Nel 1616 venne ingiunto a Galileo di insegnare il sistema copernicano soltanto ex suppositione, come mera soluzione matematica, in assenza di prove fisiche che lo dimostrassero come la situazione cosmologica reale. In quello stesso anno i libri che sostenevano il copernicanesimo vennero inseriti nell’Indice dei libri proibiti e il sant’Uffizio dichiarò erronea in filosofia la tesi che affermava il moto della Terra e la stabilità del Sole. Pubblicando il Dialogo sui Massimi Sistemi (1632) Galileo contravvenne al Decreto, sostenendo il copernicanesimo senza addurvi prove risolutive. Per questo motivo, il sant'Uffizio ingiunse nel 1633 allo scienziato pisano di sottoscrivere la tesi dell’immobilità della Terra e di ritirarsi a vita privata. Galileo si stabilì ad Arcetri, in una villa poco distante dal Convento ove risiedeva sua figlia, suor Maria Celeste.
Per quale motivo la teologia del XVII secolo affermava l’immobilità della Terra e quali insegnamenti della Chiesa cattolica tale affermazione intendeva proteggere?
L’immobilità della Terra non era affermata dalla teologia, ma dalla filosofia naturale, che svolgeva a quel tempo le funzioni di descrivere la natura e le sue leggi. Le scienze naturali non erano ancora consolidate e avrebbero definito il loro metodo proprio in quegli anni. L’immobilità della terra rispondeva alle osservazioni dell’uomo comune. All’epoca, nessun fenomeno osservato contraddiceva questa ipotesi. Il geocentrismo, che poneva cioè la Terra al centro del cosmo conosciuto, era un modello cosmologico ereditato dalla filosofia classica (Aristotele), applicato in astronomia da Tolomeo in avanti. Dopo qualche timido accenno nel pensiero greco antico (Aristarco di Samo), l’eliocentrismo, che poneva invece al centro il Sole, era stato introdotto da Nicolò Copernico con l’opera De revolutionibus orbium coelestium (1543). Il modello copernicano prevedeva orbite circolari dei pianeti in rotazione attorno al Sole. Dal 1609 al 1618 Johannes Keplero aveva pubblicato le leggi dell’orbitamento dei pianeti intorno al Sole, prevedendo però orbite ellittiche. Altri sistemi cosmologici, come quello di Tycho Brahe e Giovan Battista Riccioli, offrivano geometrie alternative. Tutti questi modelli erano in sostanziale accordo con l’astronomia di posizione conosciuta nel secolo XVII e risultava assai difficile, all’epoca, discriminare quale fosse quello giusto.
L’esegesi biblica del Seicento riteneva che l’immobilità della Terra si accordasse meglio con la sacra Scrittura. Il geocentrismo era accettato sia nella visione religiosa del mondo, sia dall’ambiente culturale generale. Riconoscendo il geocentrismo, la Chiesa cattolica non intendeva proteggere alcuna affermazione teologico-dottrinale collegata ad articoli della fede cristiana, ma sottoscriveva, semplicemente, una visione del mondo che riteneva trasmessa dalla sacra Scrittura, di cui si affermava l’autorità anche in materie di ambito fisico-naturale. Va tenuto in conto che la spiegazione ufficiale della Scrittura era riservata solo ai teologi e non veniva lasciata alla libera interpretazione dei laici, specie dopo il distacco dei Protestanti avvenuto a metà del XVI secolo: questi ultimi rifiutavano l’idea di un Magistero biblico ritenendo che ogni fedele laico potesse comprendere rettamente la Scrittura, perché illuminato dallo Spirito Santo. Non era dunque ben visto dagli ecclesiastici che il giudizio su quale dei due modelli cosmologici fosse in maggiore accordo con le Scritture, se il geocentrico oppure l’eliocentrico, venisse fornito da studiosi laici, come era appunto Galileo Galilei.
Poiché dalla mobilità o meno della Terra non dipendeva nessun articolo della fede cristiana, i rapporti dei teologi del Sant’Uffizio con Galileo furono di carattere disciplinare, non morale né dogmatico. Oggetto dell’ingiunzione mossa allo scienziato pisano fu di non aver rispettato una legge ecclesiastica che, in assenza di prove accettate dalla comunità scientifica del tempo, imponeva di insegnare l’eliocentrismo soltanto come soluzione matematica compatibile con le osservazioni, non come la reale situazione del cosmo fisico, in quel momento ancora dibattuta.
