Giovanni, l’apostolo amato

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Giotto, particolare de L'Ultima Cena (Cappella degli Scrovegni, Padova, 1303-1305)

I vangeli ci parlano di giovani, magari un po’ ribelli, alla ricerca di un Messia al cui seguito arruolarsi, forse con il desiderio di riscattarsi dalla dominazione romana, o anche solo per ricevere da lui un insegnamento preciso su come affrontare quella circostanza di vita. Due giovani, probabilmente insieme ad altri, si erano messi al seguito di Giovanni Battista, un uomo che attraeva per la sua coerenza e la sua fede nel Dio di Israele. Uno di questi, ci dice la tradizione cristiana, si chiamava Giovanni. Un episodio resta impresso nella memoria del giovane Giovanni. Lo racconterà così molti decenni più tardi:

Il giorno dopo Giovanni [Battista] stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: "Che cosa cercate?". Gli risposero: "Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?". Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio (Giovanni 1,35-39)

Qui comincia la nostra storia. La storia di un giovane israelita, forse di 15 o 16 anni, che avrà la fortuna di incrociare Gesù di Nazaret e diventare suo discepolo, anzi, il prediletto nel gruppo dei “dodici”.

Giovanni, figlio di Zebedeo, è stato discepolo e apostolo di Gesù di Nazaret. Gli scritti del Nuovo Testamento lo presentano come uno dei discepoli più vicini al Maestro. Nelle liste degli apostoli – i dodici discepoli e collaboratori più stretti di Gesù – fornite dai Vangeli, il suo nome viene tra i primi, subito dopo quello di Pietro, Andrea e Giacomo, suo fratello. L’evangelista Matteo ci parla di una nuova chiamata, forse più formale, che il giovane Giovanni riceve da Gesù, quasi certamente dopo il loro primo incontro presso il Battista. La sua chiamata sulle rive del lago di Galilea, insieme al fratello Giacomo, è narrata nello stesso contesto di quella di Pietro e Andrea. Si tratta dei primi apostoli che Gesù invita a seguirlo. La risposta di Giovanni e degli altri è pronta e generosa: «essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono» (Matteo 4,22).

Giovanni lascia la cittadina di Cafarnao, dove abitava e dove svolgeva il mestiere di pescatore nell’azienda paterna. Il fatto che il padre avesse diversi operai alle dipendenze indica che la famiglia di Giovanni fosse di condizioni relativamente agiate. Conosciamo il nome di sua madre, Salome, che farà parte del gruppo di donne che assisteranno Gesù e i suoi discepoli nel corso dell’intensa attività di predicazione itinerante negli anni successivi. Comincia per Giovanni di Zebedeo un’avventura entusiasmante a fianco di quel Maestro in cui egli, come gli altri discepoli, riconosce il Messia tanto atteso, l’inviato di Dio nel quale erano riposte le speranze più grandi dell’intero popolo di Israele.

Insieme al fratello Giacomo e a Pietro, Giovanni è testimone privilegiato, per volontà di Gesù, di alcuni degli avvenimenti più importanti: il risuscitamento della giovane figlia di Giairo, capo della sinagoga di Cafarnao (Marco 5,21-43); la trasfigurazione sul monte Tabor, in cui i tre discepoli assistono al manifestarsi della gloria divina di Gesù (Marco 9,2-10); la sua preghiera nell’orto del Getsemani, poco prima di consegnarsi per essere processato e condannato (Marco 14,32-42). Giovanni ha insomma accesso, come pochi altri, all’intimità del Maestro, che impara a conoscere in una condivisione di vita molto profonda.

Il temperamento e l’entusiasmo con cui corrisponde alla fiducia e alla predilezione di Gesù si manifestano in più occasioni. Quando il suo Maestro non viene accolto in un villaggio della Samaria, a motivo della storica diffidenza tra i samaritani e gli altri abitanti della Terra Santa, Giovanni e Giacomo si indignano e vorrebbero invocare un fuoco divino su quel villaggio (Marco 9,2-8). I due fratelli dimostrano così di meritare pienamente il soprannome assegnato loro da Gesù stesso: “figli del tuono” (Marco 3,17). L’amore “geloso” e la stima sconfinata per il Maestro emergono anche in un’altra circostanza, quando Giovanni riferisce di aver impedito a un uomo, non appartenente al gruppo dei seguaci di Gesù, di compiere esorcismi in suo nome (Luca 9,49-50). L’amore dell’apostolo è però venato anche di protagonismo e di ambizione, come traspare nella richiesta, fatta insieme al fratello (e alla loro madre, anzi, forse ispirata proprio da lei), di poter occupare i posti di maggior prestigio, uno alla destra e uno alla sinistra del Messia, una volta instaurato il suo regno (Matteo 20,20-23; Marco 10, 35-40).

