Being digital

La prima versione italiana è Essere digitali, Sperling & Kupfer, 1995.
Le citazioni del testo in corsivo sono dell'originale inglese, mentre sono tra virgolette le citazioni da noi liberamente tradotte.


L'autore

Nicholas Negroponte, nato nel 1943, ha fondato nel 1985 il Media Lab del Massachusetts Institute of Technology (in cui insegnava già dal 1966), a Cambridge negli Stati Uniti, per convogliare ingegneri, artisti e scienziati nella creazione di nuove tecnologie ed esperienze per capire meglio e trasformare positivamente la vita e l'ambiente delle persone. Il suo tema di ricerca fondamentale è l'interazione uomo-macchina.

Ha promosso la nascita della rivista Wired Magazine e ha investito in molte nuove aziende, facendo parte del consiglio di amministrazione di società di vario tipo, tra cui Motorola.

Nel 2005 ha lanciato il progetto di un computer da 100 $ da distribuire ai bambini dei Paesi in via di sviluppo, attraverso l'organizzazione non profit One Laptop per Child. Non ha raggiunto l'obiettivo di costo, ma ne ha distribuiti alcuni milioni, frenato da problemi organizzativi, economici e politici.

Premessa

Rileggere Being digital dopo un quarto di secolo è particolarmente affascinante. Poche persone hanno avuto la capacità di prevedere il futuro con un dettaglio pari a quello di Nicholas Negroponte. Ci si può chiedere se ha indovinato oppure molti si sono ispirati a quanto aveva detto, per realizzare prodotti e servizi innovativi. Pur essendo dislessico, ha saputo leggere il suo presente per annunciarne la trasformazione progressiva.

Il libro, scritto nel 1995, è suddiviso in 18 capitoli oltre all'introduzione e conclusione, organizzati in 3 parti: Bits are Bits, Interface, Digital Life. In questa analisi dell'edizione in lingua originale del 1996, non seguo sempre il ritmo del volume perché alcuni temi sono ripresi in più capitoli e rivisitati sotto punti di vista diversi. La narrazione è però quasi esaustiva: confronto con la realtà attuale praticamente tutti i temi che affronta.

Il testo è di natura tecnica, con considerazioni comportamentali, ma raramente approfondisce tematiche sociologiche o politiche. La caratteristica principale è il suo ottimismo "digitale".

Previsioni e verifiche

Computing is not about computers any more. It is about living, affermava all'inizio, anticipando una rivoluzione che si è verificata, sia pure con velocità diverse nel mondo: le nostre vite sono fortemente condizionate dall'informatica in tutte le sue declinazioni. Certamente non è ancora avvenuta la trasformazione delle scuole in musei e sale giochi per bambini per mettere insieme idee e socializzare con altri in tutto il mondo, ma molto altro è successo.

È rimasto famoso il Negroponte switch, cioè lo scambio di supremazia tra connessioni cablate e senza fili. Sosteneva che non era molto sensato avere apparecchi statici come la TV collegati ai fornitori senza fili (antenne) mentre apparati personali e potenzialmente mobili come i telefoni erano collegati attraverso cavi. In futuro, diceva, avremmo avuto TV via cavo e telefoni senza fili. Negli USA per la TV è già avvenuto da anni, mentre in Italia, dove la televisione via cavo non è mai esistita, stiamo assistendo adesso alla transizione, sia pure con modalità diverse perché la gente sempre più spesso guarda spettacoli televisivi via Internet da televisori connessi o da altri apparati.

La frase twenty-five years from now, there may be no difference between cable and telephone è forse la previsione più corretta: non abbiamo più bisogno di collegarci a un cavo per navigare in rete o vedere film. Negroponte ipotizzava però uno sviluppo satellitare con distribuzione locale senza fili: invece, con i nostri smartphone 4G in molte case andiamo più velocemente della connessione cablata e non usiamo satelliti. Aveva anche previsto il cambiamento di modello di pagamento della telefonia: non più a minuti ma a "pacchetti" cioè quantità di dati scaricati. Sono gli attuali Gigabytes al mese, previsti dai contratti che tendono a dare maggior peso al traffico Internet che al tempo di conversazione. Aveva anche preannunciato che avremmo scelto il nostro palinsesto, vedendo contenuti non solamente in diretta ma a richiesta: lo definiva random access medium, che ora chiamiamo on demand. Diceva che i suoi pronipoti non avrebbero capito il concetto di TV in diretta, se non facendo riferimento al suo modello di business, ma che avrebbero accettato di andare a teatro a una certa ora per godere della presenza collettiva di attori umani.

