La teologia cristiana e le origini della scienza in Occidente: riflessioni di storici e scienziati

   

Alfred North Whitehead, La scienza e il mondo moderno (1925)

«Non credo però di aver ancora messo in evidenza il grande contributo dato dal Medioevo alla formazione del movimento scientifico. Intendo parlare della fede inespugnabile che ogni evento particolare può essere correlato, in modo perfettamente definito, ai suoi antecedenti e fungere da esempio di princìpi generali. Senza questa fede l'enorme lavoro degli scienziati sarebbe disperato. A questa fede istintiva, vivamente sostenuta dall'immaginazione, che costituisce il principio motore della ricerca: v'è un segreto, e questo segreto può essere svelato. Come si è insediata così saldamente nello spirito europeo questa convinzione?

Se paragoniamo il “tono” del pensiero europeo con l’atteggiamento di altre civiltà abbiamo la sicura impressione che il primo sia originato da una sola fonte. Non può infatti provenire che dalla concezione medioevale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l’energia personale di Yahwèh e la razionalità di un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità. Non parlo, si badi, delle convinzioni dichiarate di pochi individui. Ciò che ho in mente è l'impronta lasciata nello spirito europeo da una fede secolare e incontestata. A questo che intendo con “tono” istintivo del pensiero e non un mero credo espresso con parole.

In Asia i concetti di Dio riguardavano un essere troppo arbitrario o troppo impersonale perché tali idee di esso riuscissero a determinare abitudini istintive della mente. Qualunque evento determinato poteva essere attribuito al fiat di un despota irrazionale o scaturire da qualche “origine delle cose” impersonale e imperscrutabile. Mancava quella fiducia che proviene dall’idea della razionalità intelligibile di un essere personale».

tr. it. Boringhieri, Torino 1979, pp. 30-31.

 

M. Scheler, Sociologia del sapere (1924)

«Finché la natura è colma di forze personali e volontarie, divine e demoniache, essa è nella misura in cui lo è, esattamente ancora un “tabù” per la scienza. […] Chi considera le stelle come divinità visibili, non è ancora maturo per un’astronomia scientifica. Il monoteismo creazionistico giudaico-cristiano e la sua vittoria sulla religione e sulla metafisica del mondo antico fu senza dubbio la prima fondamentale possibilità per porre in libertà la ricerca sistematica della natura. Fu un mettere in libertà la natura per la scienza in un ordine di grandezza che forse oltrepassa tutto ciò che fino ad oggi è accaduto in Occidente. Il Dio spirituale di volontà e di lavoro, il Creatore, che nessun greco e nessun romano, nessun Platone e Aristotele conobbe è stato – l’ammetterlo sia cosa vera o falsa – la maggior santificazione dell’idea del lavoro e del dominio sopra le cose infraumane; e nel medesimo tempo operò la più rande disanimazione, mortificazione, distanziazione e razionalizzazione della natura, che abbia mai avuto luogo, in rapporto alle culture asiatiche e dell’antichità».

tr. it. Abete, Roma 1966, pp. 78-79.

 

Eric Mascall, Christian Theology and the Natural sciences (1956)    

«Vi è una relazione molto stretta fra la fede cristiana in un Dio, soggetto insieme razionale e libero, e il metodo delle scienze empiriche. Un mondo creato dal Dio cristiano sarà simultaneamente contingente e ordinato. Presenterà regolarità e forme stabili, perché il suo Creatore è razionale, ma le regolarità e le forme che esso contiene non possono essere predette a priori, perché Egli è libero: possono essere scoperte solo mediante un esame sperimentale. Il mondo, come concepito dal teismo cristiano, è un campo ideale per l’applicazione del metodo scientifico, con la sua duplice tecnica di osservazione ed esperimento».

Longmans, London 1956, p. 132.

 

Thomas Forsyte Torrance, Transformation and Convergence in the Frame of Knowledge  (1984)

«Ci sono ancora persone che guardano con sospetto il suggerimento che la fede di un Newton o di un Clerk Maxwell possa aver avuto un’influenza sui punti fondamentali della formazione delle loro teorie scientifiche. Eppure, la storia del pensiero occidentale mostra che in realtà lo sviluppo della scienza naturale non si può separare da idee fondamentali che derivano dalla tradizione giudeo-cristiana. C’è un’interazione più profonda tra la teologia e la scienza di quanto ci si renda conto di solito» .

tr. it. Senso del divino e scienza moderna, LEV, Città del Vaticano 1992, p. 321.

«La teologia cristiana aveva rifiutato i presupposti determinanti della scienza e della filosofia greca — relazione necessaria tra il mondo e Dio e biforcazione fra materia e forma — ed aperto la strada per una scienza naturale realistica; una scienza in cui la conoscenza fedele dell’universo si può stabilire sotto il controllo della sua realtà contingente indipendente e dell’intelligibilità ad esso inerente conferitale da Dio.

