Le principali correnti del pensiero demografico

Gérard-François Dumont
2002

Il pensiero demografico può essere diviso in tre scuole principali: la prima aspira a creare un ordine statale che controlli od imponga un ordine demografico, considerando l’uomo prima di tutto come un cittadino dello stato; la seconda manifesta il “timore dei limiti”, proponendosi di imporre vincoli alla creatività dell’uomo; solo la terza privilegia la ricerca della verità e merita di essere classificata come scientifica.

Benché la demografia, in quanto scienza, sia relativamente recente, il “pensiero demografico” è piuttosto vecchio. Attraverso i secoli, una stessa questione, quella di quale sia il numero auspicabile di uomini sulla terra, resterà viva e darà luogo a risposte contrastanti. È strano constatare che i progressi della scienza della popolazione non abbiano modificato questi contrasti.

    

Lo Stato controllore di un ordine demografico

L’idea della necessità di un ordine demografico statale è sviluppata in modo dettagliato sia in Platone, sia in Aristotele. Secondo Platone (427-347 a.C.), il popolamento di un territorio non può essere lasciato al caso. Di conseguenza lo Stato deve regolare la vita degli individui; così parla delle unioni coniugali: «Tu, dunque, legislatore, come hai scelto gli uomini sceglierai anche le donne cercando di assortire il più possibile le nature simili» [1]. Allo stesso modo l’educazione dei bambini dipende interamente dallo Stato, come sostiene Socrate in un dialogo del Timeo platonico: «Non abbiamo preso delle misure affinché nessuno possa mai riconoscere come suo il bambino che gli nascerà?». Precisando ancora la sua nozione di ordine statale, Platone fissa una cifra demografica precisa, precisando che la città «deve far corrispondere il numero delle famiglie a cinquemilaquaranta» e che «il numero delle famiglie costituite e distribuite ora da noi, tante devono essere sempre e non crescere mai di una unità, né calare di una» [2]. La cifra segnalata non è casuale, ma è scelta perché divisibile per tutti i numeri da 1 a 12 (eccettuato l’11), cosa che facilita l’amministrazione e l’organizzazione militare della città.

Platone non si accontenta di definire degli obiettivi, ma precisa anche i mezzi che lo Stato deve utilizzare per mantenere l’ordine demografico: controllo quantitativo delle nascite, ma anche “qualitativo”, con l’eliminazione «dei soggetti inferiori dell’uno e dell’altro sesso». Il pensiero platonico non lascia molto spazio alle scelte individuali, considerando l’uomo come una piccola particella di uno stato collettivista.

Senza far riferimento al pensiero di Platone, le dichiarazioni contemporanee conformi a questo principio sono numerose: i media citano spesso l’una o l’altra dichiarazione spiegando che è impensabile che un determinato paese accolga più di un dato numero di abitanti senza subire conseguenze nefaste.

Aristotele (384-322 a.C) aderisce ugualmente all’idea di ordine demografico. Scrive così nella Politica: «una popolazione che raggiunge una cifra troppo elevata non potrà prestarsi ad un ordine ideale di popolazione». In questo senso non si può esitare ad «imporre delle restrizioni alla procreazione per fare in modo che le nascite non superino una determinata cifra». Tra i mezzi utilizzati per raggiungere questo obiettivo, c’è generalmente il ricorso all’aborto che «sarà praticato prima che la vita e la sensibilità giungano nell’embrione». Aristotele pensava che l’anima umana fosse introdotta nel processo generativo dal di fuori, diversi mesi dopo la fecondazione.

La lettura di Platone ed Aristotele appare stranamente moderna poiché rinvia a numerosi dibattiti contemporanei: fissare un numero massimo di abitanti, controllo delle nascite, aborto, eugenismo. Un tale pensiero, fondato su una preoccupazione di ordine demografico, ha ispirato, in alcuni periodi, differenti politiche coercitive del XX secolo in numerosi paesi, soprattutto in Cina ed in India. Queste politiche hanno fallito ed alcune di esse hanno provocato effetti perversi perché erano antinomiche, sia verso la verità umana sia verso la realtà delle logiche demografiche [3].