Quali prove scientifiche fornì Galileo per dimostrare la rotazione della Terra intorno al Sole?
Galileo non addusse prove scientifiche sperimentali, ma soltanto argomenti di convenienza e analogie, che hanno tuttavia un ruolo importante nella conoscenza scientifica. Le osservazioni da lui compiute nel 1609 circa la rotazione di 4 satelliti intorno al pianeta Giove offriva un primo esempio di corpi celesti che non ruotavano intorno alla terra, ma non era una dimostrazione della rotazione della Terra intorno al Sole. L’osservazione di un gran numero di stelle, resa possibile da Galileo orientando il suo cannocchiale verso il cielo, mostrava che i confini del cosmo erano assai più ampi di quanto si potesse immaginare, ma non recava alcuna conclusione circa i moti della Terra. Le osservazioni di Galileo delle fasi luminose del pianeta Venere dimostravano geometricamente che Venere girava intorno al Sole, ma il Sole poteva pur sempre girare intorno alla Terra, come indicato da alcuni sistemi cosmologici dell’epoca dovuti a Tycho Brahe e a Riccioli. L’idea che i moti della Terra fossero dimostrati dalla presenza di maree periodiche, argomento sostenuto da Galileo nel Dialogo sui Massimi Sistemi, non rispondeva ad alcun calcolo fisico-matematico ed era errata.
Il sistema eliocentrico, tuttavia, sembrava avere un importante punto a favore. Ponendo il Sole al centro e i pianeti in orbita attorno a esso, la rappresentazione della posizione dei pianeti sulla volta celeste pareva poter prescindere, in linea di principio, dal ricorso agli epicicli (orbite che spostavano circolarmente la posizione dei pianeti attorno a un punto della loro orbita) e dal ricorso al punto equante (un punto ideale, scelto come centro dell'orbita di ciascun pianeta attorno alla terra, che rendeva costante la velocità angolare del pianeta). In realtà, fino a quanto Keplero non introdusse le orbite planetarie ellittiche, anche il sistema copernicano, che faceva uso di orbite planetarie circolari, dovette continuare ad impiegare gli epicicli, sebbene di raggio inferiore rispetto a quelli adottati dal modello geocentrico-tolemaico, potendo invece sbarazzarsi degli artificiosi equanti. Il cambiamenro più importante stava però nel fatto che l’allargamento di orizzonti recato dalle osservazioni di Galileo al telescopio poteva adesso far pensare che la Terra non occupasse alcuna posizione “privilegiata” nell’universo, rendendo plausibili delle soluzioni cosmologiche innovative. L’antica fisica aristotelica, alla quale apparteneva l’idea che la Terra fosse immobile, non sembrava più in accordo, almeno in alcune sue conclusioni, con le incipienti osservazioni sperimentali circa il moto dei gravi, o con l’assunto dell’incorruttibilità dei cieli. Tali argomenti di convenienza avevano anch’essi un peso, ma su un tema così importante come il cambiamento del sistema cosmologico da adottare, vennero giudicati ancora insufficienti dalla comunità scientifica del tempo, alla quale la Chiesa cattolica pure aderiva.
Il cardinale Roberto Bellarmino, teologo di riferimento al Sant’Uffizio fino al momento della sua morte (1621), già insegnante di astronomia all’Università di Lovanio, fece presente a Galileo che la scelta fra il sistema geocentrico o eliocentrico doveva dipendere dalla forza delle prove addotte e non da semplici analogie. Per il cardinale, non vi erano argomenti di principio contro l’eliocentrismo e la sacra Scrittura la si sarebbe potuta leggere anche in chiave eliocentrica: tuttavia, l’abbandono del geocentrismo richiedeva dimostrazioni più cogenti, che al momento non risultavano disponibili. In tempi a noi vicini, l’atteggiamento di Bellarmino fu giudicato ragionevole da alcuni importanti filosofi della scienza del Novecento, fra i quali Paul Feyerabend.
