La teoria del Big Bang esclude l’idea di creazione?

Giuseppe Tanzella-Nitti
Georges Lemaître (1894-1966) e Albert Einstein (1879-1955), gennaio 1933. Lemaître, cosmologo e sacerdote cattolico, fu il primo ad ipotizzare nel 1927 un universo in espansione, seguito poco dopo da Hubble nel 1929.

No, la teoria del Big Bang non esclude l’idea di creazione. Il Big Bang è un modello cosmologico, sebbene il più accreditato, e riguarda pertanto il discorso scientifico. La nozione di creazione appartiene al discorso filosofico, in particolare a quello teologico. I due discorsi hanno in comune la stessa realtà, l’universo fisico, ma ne parlano con metodi e prospettive diverse. La creazione è una relazione che lega le creature al loro Creatore: tale relazione trascende lo spazio e il tempo, è continua e, una volta inaugurata, è eterna. Il Big Bang indica un complesso di fenomeni fisici con i quali lo spazio-tempo, la materia, l’energia prendono forma ed evolvono. La relazione di creazione, come nozione teologica, è compatibile sia con il Big Bang, sia con altri modelli cosmologici.

Cosa indica il termine Big Bang e quali modelli cosmologici lo prevedono? Esistono altri modelli cosmologici per descrivere la struttura e l’evoluzione dell’universo fisico?

«Non penserete davvero che l’universo possa essere nato con un grande botto?». Con questa frase, pronunciata nel 1949 durante le conferenze radiofoniche della BBC intitolate The Nature of the Universe, l’astronomo Fred Hoyle introdusse per la prima volta il termine "Big Bang". Egli ironizzava così su quei modelli cosmologici in cui l’universo risultava provenire dall’espansione di materia ed energia a partire da una singolarità gravitazionale iniziale. In quegli anni Hoyle, insieme con altri astronomi, trattavano il cosmo come un oggetto stazionario, in cui avvenivano trasformazioni e processi, ma senza per questo implicare l’espansione a partire da qualcosa. Anche Albert Einstein, nei primi anni di attività, ritenne che l’universo potesse trovarsi in una situazione di “stato stazionario”. Fu Alexandr Friedmann, nel 1922, a trovare che le equazioni di campo gravitazionale di Einstein ammettevano anche delle soluzioni per un universo in espansione, a partire da una singolarità gravitazionale. I modelli cosmologici che prevedono un Big Bang sono numerosi, ma possono raggrupparsi in una grande famiglia di soluzioni, chiamate soluzioni di Friedmann-Lemaître, geometricamente rappresentate in una metrica spazio-temporale detta di Robertson-Walker (FLRW models). A partire dagli anni ’70 del XX secolo vengono introdotti modelli che non prevedono una singolarità iniziale, ma sono compatibili con un universo in espansione, detti modelli di Hartle e Hawking. Vi sono anche modelli di tipo quantistico, in cui ciò che avviene nella singolarità gravitazionale è dettato dalle leggi della meccanica quantistica: anche questi proseguono poi con un’espansione dello spazio-tempo e, in esso, della materia e dell’energia. I modelli di stato “stazionario” o “quasi-stazionario”, che non prevedono espansione, sono matematicamente consistenti, ma oggi si distanziano dalle osservazioni. I diversi modelli cosmologici proposti lungo gli anni differiscono poi in base agli scenari futuri: possono convergere nella rappresentazione dei primi istanti dell’evoluzione cosmologica ma differenziarsi, anche grandemente, al momento di prevedere la dinamica del cosmo in tempi lunghi e su grande scala. I modelli cosmologici dovrebbero sempre prevedere riscontri osservabili, consentendo così di separare quelli che soddisfano l’esperienza da quelli che soddisfano soltanto la coerenza matematica. L’adesione alla realtà resta il riferimento necessario della cosmologia, come di tutte le altre scienze.

Cosa intende la teologia cristiana quando parla di “creazione”?

Basata sulla sacra Scrittura, la teologia cristiana parla della creazione come l’atto trascendente e radicale con cui Dio trae dal nulla tutte le cose e le mantiene nell’essere. “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1). Così la teologia lo deduce dalle pagine del Libro della Genesi, da non pochi luoghi dei Salmi e dei libri sapienziali, e da alcune pagine dei Profeti. Dio è il creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili: per essere tale, il Creatore trascende la natura e la storia, è Essere e Vita sussistenti. I miti delle origini, le narrazioni fondative e la ricerca filosofica, ciascuno a modo suo e nel loro proprio contesto, si interrogano sull’esistenza di un Creatore o di un Principio dal quale tutto il reale tragga la sua origine.