Questo modo cristiano di vedere l’universo creato ebbe l’effetto di liberare la comprensione della natura dalla morsa di ferro di forme di pensiero necessarie applicate forzosamente dall’esterno, e richiese invece uno studio aperto dei suoi processi intrinseci e del loro ordine nascosto, nonché lo sviluppo di modi di indagine scientifica autonomi e adatti alla formulazione di leggi autonome della natura».

ibidem, p. 58.

 

Stanley Jaki, La strada della scienza e le vie verso Dio (1978)

«Fra gli antichi greci le prese di posizione a favore del monoteismo e di una creazione dal nulla erano a dir poco sporadiche, come faville di un fuoco che non si sarebbe mai trasformato in una luce universalmente diffusa. In parte, questa interpretazione deve essere stata accettata, se un libro sulla razionalità greca si conclude osservando mestamente che, a differenza del cristianesimo, il pensiero greco “non riuscì ad imporre nessun corpo dottrinale filosofico a tutta la popolazione”. L’ascesa della scienza, come apparve chiaro in seguito, richiese la diffusione ampia e duratura in tutta la popolazione, cioè in una intera cultura, di un corpus dottrinale che riferiva l’intero universo a una intelligibilità universale e assoluta, concretizzata nel dogma di un Dio personale, Creatore di tutto».

tr. it. Jaca Book, Milano 1988, p. 47. La cit. è da G. Boas, Rationalism in Greek Philosophy, Baltimore 1961, p. 479.

«I primi tremila anni e più sono stati una serie regolare di vicoli ciechi storici, una successione di aborti ripetuti della scienza: la sua nascita poté avvenire solo quando se ne piantarono i semi in un terreno che la fede cristiana in Dio aveva reso recettivo alla teologia naturale e all’epistemologia che ne derivava.

Il passaggio da quella prima nascita riuscita alla maturità, poi, non si compì né in nome dell’empirismo baconiano né in quello del razionalismo cartesiano ma in una prospettiva affine alla teologia naturale, una prospettiva che Newton, responsabile principale del completamento di questa transizione, adottò istintivamente. I due secoli successivi videro il sorgere di movimenti filosofici, ostili tutti alla teologia naturale, i quali ad onta della loro sottomissione formale alla scienza costituivano per essa una minaccia […].

Planck e Einstein, meglio consapevoli di altri di come la scienza esatta della natura intorno al 1900 presentasse difetti molto gravi, non avevano nessun interesse dichiarato per la teologia naturale, eppure formularono la diagnosi e trovarono la cura per la situazione con l’aiuto di un’epistemologia che, a loro insaputa, era la base comune della strada del progresso scientifico e delle uniche vie affidabili della mente di Dio».

ibidem, pp. 234-235.

 

Paolo Zellini, Numero e Logos (2010)

«Nella teologia numero e logos trovano il loro punto di incontro più certo e preciso, anche se non sempre esplicito, nel confronto reciproco di diverse allusioni a una Sapienza, a uno Spirito, un Nous o un Logos preesistente che sarebbe stato vicino all’Essere supremo fin da principio, e da cui sarebbe dipesa tutta la creazione.

È in questo Logos che risiede l’intelligenza matematica delle cose, ed è in parte dal dogma cristiano dell’incarnazione che è dipeso il destino della scienza che ha creduto di vedere nel mondo, nel modo più positivo, i segni della perfezione del Logos […]. Fu questo il grande passaggio dalla scienza antica a quella moderna: cercare in terra quello che prima si scrutava in cielo; scrutare nelle proprietà dei numeri e della materia i segni del mondo divino, non per risalire a quel mondo, ma per conoscere sulla terra l’intima e divina essenza delle cose e, successivamente, le sole leggi immanenti del loro comportamento».

Adelphi, Milano 2010, pp. 178 e 223-224.

 

Bibliografia:

H. Butterfield, Le origini della scienza moderna (1957), Il Mulino, Bologna 1998

E. Grant, The Foundations of Modern Science in the Middle Ages. Their Religious, Institutional and Intellectual Contexts, Cambridge University Press, Cambridge 1996

P.E. Hodgson, Scienza, origini cristiane della, in “Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede”, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Urbaniana University Press - Città Nuova Editrice, Roma 2002, pp. 1262-1272

R. Hooykaas, Religion and the Rise of Modern Science, Scottish Academic Press, Edinburgh 1972

T.E. Huff, The Rise of Early Modern Science: Islam, China and the West, cambridge University Press, Cambridge 1995

D.C. Lindberg, The Beginning of Western Sciences. The European Scientific Tradition in Philosophical, Religious and Institutional Contexts, 600 B.C. to A.D. 1450, The University of Chicago Press, Chicago 1992

S.L. Jaki, The Relevance of Physics, University of Chicago Press, Chicago 1970

S.L. Jaki, La strada della scienza e le vie verso Dio (1978), Jaca Book, Milano 1988

S.L. Jaki, Il Salvatore della scienza (1988), LEV, Città del Vaticano 1992

O. Pedersen, Il Libro della natura, Paoline, Milano 1993

T. Torrance, Senso del divino e scienza moderna, LEV, Città del Vaticano 1992