I bit sono il soggetto di molte pagine: la digitalizzazione è la trasformazione di un segnale analogico (suoni, immagini) in una sequenza di 0 e 1. Giustamente dava importanza alla capacità di comprimere la quantità di numeri necessari per riprodurre il segnale originale con la stessa qualità: "È come se fossimo capaci di fare un cappuccino liofilizzato-congelato che, aggiungendogli acqua, diventa così buono, ricco e aromatico come quello fatto in un bar italiano". La sua idea di digitalizzazione era però più estrema di quella che abbiamo: pensava che una trasmissione televisiva potesse trasportare, oltre alle immagini, anche una descrizione completa di se stessa in formato utilizzabile da un computer, per poterla manipolare più o meno automaticamente o unire ad altre fonti. Questo ipotetico futuro caratterizzato da metadata molto ricchi non si è avverato per i video, ma neppure per contenuti in rete: non li hanno generati gli autori che hanno pubblicato contenuti non categorizzati o descritti. Per esempio, quasi mai sappiamo chi è l'autore di una pagina web e molto spesso neppure la sua data di pubblicazione. Invece ha trionfato l'analisi automatica e la categorizzazione e profilazione a posteriori, fatta dai motori di ricerca.

Parlando di convergenza tra diversi mezzi rifletteva sul fatto che trasmettere il Super Bowl su cavo, etere e telefono fosse un modo difficile di farlo arrivare a tutti contemporaneamente. Ipotizzava perciò che ogni contenuto sarebbe stato distribuito attraverso il canale più opportuno. Sosteneva che la differenza tra la rete televisiva e quella informatica fosse come tra un fondamentalista islamico e un cattolico italiano. Sarebbe cambiata la situazione, ma lentamente. Al giorno d'oggi invece non distinguiamo più il mezzo attraverso il quale riceviamo i contenuti televisivi: digitale terrestre, satellite, rete cablata, rete cellulare trasmettono lo stesso programma anche se, è vero, con alcuni secondi di scarto che, in situazioni particolari come il rigore di una partita di calcio importante possono causare problemi, ascoltando l'esultare del vicino prima che noi possiamo vedere il tiro.

Un'analisi interessante era quella relativa agli standard e alle normative. Riguardo alla tecnologia dei televisori (voltaggio, scansione) prevedeva l'universalità degli apparati, utilizzabili negli USA (110 Volt, 60 Hz) e in Europa (220 Volt, 50 Hz), così come era avvenuto per il primo personal computer IBM che aveva superato questo ostacolo incorporando sistemi di commutazione automatica. Per la distribuzione di frequenze, ipotizzava una maggiore liberalizzazione dando la possibilità di trasmettere qualsiasi cosa, senza cercare di limitare, come sembrava fare a quell'epoca l'agenzia statunitense di regolamentazione (FCC), a una singola tecnologia (TV ad alta definizione): There is simply no way to limit the freedom of bit radiation, any more than the Romans could stop Christianity, affermava simpaticamente, ricordando che il Cristianesimo si è diffuso nonostante le persecuzioni. La questione è tuttavia un po' complessa perché ancora definiamo le licenze di utilizzo delle bande radio secondo la tecnologia, ma la novità sta nel fatto che, nell'ambito della trasmissione digitale, possiamo veicolare contenuti molto diversi: una libertà maggiore di prima.

Dedicava anche un capitolo al problema dell'unificazione mondiale della forma delle prese elettriche: siamo ancora molto lontani e non si vede nulla all'orizzonte. Confrontava la compatibilità dei sistemi meccanici che deve essere assoluta (ad esempio, il passo dei bulloni e dei dadi) mentre nel mondo digitale è importante l'interoperabilità, ma non è necessario che tutti i sistemi siano identici: basta un protocollo di comunicazione.

Google Street View, che permette di vedere le strade di quasi tutto il mondo dal punto di vista del pedone, non è stato solo anticipato concettualmente da Negroponte, bensì con un'applicazione multimediale anche più completa, realizzata dal suo gruppo nel 1978 per addestrare i militari americani a proteggere luoghi importanti (ambasciate, aeroporti), senza esserci mai stati: potevano percorrere strade, entrare virtualmente in edifici, lasciare segni, ecc.