Dire che l’universo è creato è molto più che dire che esso abbia avuto un inizio nel tempo: è affermare che esso dipende, sempre e integralmente, da Dio. La creazione non è un moto, né un passaggio da qualcosa in potenza a qualcosa in atto: è una relazione, continua e trascendente, che costituisce la creatura. Creando, Dio comunica ad ogni creatura non solo l’esistenza, ma anche le proprietà specifiche che caratterizzano la “natura” di ogni cosa. Il Creatore è causa non solo dell’essere delle cose, ma anche del fatto che le cose siano ciò che sono, ciascuna con la propria natura, caratteri e potenzialità. Dio crea dal nulla e crea per un fine. Il “nulla” non è il semplice vuoto fisico o quantistico, ma l’assenza di ogni essere e determinazione: niente spazio-tempo, niente leggi, niente geometria, niente dimensioni o realtà virtuali. Il Creatore, come essere personale, chiama all’essere per uno scopo: la teologia cristiana indica tale scopo nell’amore e nella volontà di partecipare fuori di Sé le sue perfezioni e la sua vita.

Poiché l’essere e la natura di ogni cosa dipendono da Dio Creatore, le trasformazioni e gli sviluppi che si danno lungo la storia, sia sul piano fisico che sul piano biologico, non sono azioni alternative alla relazione di creazione, ma la esplicitano. Dio (Causa prima) giunge a volere ogni cosa anche attraverso l’azione di altre creature (cause seconde).

Quali livelli di descrizione e di conoscenza dell’universo fisico sono interessati dalle risposte della Rivelazione ebraico-cristiana e quali, invece, dalle risposte della cosmologia fisica?

La nostra conoscenza fisica dell’universo, anche e soprattutto ciò che si riferisce ai primissimi stadi dell’evoluzione cosmica, deve basarsi su presupposti filosofici. La scienza non può partire da zero ma, appunto, da qualcosa. Perché la cosmologia studi l’universo, le sue trasformazioni e le sue leggi, occorre che l’universo esista; tutto ciò che in esso si forma e si trasforma, deve avere una natura specifica. È questo il presupposto ontologico della cosmologia. Affermando che Dio Creatore è la causa dell’essere e della natura di ogni cosa, la Rivelazione ebraico-cristiana non interferisce con la descrizione scientifica dell’universo fisico, ma al contrario le offre il fondamento necessario. I modelli cosmologici che vogliono dare una descrizione completa del tutto (Theory of Everything, TOE), cadono in contraddizioni e aporie, tipiche dei problemi di incompletezza logica: perché il sistema sia consistente, esso non deve cercare di auto-fondarsi, ma partire da qualcosa di ricevuto, come dato.

La risposta offerta dalla Rivelazione biblica e dalla teologia riguarda proprio il livello ontologico: Dio è la causa trascendente dell’essere del cosmo. La descrizione fisica parte da qui, esaminando come (ma anche perché) le varie fasi dell’evoluzione fisico-chimica del cosmo si sono svolte in un certo modo. Vi sono diversi livelli di perché. Il motivo del perché certi fenomeni accadono è l’esistenza di leggi di natura. A loro volta, il perché le leggi di natura sono così come sono e non altrimenti è un perché che trascende la cosmologia fisica: appartiene alla filosofia della natura e, in ultima analisi, alla teologia della creazione.

La teologia della creazione, in particolare, risponde al perché ultimo del mondo: l’universo esiste perché Dio vuole partecipare fuori di Sé, per amore, l’essere e la vita. Egli vuole il mondo perché desidera avere di fronte a Sé esseri personali. La rivelazione del Nuovo Testamento ci dice che Egli elegge e dunque crea figli nel Figlio, il Verbo fatto carne (cf. Gv 1,14; Ef 1,3-10). Basandosi sulla Parola di Dio, la teologia afferma che l’universo, la materia, è per la vita, la vita per l’essere umano, e che l’essere umano trova i suo compimento nell’Incarnazione del Verbo.

