Molti scienziati hanno ritenuto di sì. Le leggi di natura, come vengono scoperte e impiegate soprattutto nelle scienze fisiche, sono strutture matematiche comprensibili, normalmente semplici ed eleganti, che legano fra loro un insieme di grandezze fisiche e di valori numerici. Sono leggi la cui “intelligibilità” non dipende totalmente dal soggetto che le scopre e le osserva, ma soprattutto dalla realtà oggettiva. Le leggi di natura sono, eventualmente, la testimonianza di una “Intelligenza” dalla quale la realtà potrebbe dipendere, ma non sono una dimostrazione razionale dell’esistenza di un Dio personale. Tuttavia, gli attributi di intelligenza e di ragione sono spesso associati, nella storia della filosofia, alla nozione di Dio. Il Dio della tradizione ebraico-cristiana crea ogni cosa nel Logos, cioè secondo una parola razionale.
Le leggi di natura sono presenti fisicamente nel mondo reale oppure sono nostre costruzioni mentali? Vi è differenza fra leggi di natura e leggi scientifiche?
La legge di gravitazione universale rappresentata dall’equazione di Newton, o le leggi della radiazione elettromagnetica rappresentate dalle equazioni di Maxwell sono certamente costruzioni della mente umana, ma non possono dipendere esclusivamente dalle formule matematiche escogitate dal soggetto. Queste formule rispecchiano una regolarità e una legalità realmente presenti nella natura delle cose. Il realismo delle leggi natura è ciò che consente alla scienza di progredire. Infatti, grazie a una visione oggettiva e non totalmente convenzionale delle leggi di natura, la scienza può offrire rappresentazioni sempre più fedeli della realtà e prevedere nuove scoperte.
Allo scopo di riconoscere il ruolo del soggetto e il comportamento della realtà oggettiva è necessario distinguere fra “leggi scientifiche” e “leggi di natura”. Le prime sono frutto della rappresentazione matematica escogitata dallo scienziato, sono rivedibili, si possono perfezionare e poi inglobare, come casi particolari, in leggi più ampie. Le seconde non sono una rappresentazione matematica, ma indicano il comportamento legale della natura e, pertanto, non cambiano. Le leggi scientifiche dipendono dalle leggi di natura, ma una legge di natura potrebbe essere descritta da diverse formule scientifiche, in epoche diverse e grazie ai progressi delle scienze. Il fatto che una massa gravitazionale ne attragga sempre un’altra è una legge di natura; possiamo descriverla con la formula della gravitazione universale di Newton oppure, due secoli e mezzo dopo, con le equazioni di campo della relatività generale di Einstein. Il fatto che una particella elementare si comporti, in identiche condizioni, sempre allo stesso modo è una legge di natura. I vari formalismi della meccanica quantistica con i quali rappresentiamo e calcoliamo questo comportamento, mutevoli nel tempo, sono invece leggi scientifiche. Le prime non possiamo maneggiarle in laboratorio, ma le riceviamo dalla realtà; le seconde dipendono dai nostri quadri interpretativi e dalle nostre teorie.
Le leggi di natura sono dunque presenti nel mondo reale, ma sono oggetto di una “filosofia della natura”, non della fisica o della chimica, o delle scienze in genere. Le leggi di natura, in ultima analisi, dipendono da ciò che la filosofia della natura e la metafisica chiamano causa formale, ovvero una causalità che, come la “causalità finale”, trascende l’ordine empirico. Se gli enti materiali si comportano sempre allo stesso modo e hanno delle proprietà specifiche, stabili, è perché essi hanno una determinata forma, o anche, perché essi posseggono e trasportano una certa informazione. Le cause formali sono i presupposti necessari dell’attività scientifica: la scienza non le crea, ma le riceve, e su di esse fonda la propria razionalità.
Nel Seicento e nel Settecento le leggi di natura venivano invocate per affermare l’esistenza di un Creatore. A partire dall’Ottocento sono state impiegate per mostrare che un Creatore era superfluo. A cosa si deve questo cambio di prospettiva?
