Apriamo la Sacra Scrittura: Generare

  

Genesi (17,1-8)

   

Fra le pagine più solenni del Primo Testamento vi è la vocazione di Abramo e la promessa, da parte di Dio, di una discendenza estesa quanto le stelle del cielo e la sabbia del mare (cf. Gen 22,17). La fede è capace di generatività. Da questa chiamata, e dalla risposta di Abramo, nascerà il popolo ebreo, voluto da Dio come custode di un’alleanza che preparerà l’Incarnazione del Verbo nel seno verginale di Maria di Nazaret. Diventando “padre di una moltitudine di nazioni”, Abramo, come capostipite, genera questo popolo; ma in realtà è Dio stesso a generarlo come suopopolo. Così lo mostrano importanti particolari della narrazione: l’età di Abramo, simbolicamente stabilita a 99 anni, l’età avanzata e non più feconda della moglie, Sara, per giunta anche sterile. Il popolo di Israele, che troverà il suo prolungamento nel popolo della nuova alleanza, quello dei credenti in Cristo, Verbo fatto carne, è risultato di una generazione spirituale, potente, che ha Dio per Autore. Egli dà origine, in Abramo, ad una discendenza depositaria di una benedizione e di un messaggio di salvezza indirizzato a tutte le genti. La missione affidata, in Abramo, al popolo ebreo, non è risultato di scelte o di preferenze, di paragoni fra i diversi popoli della terra in vista di eleggere il più dotato o il migliore. Questo popolo non esisteva e viene in qualche modo “creato dal nulla”: Dio lo “genera” con il fine di dare origine ad una storia, una cultura, una lingua, una religione, che sono come il “seno” grazie al quale il suo Figlio potrà farsi carne ed entrare nel mondo.

    

Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse:

"Io sono Dio l'Onnipotente:
cammina davanti a me
e sii integro.
Porrò la mia alleanza tra me e te
e ti renderò molto, molto numeroso".

Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui:

Quanto a me, ecco, la mia alleanza è con te:
diventerai padre di una moltitudine di nazioni.
Non ti chiamerai più Abram,
ma ti chiamerai Abramo,
perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò.

E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. 

Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. 


  

Isaia (66,7-13)

   

Le immagini del parto, della generazione di una nuova vita, vengono impiegate da Dio per mostrare la sua tenerezza verso il suo popolo. Con sentimenti propri di una madre, Dio nutre il suo popolo, lo accarezza, lo porta in braccio e lo fa sedere sulle sue ginocchia. Il profeta Isaia predica questa tenerezza per incoraggiare e consolare gli esuli ebrei, deportati a Babilonia, in vista di una loro futura reintegrazione nella terra promessa. Il ritorno e la salvezza vengono paragonati ad un parto repentino, quasi inaspettato, che precede i dolori del travaglio. Così sarà la liberazione di Israele: quando egli meno lo attende, quando la delusione e la sconfitta sembrano irreversibili, allora Dio interverrà preparando una nuova storia di salvezza. Frequente, nei profeti, come nel cap. 11 di Osea, l’attribuzione a Dio dei sentimenti propri della tenerezza di una madre. Ugualmente chiari, in varie altre pagine, i sentimenti e i caratteri propri di un padre. Quando si parla dell’amore di Dio, maternità e paternità sembrano nel linguaggio biblico quasi indistinguibili, a testimonianza del fatto che entrambe procedono da Dio ed entrambe sono riflessi di una forza generativa che spetta in primo luogo a Dio stesso, come Vita eterna e fonte della Vita.


Prima di provare i dolori, ha partorito;
prima che le venissero i dolori,
ha dato alla luce un maschio.
Chi ha mai udito una cosa simile,
chi ha visto cose come queste?
Nasce forse una terra in un giorno,
una nazione è generata forse in un istante?
Eppure Sion, appena sentiti i dolori,
ha partorito i figli.
"Io che apro il grembo materno,
non farò partorire?", dice il Signore.
"Io che faccio generare,
chiuderei il seno?", dice il tuo Dio.
Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa tutti voi che l'amate.
Sfavillate con essa di gioia 
tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete
al seno delle sue consolazioni;
succhierete e vi delizierete
al petto della sua gloria.
Perché così dice il Signore:
"Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace;
come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio,
così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saranno rigogliose come l'erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi,
ma la sua collera contro i nemici.