   

I malthusiani ed il pessimismo demografico

Platone ed Aristotele propongono un pensiero ordinato basato su una concezione della vita in società che privilegia lo Stato, contrariamente a quanto stabilisce un sano «principio di sussidiarietà». Ma questi autori non avevano un pensiero pessimista: ogni superamento del loro obiettivo demografico quantitativo è altrettanto grave quanto il fatto di non raggiungerlo; in questo caso bisognava incoraggiare le nascite o, come ultima sponda, fare appello all’immigrazione.

Il pensiero demografico pessimista, al contrario, aderisce all’idea di una fatalità della natura contro l’uomo. Espresso nel corso della storia da diversi autori, esso viene sistematizzato in modo molto chiaro da Robert Malthus (1766-1834) nella sua opera Saggio sul principio di popolazione (1798): «Considerando la popolazione mondiale con un qualsiasi punto reale di partenza, mille milioni, ad esempio, la specie umana crescerebbe come la successione 1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, 128, 256, 512, ecc. e la sussistenza come 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, ecc. In due secoli e un quarto il rapporto delle popolazioni con i mezzi di sussistenza sarebbe di 512 a 10; in tre secoli di 4096 a 13». Secondo “la legge sulla popolazione di Malthus”, i mezzi di sussistenza possono solo crescere secondo una progressione aritmetica, mentre la popolazione, che non è fermata da alcun ostacolo, «raddoppia ogni venticinque anni secondo una progressione geometrica». In conseguenza di questa doppia fatalità, Malthus propone essenzialmente di applicare un “obbligo morale”, scartando tutte le soluzioni che considera vizi (omosessualità, adulterio, aborto).

Ma già prima di Malthus, e dopo la prima edizione del suo libro, le evoluzioni umane e demografiche hanno permanentemente smentito questa tesi, che si basa su postulati sbagliati, carenti di uniformità, che esprimono un pessimismo fondamentale sulla capacità dell’uomo libero di inventare, rinnovare, creare, adattarsi. A dispetto della sua condanna da parte dei fatti, il ragionamento quantitativo iniziale di Malthus, pronunciato prima della diffusione della rivoluzione industriale, dello sviluppo della transizione demografica e dei considerevoli progressi tecnici degli ultimi secoli, non ha smesso di essere ripreso in un mondo completamente differente. Ciò è servito ad alcuni dei nostri contemporanei, come nel caso del cosiddetto Club di Roma, per sostituire «geometrico» con «esponenziale». Quindi, con Malthus, questi autori hanno concluso che la crescita della popolazione mondiale, annunciata come esponenziale, è una minaccia e giustifica espressioni come «bomba demografica» o «esplosione demografica», espressioni che risultano però totalmente inadeguate di fronte all’analisi demografica scientifica [4]. Ciò di cui piuttosto si tratta è di imporre ai paesi in via di sviluppo un controllo demografico, dando nel contempo il buon esempio, organizzando, cioè un simile controllo anche nei paesi più sviluppati.

I neo-malthusiani traggono, dai loro postulati, un gran numero di applicazioni ben lontane dagli impegni morali del pastore Malthus, poiché sostituiscono “l’obbligo morale” con politiche statali coercitive, e a volte con il rifiuto di ogni morale nelle relazioni umane. Come dimostra Michel Schooyans (1995 e 1997), in tale problematica si intrecciano due discorsi ideologici: il primo è tipicamente malthusiano, e consiste nel ripetere all’infinito che ogni diminuzione della crescita demografica si trasforma in un migliore sviluppo. Il secondo discorso, contrario al pensiero di Malthus, è di tipo edonista; il piacere individuale viene privilegiato rispetto alla missione dell’uomo, giustificando così tutti quei comportamenti che condurrebbero a questo fine.