Dalla seconda metà del Seicento fino a quasi tutto il Settecento il deismo aveva sviluppato l’immagine di un Dio Ragione, un Dio Architetto, che ben si coniugava con l’idea che le leggi naturali fossero la dimostrazione della sua esistenza. Anche la tradizione cristiana aveva incoraggiato l’osservazione dell’ordine nella natura vedendo in esso un riflesso dell’esistenza di Dio, senza mai impiegare le “leggi di natura” come una “dimostrazione” della Sua esistenza. Secondo i Padri della Chiesa, gli autori medievali e rinascimentali, guardando la natura si poteva risalire a Dio, muovendosi però su un piano filosofico ed estetico, non fisico o matematico. Inoltre, l’immagine del Dio rivelato in Gesù Cristo non è soltanto ragione o intelligenza, sebbene senza dubbio le includa. Il deismo spesso non accettava il Dio rivelato, ritenendo che solo la Ragione, non la Rivelazione raccolta nella sacra Scrittura, potesse riunire tutti gli uomini.
Fra fine Settecento e inizio Ottocento, lo studio della natura confluisce nel naturalismo e nel materialismo. Messo fra parentesi e poi dimenticato l’approccio qualitativo della filosofia, la matematica e l’approccio quantitativo sono visti sufficienti a fornire una rappresentazione esaustiva della realtà. Le leggi naturali sono autonome, funzionano da sole, dunque non hanno bisogno di Dio. Si dimenticano le cause formali e le cause finali e si ragiona solo in termini di cause efficienti, che sono quelle proprie dell’analisi fisica ed empirica. Il mondo è spiegato dalla matematica e dalle sue leggi, non da Dio. Ciò è vero, ma qui la nozione di “mondo” ha acquistato un significato diverso, indicando adesso solo gli aspetti misurabili e quantitativi della realtà. Sposando questa prospettiva, la scienza si trasforma in riduzionismo ontologico, una visione filosofica a priori non richiesta dall’attività delle scienze.
Oggi esistono prospettive scientifiche che hanno recuperato l’importanza delle cause formali e finali come premesse del lavoro scientifico, cioè come suoi presupposti senza dei quali non potrebbe esservi scienza. Ciò evita che lo studio delle leggi scientifiche, matematiche e fondate sulla misurabilità, venga impiegato come spiegazione esaustiva e sufficiente di tutta la realtà, e dunque come negazione di Dio. Se ciò accade è solo in un piccolo numero di scienziati, mentre la comunità scientifica generale ha abbandonato il riduzionismo ontologico e nei confronti della domanda su Dio assume posizioni agnostiche oppure credenti.
La nozione di legge rimanda a quella di un legislatore. La sacra Scrittura parla di leggi di natura? A quale immagine di Dio esse rimandano?
Sì, la sacra Scrittura ci presenta una “natura governata da leggi”. Il mondo creato da Dio possiede i caratteri della legalità, dell’ordine e della regolarità, perché effetto di una Parola intenzionale e intelligente, che è tuttavia anche la parola di un Dio provvidente e fedele. I principali contesti biblici che richiamano la presenza di leggi sono certamente i fenomeni celesti, come accade per quasi ogni tradizione filosofica o religiosa, ma anche il comportamento dei viventi e del loro habitat. Anche la persona umana e la sua vita morale sono presentate dalla Bibbia nel contesto di “leggi e di verità di natura”. La principale idea che emerge dalla sacra Scrittura è che la stabilità delle leggi naturali è espressione e immagine della fedeltà di Dio, della verità della sua alleanza con l’uomo, alleanza alla quale la creazione partecipa come tappa primordiale. Se dovessimo dire a quale immagine di Dio corrisponde un Legislatore autore delle leggi di natura, i suoi tratti non sono quelli di un Architetto, né di un Orologiaio o di una Ragione impersonale, bensì quelli di un Creatore fedele. Qui il termine “fedeltà” non vuol dire determinismo, bensì volontà e capacità di realizzare quanto si è promesso, e attraverso vie che solo Dio conosce. La natura poggia sul carattere della stabilità, non sul chaos o sull’eterno cangiante divenire, perché Dio è “fedele”. Il Dio biblico opera certamente attraverso le leggi, perché è la ragione ultima della loro specificità ed esistenza, ma egli opera anche al di là delle leggi (ad esempio attraverso i segni e i miracoli), in quanto è loro Creatore trascendente e non si identifica con esse.
