In questo brano Luisa Muraro, tra le voci più rilevanti del femminismo italiano, solleva alcune obiezioni contro il fenomeno della “maternità surrogata”, noto anche come “gravidanza per altri” (GPA) e stigmatizzato con l’espressione “utero in affitto”. La critica rivolta a questo genere di pratica e alla sua legalizzazione in alcuni Paesi, argomenta l’autrice, non è in contraddizione con le rivendicazioni del femminismo ma ne accoglie anzi le istanze più profonde, relative alla difesa della libertà e della dignità delle donne.
Non so se l’idea di commissionare la confezione di una creaturina umana con un regolare contratto commerciale sia mai apparsa in qualche romanzo di fantascienza per descrivere gli usi e costumi di una civiltà aliena. Sicuramente è apparsa sul pianeta Terra. Non come una fantasia, ma come una pratica garantita dalla tecnoscienza e dal diritto commerciale. Di conseguenza al fatto che la cosa c’era, è venuta la discussione. Meglio tardi che mai. Per chiuderla, qualcuno ha detto che si tratta ormai di un fatto compiuto. Ma gli inizi della specie umana risalgono a più di due milioni di anni fa e questa faccenda di riprodursi per interposta persona è cominciata trent’anni fa, diamoci il tempo di pensare! Non c’è accordo neanche sul nome: utero in affitto, maternità surrogata, surrogacy, GPA (gravidanza per altri)… Io li userò tutti e ne proporrò altri ancora. Appena trovato un nome, la polemica se ne impadronisce e c’è tutto un inseguimento semantico. Purché non se ne impadroniscano quei personaggi kafkiani che, chiusi in qualche ufficio, fissano una terminologia e inventano sigle che non hanno significato. Vorrebbe essere una terminologia universale, in realtà è fatta per uniformare il linguaggio e il pensiero, che è ben altra cosa. Per arrivarci, infatti, bisogna distruggere le connotazioni, che sono i colori e i profumi dei nomi, e impedire al pensiero d’immaginare le cose. Questa della terminologia – che, per essere universale, diventa uniforme e scolorita – è una storia nota. Ripenso alla comparsa del termine inglese gender che, dopo qualche anno di uso sensato, doveva sostituire definitivamente e universalmente, chissà perché, la parola sesso. Sempre meglio delle sigle, ma povere maestre! Come faranno a insegnare l’italiano? La lingua viva è viva!
Molti motivi e circostanze della riproduzione umana per interposta persona si vedono a occhio nudo. C’è il desiderio di
generare, frustrato dalla sterilità, la potenza dei soldi su chi ne ha pochi, la potenza dei soldi in chi ne ha molti, la presenza di un mercato globale, le facilitazioni offerte dalle tecnologie riproduttive. Qualcuno ci ha messo anche l’aumento della sterilità delle coppie nei paesi ricchi. Ci sono pure dei precedenti. Il più antico e preciso, che arriva fino a due secoli fa nei paesi schiavisti, sono le donne obbligate a procreare per conto dei padroni. Tra quelli prossimi, ci sono gli accordi spontanei tra una donna sterile e una donna feconda, l’esempio della prostituzione, le nuove forme di vita familiare… L’elenco finirebbe per estendersi a molta parte della nostra cultura, dalla politica dei diritti al primato dell’economia finanziaria, dalla fine del patriarcato alla mentalità creata dal neoliberismo. La questione, infatti, è come un ingorgo estemporaneo di tanti problemi che sono stati male risolti o mai affrontati e che hanno incrociato un certo numero di opportunità. Due precedenti si prestano a entrare nel vivo senza tanti giri di parole. Uno è l’istituto dell’adozione, l’altro è la pratica dell’allattamento mercenario. La balia pagata pare ad alcuni giustificare, almeno in parte, la gestazione surrogata. Infatti, ci sono delle somiglianze e si può fare il confronto, ma la conclusione smentisce l’analogia: la balia integra la relazione materna e quello che le viene pagato, il latte, sgorga da lei in risposta, una risposta spontanea del suo corpo, al bisogno della creatura a lei affidata. Sull’adozione. Noi viviamo in paesi dove la materia vivente, come sangue e organi, non si compravende, si dona, e dove bambine e bambini non vanno messi in vendita né si comprano. Abbiamo presenti gli effetti deteriori della commercializzazione del sangue e degli organi, praticata in paesi meno civili dei nostri, e ci è stato spiegato perché sia doveroso passare per l’adozione a norma di legge. Come mai, dunque, ci troviamo a discutere sulla liceità del farsi fare delle creature umane a pagamento, come fosse un problema mai affrontato prima, sul quale non esistono criteri di giudizio? Perché questa disparità di giudizio e di sensibilità nella testa delle medesime persone? Non c’è un perché, è un’incoerenza dovuta ai cambiamenti storici. Il divieto della compravendita di creature da adottare viene dalla lotta per l’abolizione dello schiavismo moderno. Nella lotta, si è impegnata la migliore filosofia politica (Kant) e sul campo c’erano le migliori forze sociali, dai gesuiti nell’America latina alle femministe nell’America del nord. È un capitolo della storia moderna, nel suo brutto e nel suo bello. La maternità surrogata appartiene a un tempo successivo, il nostro, dove la legge la fanno sempre più i soldi. Doveva essere un modo, questo, per dire che di fatto comandano i più ricchi. Ma sta diventando vero alla lettera, perché i soldi, oggi, comandano ben più dei ricchi. […]
Alcune hanno detto alle femministe che sono critiche verso la surrogazione: «Proprio voi che avete fatto le battaglie per l’autodeterminazione, ora volete dire alle altre quello che devono fare?». Detta da uomini, questa protesta mi pare pretestuosa; proveniente da donne, sento le sue buone ragioni. C’è dentro un moto di respingimento d’ideali e di norme dettate da altri, che è parte della lotta per l’indipendenza simbolica. E ci ricorda una storia di soggezione che, senza negare direttamente la libertà delle donne, l’ha subordinata all’approvazione familiare e sociale. La ritroviamo in molti personaggi femminili della buona letteratura romanzesca, come il personaggio di Teresa, la principessina dei Viceré di De Roberto, per citarne uno di un libro che sto leggendo. La romanziera Jane Austen ha affrontato questa soggezione, che sfociava talvolta in guerra sorda tra madre e figlia, e l’ha risolta genialmente nell’ultimo dei suoi romanzi, Persuasione. Alle donne che protestano, rispondo che la nostra critica della surrogazione che si traduce in una nuova forma di subordinazione delle donne, secondo me è coerente con l’impegno femminista per la libertà. Se dovessi definirla, direi che la libertà è un godere di essere secondo la misura delle proprie possibilità, quelle che una (o uno) va scoprendo in sé e cerca di realizzare. La possibilità di diventare madre è una di queste ed è una prerogativa che in antiche culture perdute ha ispirato un rispetto sacro per il corpo femminile. Soltanto lo stato di necessità può giustificare, ai miei occhi, che una si privi delle sue prerogative senza con ciò sminuirsi. Ma non giustifica, al contrario, il contratto di surrogazione né il regime sociale che ha messo lei nella necessità di sottoscriverlo.
L. Muraro, L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto, La Scuola, Brescia 2016, pp. 9-13; 36-37.