Per provare con argomenti sperimentali cogenti il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole si dovrà attendere il XIX secolo, con le prime misure di parallasse stellare, quelle della stella Vega da parte di Giuseppe Calandrelli a Roma (1806), assai imprecise ma sufficienti a mostrare il moto rotatorio dell’orbita terrestre, e soprattutto grazie a Friedrich Bessel, che nel 1838 misura con precisione adeguata la parallasse stellare di 61 Cygni. L’esperienza del Pendolo di Foucault, effettuata al Pantheon di Parigi nel 1851, dimostrerà la rotazione della Terra intorno al proprio asse. Esistevano però prove indirette della plausibilità del sistema eliocentrico già nel Settecento, quando grazie alla meccanica newtoniana e alle leggi di Keplero si riuscirono a fare previsioni precise della posizione dei pianeti sulla volta celeste senza più ricorrere al complesso sistema di epicicli del sistema geocentrico.
Cosa prescriveva il Decreto del 1616 sulla questione copernicana e in cosa consistette il processo subito da Galileo nel 1633?
Il Sant’Uffizio, organo della Curia Romana che assisteva il papa, prese nel 1616 una duplice decisione in merito al copernicanesimo. La prima fu chiedere alla sacra Congregazione dell’Indice di includere nell’Indice dei libri proibiti il De revolutionibus orbium coelestium (1543) di Nicolò Copernico e, in generale, i libri che sostenevano la conformità del sistema eliocentrico copernicano con le sacre Scritture; la seconda fu qualificare come “assurda e falsa in filosofia” l’affermazione circa la mobilità della Terra e la stabilità del Sole. Tuttavia, la Congregazione del Sant’Uffizio, presieduta dal papa Paolo V, non convalidò con un atto pubblico questa qualifica, né volle sancire in modo formale che l’affermazione circa la mobilità della Terra potesse considerarsi eretica. La decisione messa a verbale fu soltanto quella di ammonire Galileo affinché non insegnasse il copernicanesimo se non come soluzione matematica, chiedendogli di non considerarla come il sistema cosmologico che rappresentava la realtà dei fatti. Di fatto, l’eliocentrismo veniva già tranquillamente insegnato ex suppositione, cioè come mero modello matematico. Il professore di matematica al Collegio Romano Cristoforo Clavio, ad esempio, aveva impiegato il sistema copernicano per i calcoli necessari alla riforma del Calendario Gregoriano, voluta dal Papa nel 1582 allo scopo di correggere la discrepanza accumulatasi nel tempo fra stagioni astronomiche e calendario civile.
Va osservato che la Congregazione dell’Indice non possedeva delle competenze di carattere dottrinale ma solo disciplinare, dovendo proibire la diffusione di libri ritenuti erronei o dannosi. Il Decreto dell’Indice del 5 marzo 1616 non aveva dunque la pretesa di definire dottrinalmente il copernicanesimo, ma si limitò a presentarlo come una dottrina “contraria alla divina Scrittura”. Il Sant’Uffizio aveva invece la capacità di formulare definizioni dottrinali ma non lo fece: nella riunione del 25 febbraio dello stesso anno non formalizzò il supposto errore del copernicanesimo con un atto pubblico, ma si limitò a convocare Galileo il giorno seguente, ordinandogli di trattare l’eliocentrismo nei termini prima indicati. Fra l’altro, trattandosi di un’ingiunzione personale, e non essendo suffragata da un atto pubblico formale, essa non aveva rilevanza per la generalità dei cristiani, ma esclusivamente per Galileo.
Nonostante le esitazioni mostrate dalle autorità ecclesiastiche nei confronti della nuova ipotesi cosmologica, resta il fatto che i passi fatti dalla Congregazione dell’Indice e dal Sant’Uffizio non furono opportuni. Lascia perplessi la decisione di considerare l’eliocentrismo contrario alle Scritture, perché voleva dire legarsi senza necessità a un’interpretazione letterale di alcuni passi biblici, contrariamente all’esegesi più equilibrata proposta da sant’Agostino già nel V secolo, ripresa dallo stesso Galileo nelle sue Lettere copernicane. Evidentemente entrarono in gioco altri fattori. Questi furono la riluttanza degli ecclesiastici a lasciarsi istruire da un laico in materia di esegesi biblica e la loro volontà di sottolineare allo scienziato pisano che gli argomenti da lui addotti in favore del copernicanesimo non erano probanti.