   

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Per saperne di più 

Il mistero della creazione nella visione biblica cristiana, di Giovanni Paolo II

La creazione? Un colpo ben orchestrato, di John Polkinghorne

Caro Hawking: il Big Bang non esclude Dio, di Sergio Givone

• Il Papa e il Big Bang. Il caso Pio XII - Lemaître (1951-1952) a proposito del rapporto fra cosmologia e creazione, di Giuseppe Tanzella-Nitti

Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, un commento di William R. Stoeger al libro di Stephen Hawking

Il grande disegno, un commento di Alberto Cappi al libro di Stephen Hawking e Leonard Mlodinow

Genesi e Big Bang, un libro di Piero Benvenuti e Filippo Serafini

All’inizio Dio creò i cieli e la terra, un documento della Conferenza Episcopale Svizzera

Glossario: 

Espressione coniata nel 1949 dall’astrofisico inglese Fred Hoyle per indicare che nei modelli cosmologici di universo in espansione l’inizio di tutte le cose sarebbe stato analogo ad una “grande esplosione”. L’immagine è solo una metafora, sia perché questi modelli non prevedono una matematica e una fisica che possano descrivere il punto corrispondente al tempo zero, sia perché una vera esplosione implicherebbe qualcosa di già esistente che deflagra, affermazione senza significato quando si parla di origine di tutte le cose.

In metafisica e in filosofia della natura la Causa prima indica la causa incausata, prima in senso logico e non solo cronologico, che implica tutto ciò che esiste e dalla quale tutto ciò che esiste trae origine. Le cause seconde ricevono dalla Causa prima l’essere e l’essenza, cioè la capacità di causare a loro volta. Le cause seconde (ad es. le leggi di natura) sono responsabili degli effetti che esse causano, a differenza delle cause strumentali (ad es. un martello), che causano solo in virtù dell’agente principale.

In metafisica e in teologia naturale indica l’origine radicale di tutte le cose dal nulla. La creazione dal nulla non è un passaggio, né un moto, bensì l’origine radicale e assoluta dell’essere, di ciò che è. Il nulla metafisico non è la semplice assenza di qualcosa, il vuoto fisico, lo spazio o altre determinazioni fisiche o matematiche. È, invece, il non-essere: niente spazio-tempo, niente leggi fisiche, niente geometria, niente determinazioni di nessun genere.

Modello cosmologico rifinito nel 1983 da Stephen Hawking e James Hartle, che descrive un universo auto-contenuto. Il modello matematico che lo rappresenta è tale che la variabile “tempo” t scompare quando t tende a 0, trasformando una geometria 4-dimensioniale in una 3-dimensionale. Il modello descrive dunque un universo in espansione senza origine. Chi identifica erroneamente la creazione (in metafisica o in teologia) con modelli cosmologici di Big Bang tende ad impiegare il modello di Hartle e Hawking per “negare”, in modo altrettanto erroneo, la creazione.

Ambito della riflessione filosofica noto come “filosofia dell’essere” (dal participio del verbo essere in greco, ón, óntos). Il termine, sorto nel XVII secolo, corrisponde a quanto, nell’epoca classica, veniva indicato come metafisica o “filosofia prima”. Mentre altre prospettive filosofiche si occupano delle specificazioni dell’essere, ad es. in quanto oggetto di trasformazioni, di moto o di osservazione sperimentale, l’ontologia si occupa dell’ente in quanto ente. L’ontologia, come discorso dell’essere, precede e fonda ogni altro discorso filosofico, come la filosofia della natura (discorso sull’ente in quanto mobile e in trasformazione) o l’analisi empirica (l’ente in quanto oggetto di misurazione quantitativa); precede anche la filosofia dell’esistenza, perché la riflessione sul senso dell’esistere segue la realtà dell’essere delle cose.

Limite fisico-matematico al quale tendono i modelli cosmologici di universo in espansione quando le dimensioni R dell’universo e la variabile tempo t tendono entrambe a zero (R —> 0, t —> 0). In questi modelli la “singolarità” resta un limite: le equazioni non sono definite in questo punto, in quanto grandezze come temperatura e densità dell’universo divergono, cioè tendono all’infinito. Viene chiamata “gravitazionale” perché, tendendo la densità della materia all’infinito, non abbiamo una fisica in grado di descriverle, per distanze inferiori a 10-43 cm (lunghezza di Planck), cosa avvenga dentro una singolarità.

Acronimo corrispondente all’espressione in lingua inglese “Theory of Everything”. Introdotto agli inizi negli anni ’80 del secolo scorso per indicare une teoria fisica capace di unificare le 4 grandi forze che regolano la struttura e l’evoluzione dell’universo fisico (gravitazionale, elettromagnetica, nucleare debole e nucleare forte), è stato successivamente impiegato per significare che l’origine dell’intera fenomenologia del cosmo sarebbe rappresentabile mediante un’unica grande teoria fisica. Quest’ultima accezione è però meta-empirica, perché a livello empirico tale formulazione risulterebbe insostenibile per motivi di incompletezza logica: una “teoria del tutto” dovrebbe includere anche una forma di ontologia.