Tempo ciclico e tempo lineare nel cristianesimo

Mircea Eliade
1949

Nel brano riportato qui di seguito, lo storico delle religioni Mircea Eliade riflette su come il paradigma del tempo ciclico, dominante nel mondo classico, sia entrato in contrasto con il cristianesimo, portatore di una concezione lineare del tempo. Per i primi autori cristiani è chiaro che la storia ha un corso lineare, un inizio e un fine, ed è dunque portatrice di senso; la visione ciclica è condannata perché meno affine alla libertà umana che si esprime nella storia. Mircea Eliade segnala che la concezione ciclica verrà poi reintegrata nel cristianesimo attraverso la visione periodica della ciclicità delle epoche. In realtà, anche se la tradizione ebraico-cristiana impiega i cicli (feste, memoriali, settimana, anno liturgico) lo fa per ricordare un evento specifico, datosi una volta per tutte, affinché, mediante la riproposizione di un ciclo, la sua memoria venga più facilmente conservata nel tempo, come accade con il sabato ebraico (compimento della creazione) e la domenica cristiana (risurrezione di Cristo). È comunque vero che tempo ciclico e tempo lineare convivono all’interno del cristianesimo fino al definitivo affermarsi, nel XVII secolo, dell’idea di un progresso lineare e potenzialmente infinito, anch’esso figlio della visione escatologica cristiana, l’unica entro la quale la nozione di progresso e, più tardi, quella di evoluzione, avrebbero potuto svilupparsi. L’ottimismo moderno, tipicamente illuminista, legato all’idea di un progresso illimitato, entrerà in crisi tra fine Ottocento e inizio Novecento, con il ritorno in vari campi del sapere – dalla filosofia all’economia – di una concezione ciclica degli eventi. 

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Particolare del manoscritto "De proprietatibus rerum", 1350 ca., Bibliothèque Sainte-Geneviève, Parigi

Se passiamo all'altra concezione tradizionale — quella del tempo ciclico e della rigenerazione periodica della storia, sia che metta in gioco il mito dell'a “eterna ripetizione” o no — sebbene i primi autori cristiani vi si siano opposti all'inizio con accanimento, essa ha finito tuttavia per penetrare nella filosofia cristiana. Ricordiamo che per il cristianesimo il tempo è reale poiché ha un senso: la redenzione. «Una linea diritta traccia il cammino dell'umanità dalla caduta iniziale fino alla redenzione finale. E il senso di questa storia è unico, poiché l'incarnazione è un fatto unico. Infatti, come insistono il capitolo 9 dell'Epistola agli Ebrei e la Firma Vetri 3,18, il Cristo è morto per i nostri peccati una sola volta, una volta per tutte (hapax, ephapax, semel); non è un avvenimento ripetibile, che possa riprodursi più volte (pollakis). Il fluire della storia è così comandato e orientato da un unico fatto radicalmente singolare. E, di conseguenza, il destino di tutta l'umanità, come il destino particolare a ciascuno di noi, si gioca anch'esso una sola volta, una volta per tutte, in un tempo concreto e insostituibile che è quello della storia e della vita».[1] Questa concezione lineare del tempo e della storia è tracciata già nel secolo II da Ireneo di Lione e verrà ripresa da san Basilio, san Gregorio e infine verrà elaborata da sant'Agostino.

Ma, a dispetto della reazione dei Padri della Chiesa, le teorie dei cicli e delle influenze astrali sul destino umano e sugli avvenimenti storici sono state accolte, almeno in parte, da altri Padri e scrittori ecclesiastici, come Clemente Alessandrino, Minucio Felice, Arnobio, Teodoreto. Il conflitto fra queste due concezioni fondamentali del tempo e della storia si è prolungato fino al secolo XVII. Non possiamo qui riassumere le mirabili analisi di Pierre Duhem e di L. Thorndike, riprese e completate da Sorokin.Ricordiamo soltanto che, all'apogeo del medioevo, le teorie cicliche e astrali cominciano a dominare la speculazione soteriologica ed escatologica. Già popolari nel secolo XII,esse ricevono una elaborazione sistematica nel secolo successivo, in seguito soprattutto alle traduzioni di scrittori arabi.Ci si sforza di stabilire correlazioni sempre più precise tra i fattori cosmici e geografici e le rispettive periodicità (nel senso già indicato da Tolomeo, nel secolo II d.C, nel suo Tetrabiblos). Un Alberto Magno, un san Tommaso, un Ruggero Bacone, un Dante (cf. Convivio, 2, 14) e parecchi altri credono che i cicli e le periodicità della storia del mondo siano retti dall'influenza degli astri, sia che questa influenza ubbidisca alla volontà di Dio e sia il suo strumento nella storia, o — ipotesi che si impone sempre di più — che la si consideri come una forza immanente al cosmo.In breve, per adottare la formula di Sorokin,il medioevo è dominato dalla concezione escatologica (nei suoi due momenti essenziali: la creazione e la fine del mondo), completata dalla teoria della ondulazione ciclica che spiega il ritorno periodico degli avvenimenti. Questo doppio dogma domina la speculazione fino al secolo XVII, anche se parallelamente comincia a farsi luce una teoria del progresso lineare della storia. Nel medioevo i germi di questa teoria sono riconoscibili anche negli scritti di Alberto Magno e di san Tommaso, ma soprattutto con l'Evangelo eterno di Gioachino da Fiore si presenta con tutta la sua coesione e integrata in una geniale escatologia della storia, la più importante che abbia conosciuto il cristianesimo dopo sant'Agostino. Gioachino da Fiore divide la storia del mondo in tre grandi epoche, ispirate e dominate successivamente da una diversa persona della Trinità: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Nella visione dell'abate calabrese, ognuna di queste epoche rivela, nella storia, una nuova dimensione della divinità e, per questo, permette un perfezionamento progressivo dell'umanità che conduce, nell'ultima fase — ispirata dallo Spirito Santo — alla libertà spirituale assoluta.

Ma, come dicevamo, si impone sempre più la tendenza a una immanentizzazione della teoria ciclica. A fianco di voluminosi trattati astrologici si fanno luce anche le considerazioni dell'astronomia scientifica. Così, nelle teorie di Tycho Brahe, Keplero, Cardano, Giordano Bruno o Campanella, l'ideologia ciclica sopravvive a fianco della nuova concezione del progresso lineare professata, per esempio, da un Francesco Bacone o da un Pascal. A partire dal secolo XVII il linearismo e la concezione progressista della storia si affermano sempre di più, instaurando la fede in un progresso infinito, fede già proclamata da Leibniz, che domina nel secolo dei “lumi” e che viene volgarizzata nel secolo XIX dal trionfo delle idee evoluzionistiche. Bisogna attendere il nostro secolo per veder sorgere di nuovo certe reazioni contro il linearismo storico e un certo ritorno d'interesse per la teoria dei cicli:così assistiamo, in economia politica, alla riabilitazione delle nozioni di ciclo, di fluttuazione, di oscillazione periodica; in filosofia il mito dell'eterno ritorno viene di nuovo alla ribalta con Nietzsche; o nella filosofia della storia uno Spengler o un Toynbee si occupano del problema della periodicità.



[1] H.CH. PUECH, La Gnose et le temps, in « Eranos-Jahrbuch », xx, 1951, pp. 70 ss.

M. Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, Borla, Bologna 1975, pp. 181-184