Il breve processo e la condanna del 1633, sebbene ebbero una eco maggiore, furono mera conseguenza della non ottemperanza, da parte di Galileo, del Decreto del 1616. Egli vi contravvenne con la pubblicazione del Dialogo sui Massimi Sistemi, confidando sul fatto che il nuovo papa, Urbano VIII, amico personale di Galileo, sarebbe stato più indulgente nei suoi confronti. Così non fu. La formula scelta per il Dialogo, ovvero un dibattito fra diversi personaggi, non equivaleva a una difesa formale del copernicanesimo, ma la posizione contraria, con evidenti riferimenti allo stesso Pontefice, veniva ridicolizzata. Come conseguenza, allo scienziato pisano fu chiesto di giurare che egli non credeva al moto della Terra e quindi “uscire di scena”. D’accordo con il Granduca di Toscana, Galileo si ritirò prima a Siena e poi nella sua villa ad Arcetri, nei pressi di Firenze, accanto al convento ove abitava sua figlia suor Celeste. Lì continuò a scrivere e a studiare, dedicandosi in particolare agli esperimenti di cinematica, contribuendo così a meglio definire il metodo sperimentale.
Nel 1979, in un discorso rivolto alla Pontificia Accademia delle Scienze, Giovanni Paolo II auspicò un nuovo approfondimento del caso Galileo. Cosa intendeva il papa e quali furono gli effetti di questa richiesta?
Nel 1979, in occasione del centenario della nascita di Albert Einstein, Giovanni Paolo II chiese di approfondire le questioni storiche e interdisciplinari relative alla vicenda di Galileo Galilei. Questa richiesta aveva un valore soprattutto culturale e, per la Chiesa cattolica, un valore pastorale, di sostegno al dialogo fra scienza e fede, che alcuni ritenevano ormai compromesso da quanto accaduto allo scienziato pisano. La richiesta non poteva invece considerarsi una “riapertura del caso”, né tantomeno una “riabilitazione”, anche se buona parte dell’opinione pubblica la comprese così. In realtà, già nel 1820 un Decreto di Pio VII aveva chiarito che il sistema copernicano “non presentava più alcuna difficoltà”, essendo i precedenti ostacoli stati superati “dalle osservazioni successivamente realizzate”. Fra l’altro non esistevano condanne in materia di fede o di morale sancite da atti di valore pubblico, e dunque da dover rimuovere con corrispondenti atti formali; esisteva solo un’ingiunzione personale, di carattere soprattutto disciplinare.
Giovanni Paolo II era consapevole che il nome dello scienziato pisano veniva da molti collegato all’idea che fra la Chiesa cattolica e la scienza esistesse un rapporto conflittuale, quasi insanabile. Sebbene storicamente poco fondato, tale giudizio continuava a influire su molti ambienti culturali e scientifici, compromettendo un dialogo sereno fra teologia e scienze. Fu per superare tale ostacolo che Giovanni Paolo II, in linea con le priorità culturali del suo pontificato, auspicò un nuovo approfondimento degli eventi che ebbero per protagonisti Galileo e il Sant’Uffizio.
Venne così nominata una Commissione di esperti, formata da storici, biblisti e da alcuni uomini di scienza; furono prodotte pubblicazioni e organizzati convegni. Nel 1992 i risultati dei lavori furono presentati ufficialmente a Giovanni Paolo II. Questi non contenevano nessuna reale novità di tipo storico-documentale, ma favorirono una ripresa di interesse del tema, contribuendo a chiarire alcuni equivoci presenti nell’opinione pubblica.
Durante un’assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, scelta per la presentazione dei risultati da parte del card. Paul Poupard, allora presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, Giovanni Paolo II tenne un importante discorso riepilogando i passi salienti del “caso Galileo”. La vicenda viene qualificata dal Pontefice come una “tragica incomprensione”. Egli riconosce l’errore degli ecclesiastici del Sant’Uffizio di non aver saputo staccare l’interpretazione della sacra Scrittura da specifici modelli cosmologici, pur riconoscendo la difficoltà di giungere a una precisa contestualizzazione storica della vicenda e ricordando la scarsezza di prove sperimentali a favore dell’eliocentrismo.