Marshall McLuhan aveva coniato nel 1964 la frase the medium is the message, per mettere l'enfasi sull'importanza dello strumento di comunicazione come elemento condizionante della società perché il modo di trasferire l'informazione altera il contenuto stesso: raccontare tramite il cinema è diverso rispetto al libro, anche con un identico messaggio. Negroponte invece sosteneva che the medium is not the message nel mondo digitale, ma è la sua incarnazione: lo stesso messaggio può essere trasferito in molti modi e un libro non è necessariamente di carta perché al posto di atomi ci possono essere bit che definiscono un libro elettronico.

La contrapposizione atomi-bit era un filo conduttore della sua opera, invitando ad abituarci a un mondo in cui si trasportano informazioni fatte di bit, non oggetti fatti di atomi. Se pensiamo alla forte riduzione attuale della vendita di giornali e al calo della lettura di libri cartacei (non ancora abbandonati, nonostante alcuni profeti di sventura delle case editrici), ma soprattutto alla facilità di moltiplicazione di qualsiasi opera digitale in rete e quindi alla sua diffusione mondiale in pochissimo tempo, del tutto impossibile per un oggetto fisico (i filmati di YouTube possono raggiungere miliardi di persone, impensabile distribuendo pellicole, videocassette o DVD), ci accorgiamo che la sua affermazione multimedia will be predominantly an on-line phenomenon era del tutto veritiera. E fu scritta nel momento di auge del CD-ROM che sembrava dover dominare definitivamente il mercato con le sue evoluzioni per testi, audio e video. Negroponte aveva invece predetto per il decennio successivo il fallimento dei negozi di noleggio di videocassette: è accaduto un po' più tardi, ma la grande catena Blockbuster nel 2013 ha chiuso i battenti, nonostante la transizione dal VHS al DVD.

La prospettiva più interessante per Negroponte era la considerazione che, nel mondo degli atomi, si doveva scegliere tra un libro generalista (enciclopedia) e un testo specialistico, necessariamente limitato nella sua estensione, mentre nel mondo in rete nessun limite è precostituito e si può avere estensione e profondità a volontà. Non aveva predetto la Wikipedia, ma ci era andato vicino.

I display flessibili non sono ancora sul mercato, ma forse ci manca poco: per Negroponte però il libro digitale non sarebbe dovuto essere come gli attuali tablet o ereader, ma con un aspetto simile al libro, alla carta e al cuoio.

Qualcosa che ancora non si è realizzato del tutto è ciò che chiamava mediumlessness. Un messaggio dovrebbe poter essere trasmesso dal fornitore e ricevuto dall'utente nel modo che più gli si confà: una trasmissione sportiva diventa solo audio o video o statistiche o grafici o 3D. Qualcosa di simile, attualmente, è nella TV satellitare collegata a Internet: l'utente può arricchire la trasmissione dell'evento con riprese da diversi punti di vista, con dati tecnici, sondaggi, ecc.

Nell'epoca dei modem pagavamo a tempo la connessione: più veloci erano i modem e meno ci costava il contenuto. Poi è arrivata la tariffazione a consumo. "Forse la banda dovrebbe essere gratis", scriveva, e dovremmo pagare per i contenuti: film, servizi, documenti. In questi ultimi anni si è affermata una tendenza simile, con un costo molto basso per la connessione ad alta velocità e un gruppo di fornitori di contenuti che ci fanno pagare abbonamenti per i loro prodotti: quotidiani, film, serie TV. Ciò che è mancato a Negroponte è lo scenario del tutto gratis in cambio di pubblicità e di dati personali (profilazione): siamo noi stessi il prezzo del nostro acquisto, con tutta una serie di conseguenze negative soprattutto se non c'è consapevolezza.

"Se controlli contenuto e trasporto, puoi essere neutrale?", affermava, ponendosi un problema molto serio. Nell'epoca attuale c'è separazione tra i due ruoli, per fortuna, ma Negroponte non aveva previsto il terzo attore, che è l'intermediario tra il produttore dei contenuti e l'utilizzatore: si chiama soprattutto Google che non ha contenuti propri ma è quasi monopolista nel presentare quelli degli altri a tutti gli utenti. Non è facile essere neutrali in questo ruolo perché la scelta di ciò che appare al primo posto come risultato di una ricerca non è indifferente: l'algoritmo è basato su criteri decisi da persone che lo programmano.

