Il tempo è la misura di un mutamento, è ciò che rende possibile il confronto fra un “prima” e un “dopo”. Dove vi sia una successione fra due stati diversi, c'è una forma di temporalità. In particolare, la nozione di “tempo”, con il suo scorrere, indica la natura irreversibile di tale mutamento. Se le trasformazioni e i mutamenti sono quelli che avvengono nell’ordine della realtà fisica, allora l’irreversibilità del tempo è espressa dalla “freccia del tempo” associata al secondo principio della termodinamica: l’energia e il calore sono destinati a degradarsi, tendendo irreversibilmente verso l’uniformità. Aristotele fornì una definizione classica del tempo come “la durata dell'essere mutevole”.
Cosa dice la scienza sulla natura del tempo, sulla sua origine? Sarà possibile viaggiare nel tempo?
Le scienze naturali, in particolare la fisica, utilizzano il parametro temporale come una coordinata per la descrizione matematica dell'evoluzione dinamica dei corpi. La prospettiva scientifica si riferisce specialmente alla misura delle relazioni temporali, anche se attraverso di esse si confronta con certe caratteristiche “qualitative” del tempo, come ad esempio la sua direzionalità, il suo carattere continuo o discreto, la sua relatività. Il tempo delle equazioni della fisica è un tempo “astratto”, le cui proprietà matematiche potrebbero non rispecchiare ciò che avviene nell’ordine reale; le equazioni, ad esempio, possono sussistere anche con valori negativi del tempo, o prevedere un suo valore infinito.
È noto che Newton concepiva il tempo come assoluto, come un flusso uniforme e infinito, indipendente dalle cose, nel quale si potevano situare i tempi particolari misurati dall'uomo. Questo tempo non era altro che un'idealizzazione pari a quella dello spazio assoluto e infinito. Kant seguì in un certo senso la stessa strada, solo che ridusse il tempo ideale newtoniano a un'intuizione a priori della sensibilità interna dell'uomo. La teoria della relatività di Einstein eliminò in maniera definitiva l'idea del tempo assoluto nella fisica. Il tempo (meglio: lo spazio-tempo) è relativo allo stato di moto di un dato sistema di riferimento, e nella teoria della relatività generale il tempo è anche relativo all’intensità del campo gravitazionale, cioè alla curvatura dello spazio.
Non è possibile un'inversione temporale che non rispetti il principio della causalità. Il fatto è stato evidenziato dalla teoria speciale della relatività, da cui segue che l'ordine prima-dopo è invariante (cioè non relativo all'osservatore) per gli eventi “causalmente collegabili”. Tale collegamento causale è associato alla temporalità della trasmissione dei segnali, la cui velocità non può superare quella della luce. Proprio per questo motivo non sono possibili i “viaggi nel tempo”, ad esempio nel passato, se con questo termine indichiamo dei veri viaggi, con la possibilità di interagire con altri oggetti. Se noi viaggiassimo nel passato, potremmo intervenire sulle nostre cause, per esempio uccidendo nostro nonno per impedire la nostra esistenza. Il viaggio nel tempo, considerato come un'entità data e percorribile, comporta una confusione logica e anche una contraddizione.
Esiste una filosofia del tempo ?
Chiarire la natura del tempo è sempre stata una sfida per il pensiero occidentale, sfida che ha coinvolto diversi saperi. Il tempo è elusivo come tutte quelle realtà vitali difficilmente riducibili in concetti e discorsi lineari. Allargandosi l’orizzonte delle nostre conoscenze – non solo quelle fisiche, ma anche quelle legate alle neuroscienze - la sfida intellettuale è diventata ancora più ardua.
Il pendolo della riflessione sul tempo ha oscillato tra l’interesse per la natura oggettiva, cosmica, misurabile del tempo e l’interesse per la struttura della esperienza interiore del tempo. Aristotele, nel libro IV della Fisica, definisce il tempo come “misura (aritmos) del moto secondo il prima e il poi”: non c’è tempo senza cambiamento, il tempo misura il cambiamento e il cambiamento misura il tempo. Aristotele non sostanzializza il tempo come farà invece Newton. A differenza di Aristotele, interessato agli intervalli temporali, Agostino si concentra piuttosto sulla struttura del presente. Nella lunga analisi del capitolo XI delle Confessioni, giunge alla conclusione che il tempo è nell’anima che trattiene il passato nella memoria e anticipa il futuro. Sia per Aristotele che per Agostino senza anima non c’è tempo, o perché non c’è chi misuri, o perché non c’è chi metta assieme passato e futuro nel presente.
Con l’avanzare delle scienze sperimentali e la consapevolezza crescente della distanza tra tempo misurato e tempo sperimentato in ambito filosofico si è posto il problema di chiarire se il termine “tempo” sia usato in modo equivoco o analogo dagli scienziati e dall’uomo che percepisce la propria esistenza nel tempo. Il tempo sperimentato è fondamentalmente il presente, l’“adesso”, che fluisce continuamente in modo irreversibile. Il mio adesso è un “adesso” anche per chi condivide il mio ambiente vitale. Il tempo socialmente condiviso testimonia di una storia comune che avanza per tutti allo stesso modo. Il presente è destinato a divenire passato e il futuro, ancora aperto al possibile, a divenire presente.