Per quali ragioni la vicenda del “caso Galileo” ha condizionato in modo così determinante i rapporti della Chiesa cattolica con le scienze?
Al tempo in cui si svolsero i fatti, né l’ingiunzione rivolta a Galileo, né la successiva condanna, causarono particolari conseguenze. I provvedimenti nei confronti di scritti ritenuti erronei o la richiesta di sottoscrivere giuramenti per correggere opinioni ritenute contrarie a tesi filosofiche o teologiche erano atti frequenti, soprattutto nei confronti di autori filosofi o teologi. Il rapporto fra la Chiesa cattolica e le scienze era stato fino a quel momento buono. La testimonianza di istituzioni scientifiche promosse da cattolici in Europa e la presenza di autorevoli figure scientifiche anche fra sacerdoti e religiosi erano fatti troppo evidenti e non venivano messi in crisi da un contrasto come quello fra Galileo e il Sant’Uffizio. Dopo Galileo, il sistema eliocentrico continuò a essere impiegato, e in alcuni casi apertamente insegnato, senza che ciò generasse altri problemi.
Dal punto di vista dei riflessi sulla pubblica opinione, il “caso Galileo” sembra nascere a metà Ottocento, in Italia, come testimoniato dalla costruzione di monumenti e opere di vario genere che ne riprendono i fatti salienti. Il caso era sostenuto da influenti circoli culturali europei interessati a rimuovere l’ostacolo che la presenza degli Stati Pontifici rappresentava a una nuova configurazione politica e culturale dell’Europa. Sempre a partire dalla metà dell’Ottocento, il papato aveva espresso posizioni culturali giudicate troppo conservatrici dalla maggioranza degli intellettuali del tempo e ricordare quanto accaduto a Galileo poteva spingere la Chiesa verso le desiderate aperture. Questo stato di cose favorì una nuova presentazione della vicenda di Galileo, adesso finalizzata a ridimensionare, o anche a superare, l’autorità politica e culturale che la Chiesa di Roma esercitava in quel frangente storico.
La questione oggettiva di uno scienziato messo a tacere rappresentava, e rappresenta, un evento di peso emblematico. Chi desiderasse sostenere che fede e scienza siano tra loro incompatibili trova in essa un aggancio illustrativo, facilmente recepito dall’opinione pubblica. In tal modo la vicenda di Galileo ha “cristallizzato” nel tempo la posizione dell’inconciliabilità e fornisce un utile punto di appoggio a chi desidera sostenerla in ogni tempo. Per mostrare che tale vicenda, da sola, non è adatta a rappresentare in modo completo i rapporti fra la Chiesa cattolica e la scienza, o fra il cristianesimo e il progresso scientifico, occorrono un supplemento di analisi storica e una contestualizzazione epistemologica che di solito non vengono fornite in ricostruzioni semplificate o mediatiche, talvolta frettolose o perfino ideologiche. Il caso Galileo, pertanto, influisce in modo ancora determinante laddove tali approfondimenti non sono disponibili oppure non vi è uno specifico interesse a conoscerli più da vicino.
Visita anche il Percorso Tematico Il caso Galileo: i rapporti tra scienza moderna e Chiesa cattolica
• Lettera del card. Roberto Bellarmino a Paolo Foscarini
• Discorso di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze
• Riabilitazione, un termine inadatto, di Nicola Dallaporta
• Il Decreto del 1616 sul Copernicanesimo, di Rafael Martinez
Sistema cosmologico comune nella filosofia greca antica che poneva la Terra al centro dell’universo, interpretando che il Sole, la Luna, i pianeti e la sfera delle stelle fisse (volta celeste) ruotassero intorno alla Terra in circoli concentrici. Esso si arricchiva di caratterizzazioni filosofiche e religiose, ritenendo che la sfera inferiore (Terra e circolo sublunare) fosse soggetto a corruzione, a differenza delle sfere più alte. La sua prima formulazione si deve ad Aristotele, che riprende lo schema geocentrico elaborato da Eudosso di Cnido (IV secolo a.C.). Tolomeo la sistematizza dal punto di vista astronomico nell’Almagesto (II secolo d.C.). All’inizio della sua diffusione negli ambienti filosofici e culturali, il cristianesimo incontra questa rappresentazione come quella dominante e la assume, inculturandola: Dio abita nel settimo cielo (Empireo) e tutto è mosso in modo spirituale, non meccanico, dal suo amore. La Divina Commedia di Dante Alighieri offre l’esempio più alto di tale inculturazione.