   

Siracide (3,1-16)

In questo passo del libro del Siracide, una raccolta di sentenze che il popolo ebreo impiegava per l’istruzione dei giovani, si commentano i doveri derivanti dalla relazione filiale nei confronti di coloro che ci hanno generato. Questa pagina è una lunga, toccante e motivata esortazione a vivere il quarto comandamento del Decalogo, raccolto poi anche dal cristianesimo: Onora il padre e la madre. Questo onore, che impegna per tutta la vita, si fa specialmente importante nell’epoca della vecchiaia dei genitori, quando le forze vengono meno e la differenza fra le generazioni si fa più sensibile. Anche se i genitori perdessero il senno e, con l’età, si facesse più onerosa la cura nei loro confronti, questo non può giustificare l’abbandono e il disprezzo da parte dei figli. Agli occhi di Dio, i doveri filiali appaiono come qualcosa di sacro, un legame che non può essere spezzato. Le opere di carità e di comprensione rivolte ai propri genitori vengono retribuite da Dio, muovono il Suo cuore a perdonare i peccati dei figli e assicurano la Sua protezione nel tempo. Il rapporto fra genitori e figli, e quello dei figli che onorano i genitori, si trasmette ad ogni nuova generazione: dalla sincerità e dalla dedizione con cui viene vissuto dai figli dipenderà come i figli di questi, al momento opportuno, sapranno viverlo nei confronti dei loro genitori. Lo “stile” nel vivere questo comandamento si trasmette di generazione in generazione ed assicura la stabilità di una casa, di una famiglia, di una società.

Figli, ascoltate me, vostro padre,
e agite in modo da essere salvati.

Il Signore infatti ha glorificato il padre al di sopra dei figli
e ha stabilito il diritto della madre sulla prole.
Chi onora il padre espia i peccati,
chi onora sua madre è come chi accumula tesori.

Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli
e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera.

Chi glorifica il padre vivrà a lungo,
chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre.
Chi teme il Signore, onora il padre
e serve come padroni i suoi genitori.

Con le azioni e con le parole onora tuo padre,
perché scenda su di te la sua benedizione,
poiché la benedizione del padre consolida le case dei figli,
la maledizione della madre ne scalza le fondamenta.

Non vantarti del disonore di tuo padre,
perché il disonore del padre non è gloria per te;
la gloria di un uomo dipende dall'onore di suo padre,
vergogna per i figli è una madre nel disonore.

Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia,
non contristarlo durante la sua vita.

Sii indulgente, anche se perde il senno, 
e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore.

L'opera buona verso il padre non sarà dimenticata,
otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa

Nel giorno della tua tribolazione Dio si ricorderà di te,
come brina al calore si scioglieranno i tuoi peccati.

Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore,
chi insulta sua madre è maledetto dal Signore.
 


  

Matteo (1,1-24)

Il Nuovo Testamento presenta due genealogie, una all’inizio del vangelo di Matteo e l’altra nel cap. 3 del vangelo di Luca (cf. 3,23-38). Si tratta di pagine con un certo valore simbolico, che non devono essere prese in modo letterale. Esse hanno la funzione di “ancorare” Gesù di Nazaret alla storia del suo popolo, come elemento che dispone i destinatari dei vangeli, soprattutto ebrei nel caso di Matteo e in buona parte pagani nel caso di Luca, a prestare attenzione alle sue opere e insegnamenti. Non servirebbero comparazioni meticolose con la storia universale, né la ricerca di tempi e modi del procedere del tempo. Ciò è vero non solo per la presente genealogia, che Matteo fa risalire ad Abramo, ma anche e soprattutto per quella di Luca, che l’evangelista fa risalire ad “Adamo, figlio di Dio”. In esse vengono citati patriarchi e personaggi noti agli ascoltatori della predicazione degli apostoli, senza pretesa di riprodurre una cronologia. Lo mostra in modo palese il fatto che dal re Davide fino a Gesù le due dinastie, di Matteo e di Luca, hanno in comune solo due nomi: la cosa, certamente evidente alla comunità cristiana primitiva, non destava sorpresa. Le dinastie rispettano proporzioni numeriche, come qui Matteo, che raccoglie tre serie di 7+7=14 generazioni. Appartengono alla lista delle generazioni proposte da Matteo delle donne straniere, come Tamar, Racab e Rut. Viene posta l’enfasi sulla dinastia regale di Davide, figlio di Iesse, dal quale si attendeva il Messia. Queste pagine mostrano in sostanza come la “generazione” e le “origini” venivano considerate elemento importante nella cultura antica. Entrambe le genealogie conducono la discendenza fino a Giuseppe “sposo di Maria”, lasciando chiaro che si tratta di una “paternità legale” nei confronti di Gesù, in quanto entrambe le fonti informano circa il concepimento verginale di Maria di Nazaret (cf. Mt 1,18-21; Lc 1,34-35). Gesù, scrive Luca, “si riteneva, figlio di Giuseppe” (Lc 3,23). Non sappiamo se Maria appartenesse anch’essa alla dinastia di Davide, ma sappiamo che la paternità legale era sufficiente a trasmettere i diritti ereditari e le dignità collegate. 