Il capitolo Culture convergence affrontava quella che Negroponte chiamava "polarità percepita, ma artificiale" tra tecnologia e scienze umane, tra arte e scienza, prevedendo che la multimedialità avrebbe colmato la dicotomia. La creatività nell'uso della tecnologia avrebbe prodotto una mescolanza tra mezzo e messaggio: citava l'esempio, già allora in atto, dell'industria dei videogiochi, con apparecchi più potenti di quelli usati per compiti professionali. Quando scriveva che l'industria dei videogiochi è più avanti della NASA non stava esagerando. "I giochi su PC supereranno quelli delle console dedicate, tranne che nella realtà virtuale", scriveva Negroponte. Non è ancora accaduto per lo stesso motivo spiegato: la qualità dell'hardware per giocare è sempre superiore a quella dei PC utilizzati per attività di diverse tipologie. La potenza dei processori, soprattutto grafici, ha certamente fatto fare passi avanti ai personal computer per i giochi più realistici ed elaborati, ma la PlayStation e l'Xbox non sono ancora defunti.

Gli acquisti on-line erano previsti nel suo libro, ma li affrontava in relazione ai beni digitali (informazioni, intrattenimento) e con una condizione: Talking to your computer is as easy as talking to another human being. La storia ha visto invece crescere il commercio elettronico anche senza interfacce vocali. È vero che da qualche tempo l'interazione con "agenti intelligenti" di varie aziende avviene con richieste verbali e risposte sintetiche simil-umane, ma ciò non è stato necessario per sviluppare il mercato on-line.

"Perché i computer devono essere così difficili da utilizzare e avere interfacce incomprensibili e poco intuitive?" era una domanda legittima, alla quale rispondeva con la presa d'atto del dominio dei tecnici rispetto ai creativi: sarebbe uno spreco dedicare risorse solamente per abbellire. Auspicava per il decennio successivo non solo schermi più grandi, migliore qualità sonora e interfacce grafiche: "Costruire computer che ti riconoscono, imparano di cosa hai bisogno, capiscono il tuo linguaggio verbale e non verbale". Sono passati 25 anni e ci stiamo avvicinando a questo obiettivo: gli smartphone riconoscono il nostro volto o la nostra impronta digitale, Google ci suggerisce posti da visitare o attività da svolgere sulla base dei nostri desideri dedotti dalla navigazione in rete precedente, Siri risponde alle nostre domande, un gesto davanti allo schermo può essere interpretato come un comando.

Why can't telephone designers understand that none of us want to dial telephones? We want to reach people on the telephone! Ormai è normale per noi non sapere più a memoria i numeri di telefono di parenti e amici, perché li possiamo chiamare con il loro nome sul telefonino. Se per noi è naturale ricordare i nomi di parenti, amici e colleghi, risulta meno intuitivo ricordare i nomi dei programmi da eseguire su un computer e per questo motivo nacquero le icone, con forme e colori che ne rappresentano l'azione corrispondente, come faceva notare Negroponte.

Nel libro definiva la realtà virtuale un ossimoro e aveva ragione: se è reale, non è virtuale. Preferiva però interpretare l'espressione come un rafforzamento: rendere l'artificiale più realistico della realtà. Dedicava spazio agli ologrammi, ma senza predirne la diffusione in tempi brevi, a ragione. In effetti, considerato che ho visto la mia prima immagine olografica, un minuscolo modellino di automobile in un laboratorio di Fisica all'Università Statale di Milano nel 1980, è significativo che dopo quarant'anni stiamo ancora sperimentando e non esistono applicazioni commerciali olografiche, cioè trasmissione a distanza di immagini tridimensionali complete in movimento, osservabili da qualsiasi punto di vista.

Sui tablet faceva un'ipotesi che non si è avverata: siccome i nostri tavoli sono già pieni di roba, l'unico modo in cui i data tablets possono diventare popolari è se i produttori di mobili li incorporeranno nel ripiani, in modo che non ci siano apparecchi, ma il tavolo stesso.

All'uso delle dita come puntatore su uno schermo dedicava un capitolo: smontava le tesi negative allora in vigore sulla scarsa possibilità di toccare elementi piccoli, sullo sporcare lo schermo e su coprire ciò che si vuole vedere. Invece sosteneva, correttamente, che mancava ancora la tecnologia anche se, venti anni prima, aveva realizzato un prototipo al MIT che assomiglia molto ai nostri touch screens, con l'uso contemporaneo di più dita. Steve Jobs alla Apple è riuscito, con l'iPhone, a sviluppare questa tecnologia trasformandola in un fenomeno di massa che è diventato universale.

