Vangelo e letteratura: un itinerario possibile

Nicola Lagioia
2020

Diversi critici sostengono che la lettera­tura moderna si presenta come una parodia dell'epica o delle Scritture. L’Ulisse di Joyce lo è in effetti di entrambe. Stephen Dedalus e la sua accesa polemica anticlericale, Molly Bloom come improbabile semidivinità pagana, Leopold Bloom e il suo zoppicante inseguimento dei passi omerici. Finita l'era in cui era possibile essere eroi, e parimenti in epoca di scetticismo religioso, alla lettera tura occidentale non è rimasto – per mantenere la sua forza – che fare il gioco del funambolo sull'eredità di Atene e di Gerusalemme. Che si cerchi di riformularla, questa eredità, o si impieghi la vita nel tentativo di scrollarsela di dosso, gli impianti dell'epica, della tragedia greca, del Vecchio e del Nuovo Testamento, ce li portiamo dentro. Per ciò che riguarda il mondo cristiano, negli ultimi due secoli è più evidentemente facile ritrovarne le tracce nella letteratura nord-americana che in quel­ la europea. Herman Melville era un profeta veterotestamentario fuori tempo massimo, prossimo di Giona, in continuo dialogo (o polemica) con Qoelet.

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William Cuthbert Faulkner (25 settembre 1897 – 6 luglio 1962)

Se devo tuttavia citare un autore che per me ha avuto su questo piano un'importanza fondamentale, penso con certezza a William Faulkner. Ricordo la prima volta che ho letto in modo compiuto L'urlo e il furore, Luce d'agosto, Mentre morivo, Assalonne, Assalonne!, Palme selvagge. Tutto il meraviglioso armamentario del modernismo (flussi di coscienza, continui cambi di prospettiva, gestione di cronologie non lineari, sinestesia) veniva utilizzato per raccontare peccato e redenzione, tradimento e perdono, tragedia e speranza, fedeltà e ribellione, corruzione e desiderio, tracotanza e sacrificio.
L'impianto biblico era chiarissimo (e del resto Faulkner era di New Albany, in piena Bible Belt) ma al tempo stesso quei romanzi mi parvero in giovinezza come l'unica eresia praticabile – eretici rispetto alla superficialità del discorso pubblico che domina il mondo laico, eretici per libertà rispetto alle retoriche confessionali– per gravitare il più vicino possibile intorno al nucleo irriducibile che ci mantiene umani. A proposito di parodie: Faulkner diceva di essersi accostato all'Ulisse di Joyce (da cui ha preso il meglio) «come un predicatore battista analfabeta davanti alla Bibbia: con fede». Al tempo stesso raccontava in modo scanzonato da dove veniva la sua quasi perfetta conoscenza dei testi sacri: «Il mio bisnonno era un uomo gentile e garbato, anche nei confronti di noi bambini. Voglio dire, nonostante fosse scozzese, non era né particolarmente pio né severo: era semplicemente un uomo dai principi inflessibili. Uno di questi era che tutti, bambini e adulti, dovessimo tenere pronto un verso della Bibbia a mo' di scioglilingua quando la mattina ci riunivamo a tavola per la colazione; se non avevi il verso bell'e pronto, non ti veniva data la colazione; ti veniva permesso solo di lasciare la stanza e di tornare quando te n'eri imparato uno (c'era una zia nubile che in quella situazione faceva un po' da sergente maggiore, si ritirava con il colpevole e gli dava una bella rinfrescata che, la volta dopo, gli avrebbe permesso di superare l'ostacolo)».

L'utilizzo antiretorico dei testi sacri non serve a Faulkner a fare una professione di fede che avrebbe indebolito la forza dei suoi libri, ma a offrirci – in un modo che all'epoca mi spiazzò e mi emozionò moltissimo, e peraltro continua a farlo – una possibilità di salvezza. «Tra il nulla e il dolore, preferisco il dolore». Credo che precetti come questi abbiano più speranza di fare breccia nel cuore dei giovani, istintivamente allergici al nichilismo. La salvezza cui si fa riferimento è naturalmente quella spirituale. Cosa fare nella vita per rimanere umani? Provare a amare, rispettare la propria e l'altrui complessità, scegliere la profondità, persino a rischio del proprio benessere e a costo dell'inquietudine perenne. In questo modo siamo ad esempio portati a considerare salvi, o perlomeno a guardare con occhi compassionevoli, gran parte dei componenti della famiglia Compson ne L'urlo e il furore, persino il suicida Quentin.
Il vero peccato non è commettere errori, anche gravissimi, o farsi vincere dalle proprie debolezze, ma diventare indifferenti.
Questa salvezza individuale diventa la salvezza di un intero popolo nell'altra grande figura della letteratura americana che, ponendosi sul capo opposto del secolo rispetto a Williarn Faulkner, ne raccoglie l'eredità.

Si tratta di Toni Morrison. Da un uomo a una donna. Da un wasp [n.d.r. White Anglo-Saxon Protestant - bianco di origine anglosassone e di religione protestante] a un'afroamericana.