Sistema cosmologico che pone il Sole al centro del cosmo, lasciando che i pianeti e le stelle ruotino attorno a esso. Precocemente suggerito da Aristarco di Samo (III secolo a.C.), non viene più sviluppato in Grecia a motivo della grande autorità goduta dall’Almagesto di Tolomeo. L’introduzione formale dell’eliocentrismo in ambito astronomico si deve a Nicolò Copernico, con l’opera De Revolutionibus Orbium Coelestium (1543), che colloca i pianeti in orbite circolari attorno al Sole, la luna intorno alla Terra. La sfera delle stelle fisse va perdendo gradatamente importanza, essendo le osservazioni soprattutto orientate a predire il moto accurato dei pianeti, i cui spostamenti erano ben noti fin dall’antichità. Johannes Keplero riprende il sistema copernicano e, grazie alle sue accurate osservazioni del pianeta Marte, modifica le orbite da circolari in ellittiche collocando il Sole in uno dei due fuochi e propone le 3 leggi dell’orbitamento planetario.
Con questa espressione si indicano 4 lettere che Galileo Galilei scrisse fra il 1613 e il 1615, e dunque prima del Decreto del 1616, per esporre come il sistema eliocentrico poteva accordarsi con la sacra Scrittura. Le lettere hanno un contenuto esegetico che si ispira soprattutto a sant’Agostino. La prima di esse, datata 21 dicembre 1613, è indirizzata a P. Benedetto Castelli, benedettino e già studente di Galileo. Seguono due lettere a Piero Dini, sacerdote e intellettuale fiorentino; la prima datata 16 febbraio 1615, avente come finalità far giungere a Dini il testo originale della lettera inviata precedentemente a Castelli, in quanto ne erano circolate delle copie non autentiche; la seconda, datata 23 marzo dello stesso anno, approfondisce i temi della lettera a Castelli. La più estesa e importante, un piccolo trattato di interpretazione biblica, è la lettera inviata a Maria Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana, terminata nella sua versione definitiva nel giugno del 1615. Galileo esorta opportunamente a una esegesi non letterale delle Scritture, sebbene accostando teologia e scienza in modo non sempre coerente e ingaggiando talvolta un confronto con i teologi anche in materie scientifiche. È probabile che nella preparazione della lettera a Maria Cristina di Lorena lo scienziato pisano si sia fatto assistere da sacerdoti amici, anch’essi sostenitori del copernicanesimo.
Cambiamento della posizione apparente di una stella sulla volta celeste, che si riconosce descrivere una piccola ellissi lungo il periodo di un anno. Il fenomeno è dovuto al fatto che la Terra, durante l’anno, cambia la sua posizione nello spazio muovendosi attorno al Sole, facendo sì che cambi la posizione angolare delle stelle nel cielo. Lo spostamento, invisibile a occhio nudo e visibile solo grazie al telescopio, è più grande per le stelle vicine e progressivamente più piccolo per quelle più lontane. La parallasse stellare, e la sua evoluzione ben definita nel corso dell’anno, costituiscono dunque la specifica dimostrazione del moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole.
Dispositivo ideato dal fisico francese Jean Bernard Léon Foucault nel 1851, con lo scopo di dimostrare che la Terra compie un moto di rotazione intorno al proprio asse. Consisteva in un pendolo lungo 67 m e con una sfera di 28 kg, fatto oscillare dalla cupola del Panthéon di Parigi. Fornito di un ago nella parte inferiore della sfera, il pendolo tracciava il segno del suo passaggio su un piano orizzontale. Se la Terra fosse stata ferma, le oscillazioni sarebbero dovute avvenire tutte nello stesso piano verticale. Nel corso dell’esperimento, invece, il piano delle oscillazioni, rivelato dal segno regolare tracciato dal pendolo, ruotava verso destra, indicando che il terreno sottostante (e non il pendolo inerziale) si stava muovendo. L’esperienza di Foucault era anche in grado di calcolare la latitudine del luogo.