Il lavoro come collaborazione alla creazione divina

Concilio Vaticano II

67. Lavoro, condizione di lavoro e tempo libero

Il lavoro umano, con cui si producono e si scambiano beni o si prestano servizi economici, è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di strumento.

Tale lavoro, infatti, sia svolto in forma indipendente sia per contratto con un imprenditore, procede direttamente dalla persona, la quale imprime nella natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà. Con il lavoro, l'uomo provvede abitualmente al sostentamento proprio e dei suoi familiari, comunica con gli altri, rende un servizio agli uomini suoi fratelli e può praticare una vera carità e collaborare attivamente al completamento della divina creazione. Ancor più: sappiamo per fede che l'uomo, offrendo a Dio il proprio lavoro, si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth. Di qui discendono, per ciascun uomo, il dovere di lavorare fedelmente, come pure il diritto al lavoro. Corrispondentemente è compito della società, in rapporto alle condizioni in essa esistenti, aiutare da parte sua i cittadini a trovare sufficiente occupazione. Infine il lavoro va rimunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, tenuto conto del tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché delle condizioni dell'impresa e del bene comune [1].

descrizione della foto
Jean-François Millet, L'Angelus (1858-59).

Poiché l'attività economica è per lo più realizzata in gruppi produttivi in cui si uniscono molti uomini, è ingiusto ed inumano organizzarla con strutture ed ordinamenti che siano a danno di chi vi operi. Troppo spesso avviene invece, anche ai nostri giorni, che i lavoratori siano in un certo senso asserviti alle proprie opere. Ciò non trova assolutamente giustificazione nelle cosiddette leggi economiche. Occorre dunque adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona e alle sue forme di vita, innanzitutto della sua vita domestica, particolarmente in relazione alle madri di famiglia, sempre tenendo conto del sesso e dell'età di ciascuno. Ai lavoratori va assicurata inoltre la possibilità di sviluppare le loro qualità e di esprimere la loro personalità nell'esercizio stesso del lavoro. Pur applicando a tale attività lavorativa, con doverosa responsabilità, tempo ed energie, tutti i lavoratori debbono però godere di sufficiente riposo e tempo libero, che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa. Anzi, debbono avere la possibilità di dedicarsi ad attività libere che sviluppino quelle energie e capacità, che non hanno forse modo di coltivare nel loro lavoro professionale.

[...]

69. I beni della terra e loro destinazione a tutti gli uomini

Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità  [2]. Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. L'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri [3]. Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano giusto i Padri e dottori della Chiesa, i quali insegnavano che gli uomini hanno l'obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo [4]. Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui [5]. Considerando il fatto del numero assai elevato di coloro che nel mondo intero sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio richiama urgentemente tutti, sia singoli che autorità pubbliche, affinché - memori della sentenza dei Padri: « Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso » [6] realmente mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi possano provvedere a se stessi e svilupparsi.

Nelle società economicamente meno sviluppate, frequentemente la destinazione comune dei beni è in parte attuata mediante un insieme di consuetudini e di tradizioni comunitarie, che assicurano a ciascun membro i beni più necessari. Bisogna certo evitare che alcune consuetudini vengano considerate come assolutamente immutabili, se esse non rispondono più alle nuove esigenze del tempo presente; d'altra parte però, non si deve agire imprudentemente contro quelle oneste consuetudini che non cessano di essere assai utili, purché vengano opportunamente adattate alle odierne circostanze. Similmente, nelle nazioni economicamente molto sviluppate, una rete di istituzioni sociali per la previdenza e la sicurezza sociale può in parte contribuire a tradurre in atto la destinazione comune dei beni. Inoltre, è importante sviluppare ulteriormente i servizi familiari e sociali, specialmente quelli che provvedono agli aspetti culturali ed educativi. Ma nell'organizzare tutte queste istituzioni bisogna vegliare affinché i cittadini non siano indotti ad assumere di fronte alla società un atteggiamento di passività o di irresponsabilità nei compiti assunti o di rifiuto di servizio.

         

Note

[1] Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 408, 424 [Dz 3948], 427; il termine “curatione” [=conduzione] è desunto dal testo latino dell’Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 199 [Dz 3733]. Riguardo all’evoluzione del problema cf. anche: PIO XII, Discorso 3 giugno 1950: AAS 42 (1950), pp. 485-488; PAOLO VI, Discorso, 8 giugno 1964: AAS 56 (1964), pp. 574-579.

[2] Cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 32, a. 5 ad 2; Ibid. q. 66, a. 2; cf. la spiegazione in LEONE XIII, Encicl. Rerum Novarum: ASS 23 (1890-1891), p. 651 [Dz 3267]; cf. anche PIO XII, Discorso 1° giugno 1941: AAS 23 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico natalizio Ecce ego declinabo 1954: AAS 47 (1955), p. 27.

[3] Cf. S. BASILIO, Hom. in illud Lucae: Destruam horrea mea, n. 2: PG 31, 263; LATTANZIO, Divinarum Institutionum, lib. V, sulla giustizia: PL 6: 565B; S. AGOSTINO, In Ioann. Ev., tr. 50, n. 6: PL 35, 1760; ID., Enarratio in Ps. CXLVII, 12: PL 37, 1922; S. GREGORIO M., Homiliae in Ev., om. 20, 12: PL 76, 1165; ID., Regulae Pastoralis liber, pars III, c. 21: PL 77, 87; S. BONAVENTURA, In III Sent., d. 33, dub. 1: ed. Quaracchi III, 728; ID., In IV Sent., d. 15, p. II, a. 2, q. 1: ibid., IV, 371b; Quaest. de superfluo: ms. Assisi, Bibl. comun. 186, ff. 112a-113a; S. ALBERTO M., In III Sent, d. 33, a. 3, sol. I: Ed. Borgnet XXVIII, 611; ID., In IV Sent., d. 15, a. 16: ibid., XXIX, 494-497. Quanto alla determinazione del superfluo ai nostri tempi, cf. GIOVANNI XXIII, Messaggio radiotelevisivo 11 sett. 1962: AAS 54 (1962), p. 682: “Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti”.

[4] Vale in tal caso l’antico principio: “In estrema necessità tutto è in comune, cioè da comunicare”. D’altra parte, per il criterio, l’estensione e il modo con cui si applica il principio proposto nel testo, oltre ai sicuri autori moderni, cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 66, a. 7. Com’è evidente, per una corretta applicazione del principio, si devono osservare tutte le condizioni moralmente richieste.

[5] Cf. Gratiani Decretum, c. 21, dist. LXXXVI: ed. Friedberg, I, 302. Questo detto si trova già in PL 54, 491A e in PL 56, 1132B. Cf. in Antonianum 27 (1952), pp. 349-366.

[6] Cf. LEONE XIII, Encicl. Rerum Novarum: ASS 23 (1890-91), pp. 643-646 [in parte Dz 3265-67]; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931), p. 191; PIO XII, Messaggio radiofonico 1° giugno 1941: AAS 33 (1941), p. 199; ID., Messaggio radiofonico nella vigilia del Natale del Signore 1942 Con sempre nuova freschezza: AAS 35 (1943), p. 17; ID., Messaggio radiofonico, 1° set. 1944 Oggi al compiersi: AAS 36 (1944), p. 253; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 428-429.

Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo "Gaudium et spes", 1965

Fonte del testo italiano: sito ufficiale della santa Sede vatican.va