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Toni Morrison (18 febbraio 1931 – 5 agosto 2019)

Romanzi come Amatissima, Sula, Il canto di Salomone rileggono a propria volta il modernismo (portandolo sulle soglie del XXI secolo), e usano le suggestioni della tragedia greca e delle Scritture per adattare al tempo presente un tema che nella Bibbia torna di continuo: il riscatto di un popolo oppresso. Non Israele, questa volta, ma l'enorme comunità afroamericana. Da una vastità all'altra: il respiro dei romanzi di Toni Morrison sembra passare per Esodo e per Isaia , e mantiene questa forza che saremmo portati ad associare, sul piano scenografico, a montagne o grandi distese d'erba o sabbia, perfino quando – ad esempio con Jazz – si circonda invece di suggestioni metropolitane.

Negli ultimi anni, una scrittrice che è riuscita credibilmente a portare terni religiosi sul territorio della narrativa è Marilynne Robinson. In un'epoca in cui le religioni vengono strumentalizzate in modo particolarmente ostinato dal potere politico, Robinson è riuscita a scrivere alcuni dei romanzi più complessi, sfuggenti e profondi tra quelli usciti nel XXI secolo. Si tratta di Gilead, Home e Lila, pubblicati in un arco temporale che va dal 2004 al 2014, anche se l'esordio dell'autrice avvenne nel lontano 1980 con un libro intitolato Housekeeping. È tuttavia la cosiddetta trilogia ad aver imposto la voce di Robinson a livello internazionale .

Questi tre romanzi sono ambientati nell'immaginaria cittadina di Gilead , nell'Iowa (com'era del resto immaginaria la faulkneriana contea di Yoknapatawpha, nel Mississippi), dove le vicende della famiglia del reverendo congregazionalista John Ames si intrecciano con quelle della famiglia del reverendo presbiteriano Robert Boughton. Non c'è pagina nei romanzi di Robinson che non ponga i suoi protagonisti davanti a una scelta. In certi casi si tratta di una scelta pratica: fare o non fare una determinata cosa, con tutte le conseguenze etiche che ne derivano. Ma in altri casi, e sono la maggior parte, proprio perché si possa fare quella scelta in libertà, Marilynne Robinson riesce a illustrare i crocicchi mentali davanti a cui ci troviamo di continuo, i percorsi interiori che riusciamo a padroneggiare quando non ne siamo vinti soccombendo alla forza della rabbia, della frustrazione, dell'invidia, della gelosia, del risentimento. Al tempo stesso, Marilynne Robinson riesce a mostrarci il percorso che conduce al superamento di questi ostacoli interiori oltre i quali, inaspettatamente, possono spalancarsi territori completamente nuovi, calpestando i quali riconosciamo in noi una forza, un'energia, una sapienza e insieme una leggerezza del mondo insospettati. 
Siamo nel campo dell'etica? Siamo nel regno della religione? O si tratta solo di psicologia sostenuta dalla forza dirompente della narrativa a cui sono piegati persino i temi religiosi? Siamo addirittura nel campo delle neuroscienze? E cosa c'entrano le neuroscienze con il cristianesimo?
In realtà la religione cristiana, così presente nei libri di Marilynne Robinson, non mi sembra chieda al lettore una professione di fede. La religione cristiana, in questi libri, è piuttosto una griglia, uno schema interpretativo e insieme uno strumentario a cui tutti – credenti o no – possono attingere per provare a evolversi come singoli, nonché come parte di una comunità. Se una delle nostre auspicabili destinazioni di specie ci porta ad allontanarci dalla violenza originaria, nei romanzi di Robinson (la quale ha aderito alla fede congregazionalista dopo essere stata per anni presbiteriana) le Scritture sono usate come uno strumento di emancipazione. È questo, credo, ad aver portato Barack Obama, proprio nel periodo in cui era presidente degli Stati Uniti, a voler intervistare Marilynne Robinson. Obama aveva molto amato alcuni libri di Robinson, letti nelle pause durante i lunghi giri della campagna elettorale da senatore intrapresa anni prima. Tra i due è nato un dialogo sorprendente dove la scrittrice è arrivata a sostenere che la democrazia, fondata idealmente su un patto di fiducia, diventa l'inevitabile conseguenza (non il contrario) dell'umanesimo religioso al suo più alto e nobile livello.