Il pessimismo demografico dei neo-malthusiani risponde ad una concezione dell’uomo certamente diversa da quella della Bibbia, non considerando la persona umana come il centro della creazione. Trattato come una particella elementare tra le altre dell’ecosistema, l’uomo non merita alcuna considerazione particolare. Un tale pensiero è ben evidenziato, in modo aneddotico, in alcuni paesi europei con l’intento di sostituire le pecore con i lupi negli alpeggi. L’uomo non è che un fattore tra tanti altri e spesso un fattore spiacevole, che si toglierebbe volentieri di mezzo dall’ecosistema: così ha dichiarato il tanto apprezzato comandante Cousteau al Corriere dell’Unesco (novembre 1991): «È terribile a dirsi, ma bisogna che la popolazione mondiale si stabilizzi e, per ciò, bisognerebbe eliminare 350.000 uomini al giorno».

Gli ideologi di questo neo-malthusianesimo, che invece di fare della demografia si dovrebbe forse dire abbiano fatto della «demografia-spettacolo» [5], hanno festeggiato il 12 ottobre 1999 a Sarajevo la nascita del sei miliardesimo uomo, ma non hanno mai ammesso i loro errori né si pronunciano su numerose realtà demografiche. Così una stima proiettiva della popolazione della Nigeria è stata ribassata di 34 milioni nel 1991, e ancora di 8 milioni nel 1999, facendo però passare tali revisioni sotto silenzio. Allo stesso modo, l’avanzamento dell’inverno demografico, in un’Europa che registra più decessi che nascite, non è mai stato evocato né analizzato [6]. Nessuna traccia neanche della rapidità della decelerazione demografica, suscettibile di condurre ad un vero e proprio crash demografico [7]. Il pessimismo demografico, basato sulla “paura dei limiti”, è dunque una vera ideologia, che omette sistematicamente di praticare l’integrità dell’insegnamento metodologico demografico sistematizzato da Claude Bernard.

   

Obiettività della ricerca scientifica e fede nell’uomo

Dopo John Graunt, la demografia ha al proprio attivo numerosi lavori realizzati ricorrendo con maggiore precisione al metodo scientifico, con l’unico scopo di migliorare la conoscenza. Ciò non impedisce assolutamente che chi si occupa di demografia abbia, in quanto essere umano, un proprio pensiero, viva o si proponga dei valori. In effetti, la completezza della conoscenza richiede allo stesso tempo scienza e dottrina (cioè un insieme di valori). La scienza tende a dividere inevitabilmente la realtà, per conoscerla meglio, mentre questa forma, in verità, qualcosa di unitario.

La dottrina è dunque un complemento necessario, poiché lega la realtà per facilitare anch’essa, a suo modo, la conoscenza: è un’interpretazione della vita integrata in un insieme più vasto, in cui tutti i componenti si chiariscono a vicenda. Scienza della popolazione e visione dell’uomo non sono esclusive, ma complementari. L’obiettività, come virtù scientifica, non impedisce di proporre un modo di pensiero unitario che permetta di avanzare, al di là dei risultati dei propri lavori scientifici, verso un’interpretazione più completa della realtà capace di nutrire positivamente la riflessione.

Riassumendo i suoi insegnamenti sulle ricerche sulla popolazione della Francia, Jean-Baptiste Moheau (Recherches et considérations sur la population de la France, Paris, 1778) sottolineava l’importanza dell’umanità riunita nel suo insieme in una meditazione che ricordava i due “infiniti” di Blaise Pascal: «il tempo, lo spazio, la moltitudine, tutto ci riporta al sentimento della nostra debolezza; ma quando considerate gli uomini nel loro insieme, è allora che il nostro essere riprende un carattere di dignità».

