L'enigma dell'origine della vita sulla terra

Andrea Guerritore
2002

Connotati ancora largamente sconosciuti ha pure la questione di come sia per la prima volta comparsa sulla terra, in mezzo a materia non vivente, una struttura contenente informazione genetica, capace di replicarsi. Si tenga presente che, avendo il pensiero biologico attuale fatta propria l’idea di evoluzione, la domanda si pone solo relativamente ad un primo evento iniziale, dal quale possono essere partite, ed essersi ramificate, le sequenze delle generazioni successive. La domanda resta comunque, allo stato attuale, senza una risposta convincente.

Le numerose ipotesi formulate si collocano fra due diverse visioni. La prima è una visione di indole determinista e meccanicista, in cui la vita è riducibile a leggi perfettamente quantificate e ad eventi predicibili. Recenti acquisizioni scientifiche e filosofiche, specie quelle in merito al ruolo dei fenomeni impredicibili e complessi, mostrano attualmente la sua insufficienza. La seconda è una concezione di tipo “vitalista”, nella quale si ipotizza che i fenomeni biologici siano guidati da una sorta di “psiche”, che assicurerebbe la ragione della differenza qualitativa tra la vita e la materia non vivente. In certa continuità con il vitalismo, altri intendono introdurre, anche a livello scientifico, la presenza di elementi spirituali o di finalismi estrinseci, che oltrepassano quelle idee di teleonomia e di auto-organizzazione che l’indagine scientifica può certamente recepire nel suo studio sugli esseri viventi, ma il cui ulteriore rimando all’idea di “progetto” o di “disegno intelligente” (intelligent design), sarebbe compito della filosofia della natura e non più della biologia.

In merito ad un confronto col pensiero filosofico o teologico, è presente in molti l’idea, enfatizzata da certa divulgazione scientifica, che una volta trovata una formulazione scientifica soddisfacente per spiegare l’origine della vita, sarebbe allora unicamente la scienza, e non altri, a possedere i perché “ultimi” della sua comparsa sulla terra. In realtà, l’eventuale riproduzione in laboratorio di un organismo vivente, ove ciò fosse di fatto realizzato, non obbligherebbe a vedere la vita come un prodotto del cieco caso, né implicherebbe la negazione di un’intenzionalità creatrice. I tre livelli, scientifico, filosofico e teologico, rispondono a domande diverse. Allo stato attuale, comunque, l’origine della vita e la sua emergenza sulla materia restano, nell’ambito delle scienze biologiche, un enigma ancora aperto.

Dal punto di vista storico può essere interessante ricordare che fino a solo un paio di secoli fa era attiva la discussione sulla “generazione spontanea”, ovvero la possibilità che forme di vita si sviluppassero da materia non più vivente. Era infatti opinione comune che la vita potesse generarsi sia attraverso il seme della propria specie, sia mediante la trasformazione di composti chimici in putrefazione; in quest’ultimo caso, ancora parecchi autori medievali ritenevano che ciò si potesse realizzare grazie all’energia proveniente dal sole o da altri corpi celesti. Si deve a Francesco Redi (1626-1698) il primo suggerimento che i vermi prodottisi nella putrefazione della carne erano in realtà larve di mosche previamente depositate da mosche adulte; e a Lazzaro Spallanzani (1729-1799) la dimostrazione che brodi di cottura, isolati dal contatto con l’aria, non generavano, come si credeva, organismi viventi.La questione fu però radicalmente risolta solo più tardi, grazie alle ricerche sui processi di fermentazione di Louis Pasteur (1822-1895) che dimostrò come anche per i microrganismi valga pienamente l’enunciato di Virchow: omnis cellula e cellula.

Sebbene tale problematica si collochi su un piano diverso da quello dell’origine della vita sulla terra — in quest’ultimo caso, infatti, non si avrebbe a che fare con una generazione spontanea in tempi brevi, come negli esperimenti dei secoli scorsi, ma con un tentativo di ricostruire teoricamente o sperimentalmente quanto lentamente avvenuto nelle trasformazioni dell’ambiente terrestre primordiale — menzionarla può servire a ricordare che, da un punto di vista filosofico, la produzione di esseri viventi da sostanze materiali inerti non pareva suscitare uno speciale problema.

Alcuni ricercatori hanno provato ad ottenere direttamente in laboratorio la sintesi, a partire da materiali chimici molto semplici, di composti organici complessi, in vista della “costruzione” di un piccolo organismo vivente. Partendo dai lavori iniziali di A. Oparin (1924) e poi di S. Miller e H. Urey (1953), essi hanno tentato di ricostruire teoricamente, e quindi di riprodurre in laboratorio, la composizione di un ambiente terrestre primordiale, e la relativa chimica disponibile, nel periodo di tempo che intercorse fra 4,6 miliardi (epoca di formazione della terra) e 3,4 miliardi di anni fa (corrispondente all’età dei più antichi microfossili). All’ambiente così ricostruito venivano fornite opportune forme di energia — ad es. raggi UV, raggi X, scariche elettriche o, più recentemente, rapide ed intense escursioni termiche. Sebbene il quadro teorico delle condizioni iniziali del pianeta ed i modelli del suo sviluppo siano divenuti nel tempo, col procedere degli studi, sempre più coerenti ed attendibili, anche grazie ad un approccio multidisciplinare — chimico, biologico, ma ora anche astrofisico —, sotto l’aspetto sperimentale non vi sono stati, per gli ultimi 50 anni, risultati qualitativamente diversi. Sono stati sintetizzati alcuni fra i costituenti degli acidi nucleici e delle proteine, ma la struttura di tali composti organici è ancor ben lontana da quella di un organismo vivente capace di replicarsi. Vi sono stati progressi nella comprensione dei possibili habitat dove la vita possa essersi sviluppata — non solo l’acqua marina, ma anche rocce (grafite e pirite), microgocce in sospensione ricoperte da opportune membrane protettive, sorgenti vulcaniche terrestri o sottomarine, o altro —, ma dei prodotti di sintesi finora ottenuti nessuno è di natura biologica. Su questo argomento ecco come ha voluto esprimersi uno degli scopritori della doppia elica del DNA, Francis Crick: «Un uomo onesto, munito di tutte le conoscenze attuali, può solo affermare che per ora, in un certo senso, l’origine della vita appare quasi un miracolo, tante sono le condizioni che hanno dovuto essere soddisfatte perché si realizzasse» [Life itself. Its Origin and Nature, London-Sidney 1982, p. 88]. Si noti che Crick è personalmente lontano dal voler suggerire interventi “soprannaturali” diretti in merito all’origine della vita sulla terra. Con serietà di ricercatore, sostiene soltanto che, di fronte agli enigmi non risolti, lo studioso della natura deve anche sapere coraggiosamente pronunciare il suo ignoramus. L’origine della vita risulta essere una questione scientificamente non risolta, che va riproposta come problema aperto.

    

A. Guerritore, Biologia, in Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press - Città Nuova, Roma 2002, pp. 223-224.