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Marilynne Robinson (26 novembre 1943)

Leggendo Marilynne Robinson non ho abbandonato il mio agnosticismo convincendomi definitivamente che il Dio cristiano esista, ma ho ricevuto la conferma che il Vangelo può essere un formidabile strumento di trascendenza. Che cos'è la trascendenza, nella lunga storia dell'uomo, se non anche il progressivo liberarsi dal potere della violenza, dall'istinto di prevaricazione, dall'egoismo e dalla paura? Non siamo in fondo già trascesi rispetto agli uomini che praticavano la legge del taglione? Questo tipo di trascendenza incrocia il concetto di evoluzione? Sicuramente tra le nostre possibilità c'è quella di aprirci la strada verso dimensioni esistenziali, emotive e spirituali inedite. Probabilmente ne abbiamo bisogno. Quali, allora, per vivere degnamente il XXI secolo? E se il Vangelo, letto attraverso la lente dopomoderna di certi romanzi, fosse uno strumento di trascendenza in grado di portarci in una dimensione più evoluta che non è tuttavia precisamente quella a cui dichiara di condurti, una dimensione in cui – al posto del Dio biblico, pensabile all'inizio del percorso – ci fosse qualcosa di non pensabile prima di averlo raggiunto? Dio è allora il segno di un alfabeto sconosciuto che muta di significato a seconda della sapienza di chi ci guarda dentro? Ecco cosa sono arrivato a domandarmi, leggendo i libri di Marilynne Robinson.
In Europa mi sembra che la presenza della trascendenza, o di temi di tipo religioso, nella narrativa degli ultimi decenni sia meno evidente, o forse dovrei dire più nascosta. Ha probabilmente più a che fare con la teologia negativa. O forse è il continuo ascolto del silenzio di Dio. Dopo la Shoah, i versi di Celan, le vertiginose speculazioni di Primo Levi ne I sommersi e i salvati, non è facile per scrittori e intellettuali del Vecchio Continente accostarsi con la dovuta profondità ai temi religiosi senza vacillare. Un Dio che consente Auschwitz è una contraddizione. L'ombra di un demiurgo è più credibile, persino a livello percettivo oltre che speculativo. Eppure, più nascosti che evidenti, dei segni non mancano. Pochi, per esempio, hanno prestato la dovuta attenzione al finale di Serotonina, l'ultimo romanzo di Michel Houellebecq, dove a un certo punto la lucidità lenticolare della sua prosa cede il passo al mistero e, ancora più esplicitamente, in contrasto con l'umanità perduta frustrata e depressa dell'Europa continentale raccontata nel romanzo, si fa chiara menzione al Figlio. Un altro grande scrittore francese della nostra epoca, Emmanuel Carrère, ha dedicato la sua ultima importante opera letteraria, Il regno, al primo secolo dell'era cristiana e al suo complicato e ondivago rapporto con la fede. È difficile, passando dalla letteratura all'arte, non pensare ad Anselm Kiefer. O, passando dall'arte al teatro, è d'obbligo soffermarsi sul traumatico e intensissimo approccio che Romeo Castellucci e la Socìetas Raffaello Sanzio intrattengono con il concetto di sacro. L'Europa delle arti, insomma, mi sembra avere un rapporto più angoscioso, verticale, nascosto, ma non per questo meno interessante, con le tematiche religiose. Per non parlare di ciò che ci aspetta: cosa accadrà quando incroceremo gli schemi narrativi e simbolici delle Scritture (o la loro parodia romanzesca) con la vita di tutti i giorni, quando intelligenza artificiale, manipolazione genetica, rivoluzione informatica entreranno in una fase più matura, passando per un eventuale ma non improbabile momento di singolarità?

Come scrittore, mi sono ritrovato per tre anni a seguire una vicenda tragica. Una storia vera che ho provato ad approcciare, e a comprendere, sempre che sia possibile farlo fino in fondo, con alcuni degli strumenti propri della letteratura. Un omicidio in cui erano coinvolti tre ragazzi più giovani di me. Un episodio terribile che ha investito con grande violenza la vita di tre famiglie e delle comunità a loro legate. Ho rinunciato per una volta alla finzione perché mi sembrava che la capacità di introspezione propria della lingua letteraria anche in assenza di una storia inventata, la particolare postura dello scrittore di romanzi nel suo rapporto con il mondo, la sua peculiare tendenza a gestire una conversazione a più voci, la gestione di codici narrativi attraverso cui anche la semplice realtà (ciò che è davvero successo) può essere scomposta portando in luce elementi altrimenti non visibili fossero ideali, o comunque meno inaffidabili, per accostare il mistero angosciante di una storia del genere. La distruzione di una vita è sempre un evento definitivo per chi resta? C'è una possibilità di riscatto o redenzione per i colpevoli? Il dolore dei parenti delle vittime, se non cancellabile, è in parte medicabile? Ci sono colpe che sopravvivono in eterno? Che cos'è, oggi, la responsabilità individuale? E – ai tempi dei social – di cosa può essere responsabile una comunità? Che cos'è la giustizia, al di qua e al di là di un tribunale? Tutte domande che mi hanno tenuto per anni in un continuo stato di tensione, e di fronte alle quali, senza l'eredità della tragedia greca e delle Scritture – persino senza le loro parodie – mi sarei sentito ancora più fragile e impreparato.

N. Lagioia, Vangelo e letteratura: un itinerario possibile«Vita e Pensiero», 103 (2020), n. 2, pp. 127-132. Si ringrazia Vita e Pensiero per il permesso di riproduzione del testo nel progetto DISF-Educational.

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