Moheau insiste sui limiti dell’uomo isolato e sulle forze degli uomini riuniti. Tutto ciò si potrebbe applicare ad ogni progetto di sviluppo, proposto da individui singoli o da tutti i protagonisti di un territorio: i «progressi umani sui quali l’abitudine ci fa fermare l’occhio ed indebolisce la nostra ammirazione, sono opera della popolazione riunita; se si disperde, perde la sua azione. […] Quando gli uomini sono riuniti, ogni secolo, ogni anno, ogni giorno aggiunge qualcosa alla loro ricchezza intellettuale o fisica».

Mentre gli approcci malthusiani sostengono che la ricerca scientifica impone dei limiti alla possibile pressione demografica, Esther Boserup (1970) mostra, al contrario, che è la pressione demografica a dare impulso alla ricerca scientifica. In effetti, una debole densità di popolazione si accompagna generalmente ad una troppo estensiva utilizzazione del suolo. Se questa debole intensità perdura, nulla giustificherà un uso più intensivo, cioè più efficiente, del suolo. Solo la crescita demografica, moltiplicando i bisogni, può creare le condizioni che rendano necessaria una modifica dei metodi culturali e che dia il via ad un processo di sviluppo economico. La crescita demografica esercita una pressione innovatrice costringendo le società (e fornendo ad esse i mezzi, attraverso l’afflusso di una nuova manodopera) a modificare la quantità di lavoro e la propria produttività, cioè i fondamentali modi di produzione [8].

Attraverso le sue ricerche, Julian L. Simon (1985) conferma le analisi precedenti. Esaminando differenti serie cifrate, egli constata che la pressione demografica crea le condizioni che permettono di spiegare lo spirito di inventiva e le possibilità di progresso tecnologico. Bisogna notare che questo autore, come prima di lui numerosi anti-malthusiani del XIX secolo, ebbe una precedente formazione malthusiana. Modificando il suo punto di vista con l’analisi dei fatti, egli dimostra che «le persone in sovrappiù producono, infatti, più di quello che consumano». E conclude: «La crescita demografica ha degli effetti positivi su un lungo periodo, malgrado i costi occasionali a breve termine» illustrando tutto ciò con una frase di Richard Frank [9]: «La necessità è la madre dell’invenzione».

Dal canto suo, Alfred Sauvy, senza dubbio il più grande demografo del XX secolo, ha studiato l’importanza delle relazioni tra il progresso tecnico e la popolazione attiva occupata. Nella sua opera La montée des déséquilibres démographiques (1984), giunge alla conclusione che «l’opinione ha spesso una vista troppo micro-economica e non percepisce l’effetto positivo del progresso tecnico sull’uso generale dell’economia. Le argomentazioni avanzate oggi contro l’informatica, perché toglie lavoro, sono esattamente le stesse utilizzate due secoli fa contro le macchine di allora, il telaio o l’ago per filare» [10]. In un altro testo, affermerà che è la società ad allontanare i giovani dalla vita attiva e, una volta che li ha allontanati, espulsi, li accusa di essere di troppo.

Sauvy accusa il malthusianismo constatando: «mai, in alcun tempo, in alcun luogo, c’è stato un esito felice in un paese dalla debole demografia». Egli si appoggia su esempi presi dalla storia economica [11]. Così, durante il XIX secolo, territori a crescita demografica più elevata (Fiandre, Bretagna, Germania) hanno conosciuto dei miglioramenti della produzione e della produttività molto più rapidi rispetto a paesi la cui popolazione non aumentava per niente (Vallonia, Guascogna, Francia).

Anche se non si riferiscono a princìpi religiosi e se alcuni di loro si considerano agnostici, questi ricercatori trovano, tramite la scienza, la speranza presente nel cuore delle religioni del Libro, che porta inoltre a rifiutare ogni paura di un numero troppo grande di uomini, dato che ogni uomo è creato ad immagine di Dio. In principio, precisa la Genesi, fin dalle prime frasi della Sacra Scrittura, «la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso» [12]. Per la bellezza della terra Dio realizza la creazione richiedendo la presenza anche di giardinieri, e crea l’uomo il sesto giorno: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» [13].

