la costruzione di un sistema di vita basato su un insieme di narrazioni distinte. In quanto esseri umani ci chiediamo come funziona il mondo, ma anche quale sia il significato del mondo, o perché esso esista così com’è, o ancora perché esso esista piuttosto che non esistere. Questi interrogativi ci conducono in direzioni distinte e non opposte, in “viaggi” in cui dobbiamo confrontarci con «l’incertezza» (p. 57) e con la possibilità di commettere errori, tanto sul piano scientifico quanto su quello teologico-metafisico.

L’A. intitola un paragrafo del sesto capitolo “gli errori della religione” (p. 149). Un chiarimento ermeneutico sui termini “religione, teologia e fede” diviene qui necessario. Infatti, termini come religione, fede e teologia, in contesti divulgativi sono spesso impiegati come sinonimi, e così, in parte li impiega l’A. Il termine religione (dal lat. religere: legare) indica il complesso di credenze e di atti di culto che collega la vita dell’uomo ad un Essere numinoso. Il termine “errori della religione” si riferisce più specificatamente agli “errori” che possono essere fatti nell’elaborazione (umana) delle dottrine teologiche o nella condotta impropria che, in particolari epoche storiche, può essere stata oggetto di prassi o credenze religiose. La teologia, invece, è una teoria sistematica di Dio e delle realtà della fede, con la dignità, ma anche i limiti, di una disciplina di studio. In questo senso è la teologia, e non la fede, che può essere posta in confronto conoscitivo con le scienze. La fede, infine, possiede una dimensione gnoseologica (in quanto dalla  fede deriva una conoscenza della realtà attraverso un’adesione razionale ad una Verità) ed una dimensione personalistica (in quanto il cammino che conduce alla fede procede da una volontà di ricerca della persona e, in ambito cristiano, da un incontro personale con la Verità).

McGrath, tuttavia, si sofferma in modo speculare anche sugli “errori” della scienza. Il suo carattere progressivo ha fatto sì che gli scienziati stessi cambiassero idea, con il passare del tempo e con lo sviluppo della ricerca, su determinati argomenti. In particolare l’autore esamina le teorie astronomiche e le relative visioni dell’universo, mutate nel tempo (sistema aristotelico-tolemaico, visione copernicana) e sul dibattito ancora attualmente in corso in ambito cosmologico (Big Bang, teoria del multi verso, ecc.).  L’A. si interroga poi su quale sia il contributo che la fede può dare nell’indagare la realtà in cui viviamo. La fede può rappresentare un cambiamento di mentalità, una visione delle cose in grado di illuminare la realtà. Più volte l’autore cita una nota frase di C.S. Lewis «Io credo nel Cristianesimo allo stesso modo in cui credo che il sole sia sorto: non solo perché io lo vedo, ma perché attraverso di esso io posso vedere tutte le altre cose». (p. 74)

In polemica con la corrente anti-teista, l’A. chiarisce come non sia necessario scegliere tra Dio e le leggi della fisica. Prendendo in esame il bestseller Grande Disegno di Hawking e Mlodinow, egli afferma che «le leggi della natura non fanno accadere niente; rappresentano una cornice cognitiva che aiuta a spiegare meglio il ripresentarsi regolare dei fatti naturali. […] Un conto è la causa agente delle cose, un conto la spiegazione delle cose». (pp. 94-95).

Il quinto capitolo è dedicato alla descrizione e all’analisi delle teorie evoluzionistiche. L’A. pone in luce l’accento che storicamente è stato dato al conflitto tra le teorie di Darwin e la visione religiosa sull’origine dell’essere umano, chiarendo come lo stesso Darwin non fosse un avversario del cristianesimo. McGrath si sofferma sugli errori derivanti da un uso scorretto della scienza, che spesso riguardano attività che non hanno una stretta relazione con la scienza in quanto tale, come avviene ad esempio nel caso dell’eugenetica. Lungo il libro, McGrath dialoga criticamente con Dawkins, che riconosce come il massimo esponente del “nuovo ateismo”. Critica la sua interpretazione delle teorie darwiniane, che renderebbero superflua la fede, ma in realtà Dawkins, osserva McGrath, ignora il rapporto metafisico fra Causa prima e cause seconde e la modalità moderna con cui sant’Agostino interpretava la Genesi assai prima che Darwin formulasse le sue teorie.

Nel sesto capitolo l’A. si sofferma sulla concezione dell’anima e contesta le teorie riduzionistiche che riducono la fenomenologia dello spirito umano alla fisiologia del cervello. Al contempo, egli mette in luce l'errore dualista di stampo platonico e cartesiano di coloro che considerano l'anima umana come una sostanza spirituale indipendente dalla corporeità. Piuttosto che un'anima incarnata, per l'A. l'uomo è giustamente un corpo animato, la cui spiritualità si esprime in una rete di relazioni interpersonali. Tuttavia, nelle poche pagine in cui quest'importante argomento viene trattato, si fa sentire la mancanza di un cenno alla comprensione aristotelico-tomista dell'anima come forma del corpo, sottintesa dalla posizione adottata dall'A. Infine, egli descrive come numerosi studi psicologici sembrino avvalorare la tesi secondo cui la religione sarebbe un fenomeno “naturale”, chiarendo come questo vada compreso.

L’A. dedica un capitolo all’etica e all’ipotesi che essa possa trovare nella scienza un fondamento. McGrath, in realtà, ritiene che la scienza non possa dirci ciò che sia giusto o sbagliato. In un’analisi del saggio Il paesaggio morale di Harris, l’A. mostra come fondare l’etica sulla scienza porti a snaturare la scienza stessa. Harris infatti basa la propria convinzione che la scienza sia in grado di indicare valori morali sull’assunto che la morale accresca il benessere degli uomini. Ma è proprio tale assunto, secondo McGrath, a non essere basato su alcuna evidenza scientifica. La storia ci narra infatti numerosi tentativi falliti di costruire sistemi etici a partire da presupposti scientifici.

Nel capitolo conclusivo l’A. si sofferma su quali elementi in particolare possano arricchire il dialogo fra scienza e religione. In un’interessante sintesi della propria posizione, parla di “terza via” in riferimento alla possibilità di sposare un criterio di pensiero secondo il quale «la scienza e la fede possono fornirci mappe diverse ma potenzialmente complementari dell’identità umana» (p. 28) Egli ammette che “la terza via” descritta potrebbe legittimamente essere non condivisa e mette in evidenza come nel libro abbia volutamente sottolineato la dimensione intellettuale della fede cristiana, pur con la consapevolezza che il cristianesimo non sia solo un approccio intellettuale alla realtà.

Il libro termina con un epilogo nel quale l’A. sottolinea il significato che la “terza via” abbia avuto per lui in termini di entusiasmo e appagamento intellettuale. «[…] ho cercato di trasmettere quella sensazione di gioia e di pienezza intellettuale che mi procura l’esplorare la vivida visione della realtà prodotta dal libero confronto critico e dal libero arricchimento reciproco tra scienza e fede» (p.218)

Elena Pautasso