Le nozioni di ordine e di intelligibilità che emergono dall’analisi delle scienze possono dialogare con la teologia cristiana della creazione, purché vengano superate due ambiguità. La prima è il deismo, nelle sue forme contemporanee: per essere riflesso di un Dio creatore, le leggi e l’ordine naturale devono restare aperte alla rivelazione del Logos, alla possibilità che Dio stesso irrompa nella storia, non negare a priori questa rivelazione, come ha fatto il deismo dell’epoca moderna. La seconda ambiguità da superare è il panteismo: chi riflette sulle leggi naturali o scientifiche deve ammettere che esse possano rimandare “al di là di sé stesse” e non identificarsi con una natura impersonale, che è in definitiva la prospettiva del naturalismo e, in certo modo, del materialismo.
La meccanica quantistica e le teorie della complessità hanno ormai superato l’idea classica che esistano delle “leggi di natura”?
Secondo alcuni la scienza contemporanea avrebbe operato una transizione dal cosmo ideale delle leggi naturali, ordinato e immutabile, all’universo reale dei processi evolutivi, disordinato e imprevedibile, togliendo significato alla nozione di legge di natura. La natura si presenterebbe come una serie di processi complessi, non rappresentabili mediante leggi. Le leggi naturali, associate a soluzioni stabili e a sviluppi predicibili, rimanderebbero all’idea di legame e di eterna ricorrenza, mentre l’ emergenza e la complessità rinvierebbero all’idea di creatività e di libertà. Secondo alcuni, una scienza liberata da tale legalismo dialogherebbe meglio con le discipline umanistiche, sensibili alla libertà e alla creatività.
In realtà, privilegiando l’idea di complessità non si rende superflua l’idea di legge di natura. Le leggi non “determinano” la natura, imprigionandola, ma consentono alla natura di essere sé stessa: se non vi fossero leggi di natura, cause formali, proprietà stabili, non vi sarebbe scienza. La complessità (ad es. le termodinamiche di non equilibrio) non negano l’esistenza di un “comportamento legale” della natura. Il fatto che molti fenomeni siano impredicibili o intrattabili matematicamente non equivale a dire che gli enti materiali siano totalmente indeterminati, caotici, perché se così fosse sarebbero inconoscibili. Quando dai fenomeni caotici emergono forme ordinate, come nella formazione di una stella ad esempio, ciò avviene proprio per l’azione di leggi di natura. Anche i fenomeni trattati in termini probabilistici ammettono leggi di probabilità.
La meccanica quantistica non nega l’esistenza di proprietà stabili e di un comportamento legale della natura. È vero che la meccanica quantistica ha dovuto confrontarsi con nuove visioni della realtà. Fra queste, il “principio di indeterminazione” (impossibilità di determinare con un qualsivoglia grado di accuratezza sia la posizione che la velocità delle particelle), il “principio di complementarità” (comportamento ondulatorio o corpuscolare dello stesso ente materiale) e i fenomeni di “non località” (fenomeni ove vi è una apparente violazione del trasporto temporale di informazione). In realtà, nessuno di essi nega l’esistenza di leggi di natura, come prima spiegate, cioè cause formali che siano il presupposto filosofico delle proprietà stabili e specifiche degli enti (particelle elementari, loro interazioni, etc.). L’indeterminazione quantistica a livello microscopico è infatti compatibile con una determinazione e una causalità a livello macroscopico (come accade quando usiamo un computer). Inoltre, i fenomeni quantistici non ammettono necessariamente delle interpretazioni idealiste (le proprietà delle cose osservate dipendono solo dall’osservatore), ma esistono anche delle interpretazioni realiste (tali proprietà esistono nella realtà, anche se le nostre categorie rappresentative e computazionali non sono sempre in grado di coglierle in modo coerente con il senso comune).
Che rapporto vi è fra le leggi di natura e la nozione di “legge naturale” impiegata in campo etico e morale?