Per la fisica del Novecento, invece, la simultaneità, la durata degli intervalli, il ticchettio degli orologi sono relativi al sistema di riferimento e ai campi gravitazionali. Il grande acceleratore di particelle di Ginevra o il nostro GPS devono tenere conto di tale relatività per funzionare correttamente. Einstein credeva che l’universo fosse essenzialmente già dato, che il fluire del tempo fosse illusione. Altri scienziati la pensano diversamente: il futuro è reale, il divenire è emergenza di autentiche novità.
Si pone allora il problema filosofico e scientifico allo stesso tempo: come conciliare visioni del tempo che sembrano contraddittorie? Lo sforzo della riflessione epistemologica e ontologica, in confronto e in sinergia con le scienze naturali, deve registrare le differenze e armonizzarle perché non diventino contraddizioni. Le differenze, infatti, arricchiscono e approfondiscono i concetti, la contraddizione è invece intollerabile per la ragione.
Filosofi con competenze scientifiche e scienziati con competenze filosofiche hanno ripreso di gran lena a confrontarsi per risolvere il “paradosso del tempo”: misuriamo tempi con la precisione di 10-18 sec, ma cosa sia il tempo rimane una sfida intellettuale sempre ardua e avvincente.
Cosa dice la Rivelazione ebraico-cristiana sul tempo?
La visione del cosmo e della storia trasmessaci dalla Rivelazione ebraico-cristiana è compatibile con le diverse teorie fisiche sulla trasformazione del cosmo fisico. Ciò che la Rivelazione biblica aggiunge non si colloca sul piano fisico, ma dà un senso ultimo e più alto all'evoluzione del cosmo. La fede cristiana, infatti, insegna che l'universo fisico, creato da Dio, è in rapporto con il destino definitivo dell'uomo. La creazione è ordinata all'opera della Redenzione: in altre parole, lo scorrere del tempo trova il suo senso ultimo nella “storia della salvezza”. La sacra Scrittura parla inoltre di una fine dei tempi, cioè della fine della storia umana in corrispondenza della quale avrà luogo la resurrezione dei morti e l'avvento definitivo del Regno di Dio (la vita eterna, che trascende lo spazio e il tempo). Restando in una pura prospettiva fisica, il “disordine futuro” del cosmo potrebbe sottolineare la finitezza e contingenza di un mondo che non è Dio, così come la morte umana mette in risalto la finitezza della nostra esistenza. D'altra parte il destino definitivo del cosmo così come voluto dal piano di salvezza di Dio e creduto dalla speranza cristiana, non va visto precipuamente nella linea di un processo fisico, né di perfezionamento né di distruzione, alla luce delle nostre conoscenze scientifiche, il che potrebbe essere fuorviante, bensì alla luce di un perfezionamento morale e religioso della persona umana, come processo di libera corrispondenza alla grazia di Cristo. Le conseguenze concrete che questo piano salvifico possa avere sulla struttura fisica dell'universo non ci sono note e restano pertanto nascoste nel mistero divino della creazione in quanto tale.
Come distinguere il tempo dalla storia? Quali implicazioni filosofiche ha questa distinzione?
Il tempo umano si può denominare “storia” o anche “esistenza”. L'uomo è “storico” perché il suo tempo accumula progressivamente il passato, in forma di ricordi, esperienze, abiti, conoscenze acquisite, tradizioni, mentre è nel presente continuamente affacciato al suo futuro, senza poter mai fermare questo corso del tempo. La struttura ontologica che consiste nell'avere sulle spalle un passato ricordato e anche inconscio, non solo individuale ma anche collettivo, e nel dover sempre affrontare il futuro con la libertà, si può chiamare esistenza. Il passato ricordato e raccontato serve a donare a ciascuno la coscienza della propria identità. Il futuro prospetta all'uomo lo spazio della sua libertà e responsabilità, poiché l'esistenza di un futuro significa che la storia per ciascuno non è chiusa, ma rimane aperta e in buona misura dipende dalla sua libertà. Il presente è il luogo dell'azione e delle scelte, non solo nel rapporto orizzontale con il futuro temporale ma anche nel rapporto verticale con l'eternità, verso la quale l'uomo è destinato. L'esistenza umana possiede anche una struttura ermeneutica, dal momento che l'uomo vede la proiezione della sua vita e gli orizzonti del passato e del futuro sempre alla luce dello stato attuale della sua coscienza temporale; egli vede la sua vita in una maniera sempre nuova, eppure in modo compatibile con la sua conoscenza di verità eterne sull'essere e su sé stesso. In definitiva si può dire che il tempo esistenziale dell'uomo ha le caratteristiche della “crescita” e della “libertà”. Di fronte al tempo l'uomo è attivo e passivo. Non possiamo cambiare la nostra natura umana, né l'inesorabile avanzare del tempo limitato che ci resta disponibile, fino al momento ugualmente inesorabile della morte, ma possiamo imprimervi la direzione che vogliamo. All'uomo è stato donato il suo essere, di cui dispone con libertà. Il futuro gli appare come possibilità sempre aperta, offerta alla libertà ed emergente da quanto gli è stato donato. Il tempo dell'uomo è soprattutto il tempo concesso alla sua libertà.