Una prospettiva interessantissima, che ci permette di conoscere l’apostolo Giovanni “dal di dentro” e non solo a partire dai fatti di cui è protagonista, narrati nei Vangeli sinottici, si apre se si riconosce in lui l’autore del quarto Vangelo. Una solida tradizione ci consegna in effetti questo dato, attribuendo a lui il Vangelo detto appunto “secondo Giovanni”. Oltre alla tradizione, risalente ai primi autorevoli testimoni cristiani, come Ireneo nel II secolo e molti altri, esistono motivi interni ai Vangeli che rendono probabile l’identificazione dell’evangelista con l’apostolo. Non è necessario per noi esaminare le evidenze o arrivare a un giudizio certo. Possiamo lasciare la discussione agli esegeti e agli storici e assumere tranquillamente che sia così, per osservare il nostro personaggio in una visione più completa, che ci permette di comprendere la sua evoluzione.

L’interiorità del discepolo-evangelista ci si svela già a partire da un primo dato significativo. Come autore del quarto Vangelo, egli ha cura di rimanere anonimo. Così, ad esempio nel narrare il primo incontro con Gesù da parte di due discepoli del Battista, egli si limita a nominare uno solo dei due, Andrea, mantenendo riserbo sul nome del compagno, nel quale, come già abbiamo visto, si può indovinare l’identità dell’autore stesso (Giovanni 1,35-40). In altri luoghi della narrazione, l’autore lascia invece intuire la propria presenza accanto a Gesù nelle vesti di uno discepoli che designa come “il discepolo che Gesù amava” (cfr. Giovanni 13,23; 19,26-26; 20,1-10). Egli dunque non menziona mai il proprio nome, a differenza dell’altro apostolo-evangelista, Matteo, che si riferisce a se stesso in terza persona, quando necessario, con il proprio nome (Matteo 9,9). Giovanni preferisce designare se stesso come “il discepolo che Gesù amava”: come a dire che questo è il suo nome più vero, questa è la sua più autentica identità. Egli si auto-comprende cioè a partire dall’amore di Gesù: è conquistato dall’amore di Cristo e in questo amore ha trovato le sue radici.

Si spiega così forse l’intensità della dedizione e dell’entusiasmo di Giovanni verso Gesù. Non solo la sua convinzione che fosse il Messia, sostenuta dall’evidenza dei segni straordinari che compiva –miracoli sulla natura e sulle persone, esorcismi, persino risuscitamenti– ma forse soprattutto l’affetto e la simpatia che l’amato Maestro gli manifestava, alimentavano l’amore e la stima incondizionata del giovane apostolo. E anche la spontaneità e la fiducia con cui non temeva di avanzare le proprie richieste e proposte, che Gesù doveva temperare e correggere con pazienza. Se Giovanni voleva far scendere un fuoco dal cielo sui samaritani, Gesù farà di un samaritano l’immaginario protagonista di una delle più belle parabole sulla compassione e sull’amore al prossimo (Luca 10,25-37). Quando Giovanni chiede di condividere il potere del suo Signore, Gesù gli indicherà che è piuttosto nella disponibilità al sacrificio per amore, fino in fondo, che vuole associarlo a sé (Matteo 20,20-23).

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Lago di Tiberiade (Israele)

È alla scuola del cuore di Cristo che il giovane discepolo Giovanni imparerà le lezioni più profonde sull’amore di Dio. Nell’ultima cena lo vediamo appoggiare la testa sul petto di Gesù, nell’atto di domandargli chi è colui che lo tradirà. Egli è testimone allora della sofferenza profonda e insieme dell’amore incondizionato che Gesù nutre nei confronti di Giuda, l’apostolo traditore. È così che Giovanni inizia a comprendere il modo in cui il Maestro intende amare i suoi “fino alla fine” (Giovanni 13,1). Quella notte stessa, Giovanni è uno dei tre discepoli che Gesù vuole avere più vicini a sé mentre prega nell’orto degli ulivi, facendo sua la volontà di Dio che gli chiede di consegnarsi nelle mani degli uomini per essere messo a morte (Matteo 26,36-46). È Giovanni a riportarci alcuni brani della "preghiera sacerdotale" che Gesù rivolge al Padre, nel contesto dei discorsi che precedono la passione, consegnandoci una delle pagine più emozionanti di tutto il Nuovo Testamento.