Perché gli uomini possano essere giardinieri della terra bisogna che siano numerosi, come precisa il testo sacro: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”» [14]. Un po’ più avanti, sempre nella Genesi, dopo il Diluvio è scritto: «Dio benedisse Noé e i suoi figli e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra. Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere”» [15].

Se, il primo giorno, «le tenebre ricoprivano l’abisso» è anche perché la terra non era curata per mancanza di essere umani che potessero occuparsene. Effettivamente ci sarà bisogno di uomini per dissodare o sistemare delle zone paludose. Così la Borgogna, terra piena di rovi e di cespugli, invasa dagli insetti, non aveva risorse agricole. I grandi dissodamenti del Medio Evo incoraggiati, e a volte organizzati dai monaci cistercensi, resero questa terra piacevole e produttiva. Lungo alcune paludi o lungo delle coste umide, l’uomo inventerà, tempo dopo, la tecnica dei polders, rendendo accoglienti terre inospitali. Gli uomini hanno saputo lavorare anche non poche terre aride, sistemandole a terrazze, o come risaie.

Tra le altre grandi religioni dell’umanità, nessuna è esplicitamente antinatalista. Il Corano presenta la fecondità come una benedizione e come un dovere. Un hadith (detto del Profeta) precisa: «Sposatevi, crescete e moltiplicatevi, poiché mi inorgoglisca di voi presso le nazioni nel giorno del giudizio finale» [16]. Ai nostri giorni va menzionata l’iniziativa della Chiesa cattolica di costituire il Pontificio Consiglio per la Famiglia (1994), con il compito, fra l’altro di affrontare i problemi demografici alla luce delle esigenze dell’etica umana e della morale evangelica. È dovere della Chiesa e dei cristiani quello di segnalare degli ostacoli, fissare dei paletti e, soprattutto, tracciare delle strade.

I credenti invitano, dunque, i demografi all’obiettività scientifica e nutrono la speranza che lo scienziato, credente o meno, sia impegnato nella direzione di ricerche demografiche che migliorino la nostra conoscenza.

 


[1] Cfr. PLATONE, La Repubblica, lib. V.
[2] Cfr. PLATONE, Leggi, lib. V.
[3] Cfr. G.F. DUMONT, Les aspects socio-demographiques de la famille dans le monde, “Anthropotes” 12 (1996), n. 1, pp. 119-132.
[4] Cfr. G.F. DUMONT, De “ l’explosion ” à “ l’implosion ” démographique?, “Revue des Sciences morales et politiques”, 1993, n. 4, pp. 583-603.
[5] Cfr. G.F. DUMONT, La démographie-spectacle, in “Population et avenir”, Paris, n° 645, novembre-décembre 1999.
[6] Cfr. G.F. DUONT, Le monde et les hommes, les grandes évolutions démographiques, Editions Litec, Paris 1994.
[7] Cfr. M. SCHOOYANS, Le crash démographique, Le Sarment-Fayard, Paris 1999.
[8] Cfr. L. CANTONI, Popolazione e sviluppo. Alcune pietre d’inciampo, in “Population et développement”, a cura di N. Zwicky-Aeberhard, A. Zurfluh, Thésis Verlag, Zurich 1997, pp. 98-122.
[9] Cfr. R. FRANK, Northern Memories, 1694.
[10] Cfr. A. SAUVY, La montée des déséquilibres démographiques, a cura di G.F. Dumont et al., Economica, Paris 1984, p. 37.
[11] Cfr. A. SAUVY, in La France ridée, a cura di G.F. Dumont et al., Hachette, Paris 1986.
[12] Cfr. Gen 1, 2.
[13] Cfr. Gen 1, 27.
[14] Cfr. Gen 1, 28.
[15] Cfr. Gen 9, 1-2.
[16] Cfr. Libro del Corano, XXIV, 33.

   

G.F. Dumont, Demografiain Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press - Città Nuova, Roma 2002, pp. 368-372.