La dizione “legge naturale” viene usata in ambito morale per indicare una norma etica intrinseca alla natura delle cose, presente nella persona umana e caratterizzante la società umana in quanto umana. Secondo un’impostazione classica, presente nella cultura greco-romana anche prima del cristianesimo, esistono delle leggi nella natura e nella vita che trascendono i nostri accordi e non sono frutto di convenzioni, né possono essere negoziabili. Ad esempio, il divieto di rubare ciò che non ci appartiene, dire il falso, uccidere una vita innocente, o quello di non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi stessi. La tradizione ebraico-cristiana ha associato il contenuto essenziale della legge morale naturale con il Decalogo, i 10 comandamenti trasmessi dalla Bibbia, ma in buona parte presenti anche in altre tradizioni filosofiche e religiose.
In un certo senso, la legge morale naturale è anch’essa una “legge di natura”, cioè una costante che caratterizza la specificità, in questo caso morale, di un individuo e di una società umana. Se non si vive e si opera secondo una legge morale naturale, cosa sempre possibile a motivo della libertà, ne nascono delle conseguenze: la persona umana perde la sua dignità, gli uomini non raggiungono la loro vera felicità, la società diventa invivibile. Ciò accade perché l’essere umano è una creatura, appartiene alla natura creata, possiede una verità come costituita dal suo Creatore: per questo, vivere la legge naturale altro non è se non “vivere secondo verità”, la verità che ciascuno è in quanto creatura.
La morale cristiana, in accordo con altre tradizioni religiose, ha sostenuto che la legge morale naturale è incisa nella coscienza dell’essere umano. Ogni persona, pertanto, può conoscerla perché legge incisa nel proprio cuore, anche se non fosse insegnata e affermata all’esterno. La legge morale naturale, dunque, viene presentata non come frutto di convenzioni rivedibili, risultato di condizionamenti culturali o di abitudini provvisorie e locali, bensì come qualcosa che attiene all’essere umano di ogni epoca e cultura, in quanto umano.
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In fisica-matematica indica la modalità operativa secondo la quale, conosciuto lo stato di un sistema e le leggi che descrivono l'andamento delle sue grandezze e di tutte le sue variabili nello spazio e nel tempo, è sempre possibile conoscere in modo deterministico la sua configurazione in ogni momento del passato o del futuro. Il determinismo si basa sull’assunzione teorica, rivelatasi poi erronea, ce ogni fenomeno in natura possa essere descritto in modo esaustivo e completo mediante rappresentazioni matematiche finite e convergenti, e dunque mediante algoritmi computazionali.
Ogni ente finito e contingente e ogni cambiamento, cioè ogni realtà sul piano dell’essere e tutto ciò che accade sul piano del divenire, sono sempre effetti di una causa. Il principio di causalità appartiene al senso comune, ovvero alla “filosofia prima” basata sull’esperienza: come tale, esso è formalmente indimostrabile ma rappresenta la premessa logica e ontologica di qualsiasi ragionamento. Il principio di causalità è valido anche a prescindere dalla successione temporale. Una causa può implicare un effetto anche solo sul piano logico, non soltanto su quello cronologico.
Principio induttivo appartenente alla filosofia della natura, secondo il quale gli enti materiali (gli oggetti della fisica, della chimica, etc.) manifestano un comportamento legale, cioè posseggono proprietà specifiche stabili che li identificano. Detto in altro modo: ogni ente materiale, in presenza delle medesime condizioni, si comporta sempre allo stesso modo. Il principio di legalità è ben distinto dal principio determinista, perché il comportamento stabile e legale di un ente non dipende dalla possibilità o meno di rappresentare tale comportamento in forma matematica.
Nella dottrina aristotelica della causalità indica una delle quattro cause che concorrono alla formazione di un ente (causa materiale, causa formale, causa efficiente e causa finale). Per essere tale, ogni ente ha una “forma”, una specifica natura, che fa sì che quell’ente sia ciò che è e non altro. L’esistenza di “forme”, cioè di cause formali, è un presupposto filosofico dell’analisi delle scienze, anche se queste ultime si occupano quasi sempre solo di cause efficienti. Nella scienza contemporanea, la nozione di forma e di causa formale torna a essere percepita, meglio che in passato, attraverso la nozione di informazione (biologia, fisica delle particelle, etc.).