Il culmine della rivelazione dell’amore di Cristo, Giovanni lo riconosce proprio nella sua morte in croce. Unico tra gli apostoli, egli accompagna la madre di Gesù fin sotto il patibolo del figlio. Qui riceve le ultime parole di Gesù che gli affida sua madre, al tempo stesso in cui affida Giovanni a lei. In Gesù, ingiustamente accusato e condannato, il discepolo non scorge nessun sentimento di rabbia o rancore; vede invece il suo affidamento al Padre celeste e sente le sue parole di perdono verso i persecutori: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34). Vede infine trafiggere dalla lancia del centurione romano il cuore di Cristo, quel cuore il cui insondabile amore per gli uomini egli stava poco a poco comprendendo. Al mattino presto della domenica arriverà per primo al sepolcro dove il cadavere di Gesù era stato deposto, non appena la Maddalena annuncerà agli apostoli perplessi che il sepolcro era aperto e il cadavere scomparso. Giovanni vedrà la sindone e le bende che avevano avvolto il corpo morto di Gesù, per terra, come sgonfiate. Gli sembra tutto chiaro adesso, e scriverà: «entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Giovanni 20,8).

Giovanni, “il discepolo amato”, ha imparato dal suo Maestro e Signore, che vedrà risorto il giorno di Pasqua nel cenacolo di Gerusalemme, cosa significa amare. Forse per questo il suo Vangelo è il più profondo teologicamente e il più ricco di riferimenti all’amore. Per Giovanni, conoscere Gesù significa amarlo. E amare Gesù è avere la vita eterna, essere fin d’ora in comunione con Dio, perché nel suo amore il Figlio ci unisce al Padre. Dobbiamo a Giovanni il vertice della rivelazione dell’amore e, al tempo stesso, della comprensione di Dio condensata nell’affermazione che Dio stesso è Amore, come scrive nella prima delle Lettere che recano il suo nome, quella di più sicura attribuzione (1 Giovanni 4,8.16). Nella stessa Lettera, Giovanni sembra avere una sola preoccupazione, un solo desiderio nei confronti della comunità cristiana a cui scrive. Lo esprime così:

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi (1 Giovanni 4,7-12)

Ha imparato dal Figlio di Dio fatto uomo ad amare ogni uomo, per quanto debole, meschino o peccatore. E ha compreso che il segno più eloquente dell’essere discepoli del Maestro sarà sempre quello dell’amore reciproco e della misericordia verso tutti (Giovanni 13,34-35). Non conosciamo con esattezza storica il prosieguo della vita di Giovanni di Zebedeo dopo i primi tempi successivi alla risurrezione di Gesù. Le testimonianze del Nuovo Testamento lo mostrano specialmente associato a Pietro nel ministero apostolico di predicazione e di guida della Chiesa nascente (cfr. Giovanni 21,20-23; Atti 3,1-11; 4,1-22; Galati 2,9). Secondo alcuni autori dei primi secoli si sarebbe poi stabilito a Efeso, tenendo presso di sé la madre di Gesù, una tradizione che sembra confermata da recenti scavi archeologici che hanno identificato una “Casa di Maria” sulle alture di Solmisso, non distante dalla città di Efeso. Il libro dell’Apocalisse, di cui è certamente autore, lo rivela esiliato nell’isola di Patmos, probabilmente ai lavori forzati, sotto la persecuzione di Domiziano. Da questa isola poté poi far ritorno ad Efeso, sotto l’impero del più tollerante Nerva. La storia di Giovanni continuerà ancora anni, fino alla morte che lo coglierà in età assai avanzata. Una storia di ricordi, di esperienze vissute e ricordate, messe per iscritto, perché altri potessero giovarsene: «Gesù, in presenza dei suoi discepoli – scriverà nel vangelo che porta il suo nome – fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Giovanni 20, 30-31). Fino al termine della sua lunga vita si dedicò alla missione che lo aveva conquistato da giovane, quando per la prima volta, alle quattro di un pomeriggio, era stato invitato a fermarsi presso la casa di Gesù, la missione di far conoscere a tutti l’amore di Dio, un Amore che egli aveva ricevuto direttamente dalla fonte, dal cuore di Cristo su cui aveva potuto posare il capo.