Come si può concepire l'agire di Dio Creatore nella storia del mondo, se Egli trascende il tempo e la storia?
È da notare l'importanza della temporalità nella Rivelazione giudeo-cristiana, la quale di per sé ha una struttura storica: essa è appunto una “storia della salvezza”. Il tempo è un dispiegamento del disegno divino che ripercorre tutta la creazione e che giunge in Cristo a un momento culminante, non solo in un senso cronologico (gr. chrónos in Gal 4,4), ma anche qualitativo (gr. kairós, Mc 1,14), soprattutto perché Cristo ricongiunge il tempo e l'eternità di Dio, consentendo all'uomo di partecipare a tale unione in modo vitale e concreto.
L'Eternità divina non vanifica la realtà del tempo e della storia, perché il tempo procede da Dio, anche il tempo imprevedibile della libertà creata dell'uomo, il quale, con la sua risposta alla chiamata divina, decide la sua eternità. E ben lontana dal cristianesimo una sottovalutazione del tempo, il quale comunque acquista tutto il suo senso alla luce dell'eternità. L'Eternità di Dio, d'altra parte, non va confusa con la temporalità del pensiero astratto, ma è da concepire come una Vita piena, sempre attuale e senza successione, secondo la celebre definizione di Severio Boezio: «possesso simultaneo e perfetto di una vita senza termine» (De Consolatione Philosophiae, V, 6, 9). Nella vita eterna dello stato glorioso, dal momento che i corpi risusciteranno e ci sarà un nuovo stato dell'universo, il tempo fisico non sarà cancellato ma piuttosto trasfigurato e liberato dal degrado. Il tempo è sempre una partecipazione all'essere, e così il tempo che apparterrà al futuro stato definitivo di un universo trasfigurato sarà anch'esso una peculiare partecipazione all'eternità.
Pur trascendendo lo spazio e il tempo, Dio può agire nello spazio e nel tempo perché essi dipendono causalmente da Lui. Dio agisce attraverso le cause seconde, conferendo loro l’esistenza e una specifica natura, ma agisce anche prescindendo da esse, quando ad esempio chiama all’esistenza ogni essere umano, la sua persona irripetibile, e quando compie miracoli, trascendendo le leggi di natura di cui Egli stesso è causa.
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Nella teoria della relatività generale di Einstein, indica la configurazione possibile in cui la curvatura dello spazio-tempo dovuta alla gravità tende a valori infiniti. Negli anni Settanta del Novecento le ricerche di Hawking sulle singolarità gravitazionali, che condussero ai teoremi di Hawking-Penrose, fornirono risposte alla domanda se e quando, all’interno delle equazioni di campo della relatività generale, la gravità fosse in grado di produrre delle singolarità spazio-temporali. La necessaria esistenza di tali singolarità fu riconosciuta in tutti i modelli canonici di universo in espansione e rafforzò dunque il quadro cosmologico noto come modello del Big Bang.
Termine greco che indica il “momento opportuno”, distinto come qualitativamente rispetto allo scorrere uniforme del tempo. Nella mitologia greca viene raffigurato come un giovane con ali ai piedi e sulla schiena, nuca rasata e ciuffo di capelli sulla fronte (a rappresentare la sua inafferrabilità), recante in mano una bilancia che egli stesso fa pendere da un lato. Il cristianesimo accoglie questo termine per indicare il presente in cui si partecipa al mistero/evento di Cristo, la pienezza del tempo e la singolarità qualitativa che contraddistingue il tempo della salvezza.
Termine greco che indica il tempo lineare, omogeneo e irreversibile, ovvero lo scorrere che “divora” i singoli istanti. Nella mitologia greca, Crono è figlio di Urano (il cielo) e divoratore dei propri figli, a eccezione di Zeus, che lo sconfiggerà. In ambito latino, viene identificato con Saturno ed è raffigurato come un vecchio alato recante in mano una falce. Tra i suoi attributi anche la clessidra, indicante lo scorrere unidirezionale del tempo “cronologico”, che segna l’inevitabile avvicendarsi degli eventi e delle età.
Espressione desunta dal linguaggio biblico con la quale la tradizione ebraico-cristiana indica il “compimento” della storia e la sua trasfigurazione finale che darà origine a “cieli nuovi e a terra nuova”. L’espressione indica primariamente l’idea del compimento, della giustizia finale e del raggiungimento del fine del creato; solo indirettamente riguarda affermazioni circa lo scorrere del tempo fisico. La nozione di fine dei tempi non si oppone all’analisi scientifica del cosmo, perché l’origine e il fine della storia trascendono la storia stessa.