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 
Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, 
Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, 
Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 
Iesse generò il re Davide.Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, 
Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, 
Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 
Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 
Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 
Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, 
Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, 
Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 
Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe,
G
iacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.

In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 
Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo;
ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati".

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 

Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa;


  

Giovanni (1,1-14)

    

Il solenne Prologo del vangelo di Giovanni ci offre due ritmi centrali, entrambi collegati alla descrizione di una “generazione”: la generazione dell’intero cosmo e la generazione dei credenti. Nell’universo, tutto è stato fatto nel Verbo e per mezzo del Verbo. Dio crea con la sua Parola. Ogni cosa viene all’esistenza mediante il Verbo-Logos, che è Dio ed è presso Dio, ma diverrà anche soggetto di una missione nel mondo, facendosi carne. La fede genera una figliolanza: i credenti in Cristo, Figlio del Padre venuto nel mondo, sono anch’essi “generati” come figli di Dio. Si tratta di una generazione spirituale ma non per questo meno reale. Coloro che hanno accolto la Parola di Dio entrata nel mondo, “non da sangue, non da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stai generati” (v. 13). L’ordine di questa generazione è più alto, e più alta è la vita che comunica, perché destinata a non finire mai. A sua volta, chi predica il Vangelo genera altri alla fede e alla vita eterna, perché trasmette con senso di paternità e maternità la vita stessa di Dio. Così fa la Chiesa, con i suoi sacramenti, al punto da diventare madre feconda di figli. I credenti formano una sola famiglia, la famiglia dei figli di Dio. Nel genere umano vi è un solo popolo, il popolo dei figli di Dio.

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.

Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre 
e le tenebre non l'hanno vinta.

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.

Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo
era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.

A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.


   

1 Cor (4,9-17)

    

Paolo scrive alla comunità di Corinto, da lui fondata, esortandoli a comportarsi con rettitudine. Ricorda loro i sacrifici sopportati per loro. Sacrifici analoghi a quelli sostenuti da un padre e da una madre nei confronti dei loro figli. La predicazione del Vangelo, l’istruzione nella fede, il sostegno nella vita cristiana, sono visti da Paolo come logica conseguenza del suo ruolo paterno. Il rapporto che lo lega ai fedeli di Corinto è più stretto di quello che esiste fra un maestro e i suoi discepoli, ben comprensibile nel mondo greco al quale Paolo si rivolge. Egli afferma infatti: “Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo” (v. 15). La trasmissione della fede è vista, fin dall’inizio del cristianesimo, come generazione spirituale che obbliga in coscienza i Pastori a farsi carico del loro gregge come un padre dei propri figli. Il legame che ne deriva è forte come quello della carne, e in un certo senso anche maggiore, perché i vincoli spirituali sono destinati a durare anche al di là dello spazio e del tempo. Come la storia di Paolo mostrerà, non vi sono limiti o sconti da fare in questo rapporto generativo d’amore: la misura è quella del sacrificio della propria vita, a imitazione di Cristo Gesù.

Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all'ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. 

Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. 

Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, 
ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; 

calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.

Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. 

Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo. 
Vi prego, dunque: diventate miei imitatori! 

Per questo vi ho mandato Timòteo, che è mio figlio carissimo e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa.

 

 

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