C'è un altro ambito in cui Jobs ha realizzato quanto scritto da Negroponte: "La nozione di una manuale di istruzioni è obsoleta. Il miglior istruttore su come usare una macchina è la macchina stessa. Sa cosa stai facendo, cosa hai appena fatto, e può anche indovinare cosa stai per fare". Tutti gli apparecchi Apple nascono con questo principio. Peccato che altri non hanno saputo seguirlo.

Affrontava anche il problema dell'uso degli occhi come puntatore, descrivendo alcuni esperimenti. In questo ambito certamente abbiamo fatto passi avanti per le persone disabili che riescono a scrivere o parlare usando esclusivamente il movimento degli occhi. Invece non abbiamo ancora sistemi a basso costo che permettano di mantenere il contatto visivo con l'interlocutore quando facciamo una videoconferenza. Praticamente sempre guardiamo lo schermo e non la telecamera e quindi all'interlocutore manca l'importante sensazione di rapporto diretto: Negroponte giustamente sottolineava come siamo capaci di capire al volo se qualcuno ci sta guardando oppure sta guardando qualcosa dietro di noi pur essendo il suo sguardo sempre nella stessa direzione.

Sosteneva che le interfacce vocali, cioè i computer che capiscono le parole, erano limitati non dalla tecnologia ma da lack of perspective. Invece di affrontare il problema in termini umani (come parlo con gli altri, cosa vuol dire la mia intonazione, devo poter parlare stando lontano dall'apparato), gli sviluppatori avevano costretto gli utenti a rigide regole, limitando così l'uso dei sistemi di comprensione e trascrizione. Ormai il problema è quasi risolto e abbiamo diversi sistemi di riconoscimento del parlato, anche con uno smartphone a basso costo che elabora localmente il suono, come Negroponte ipotizzava correttamente. A dire il vero, gli attuali sistemi preferiscono ancora inviare la traccia sonora ai loro potenti server per una migliore interpretazione, ma ne possono fare a meno.
Ma "l'idea che fra 20 anni parlerai a un gruppo di assistenti digitali olografici alti 20 centimetri che camminano sul tuo tavolo e che è certo che la voce sarà il tuo canale di comunicazione primario tra te e i tuoi agenti di interfaccia" non si è verificata. A mio parere, l'enfasi sulla voce come veicolo principale di interazione si scontra con la constatazione che in molte circostanze non possiamo parlare, perché disturbiamo chi ci sta accanto. La nostra vita e il nostro lavoro è stato, nei secoli, composto di molto silenzio e scrittura, non solo di parole.

Negroponte amava i digital butlers, maggiordomi elettronici che immaginava diffusi localmente o remotamente, personali o aziendali, che ci avrebbero alleggerito di molti compiti. Ma li immaginava controllabili: per esempio, avrebbero scelto per noi le notizie del giorno, ma ci avrebbe permesso "con una manopola, come un controllo di volume, di personalizzare su e giù; molti controlli, perfino uno scorrimento da sinistra a destra per modificare le storie da un punto di vista politico corrispondente", utilizzando un'analogia molto efficace. La personalizzazione dell'informazione sulla base dei comportamenti e delle attività svolte non sembrava preoccuparlo: la auspicava ma in questo capitolo non affrontava i rischi della perdita di privacy e del bombardamento pubblicitario al quale siamo sottoposti o, peggio ancora, della delega inconsapevole a un algoritmo sconosciuto per scegliere i contenuti che dovrebbero interessarci. Ora infatti abbiamo notizie selezionate da Google News ma non è intuitivo cambiarne la personalizzazione: molti non sanno farlo o non si pongono il problema. È nato così il fenomeno della "bolla di filtraggio" per cui riceviamo sempre di più ciò che è simile a quanto abbiamo cercato o approvato, tralasciando tutto il resto e quindi impoverendo la nostra cultura oppure radicalizzando la nostra opinione: pensiamo che tutti la pensano come noi perché leggiamo solo ciò che è d'accordo con le nostre idee. La pubblicità che riceviamo ha lo stesso problema: quasi nessuno utilizza le funzioni di personalizzazione.

Si concentrava soprattutto sull'aiuto in casa: il digital butler avrebbe evitato di far squillare il telefono in assenza di persone, i robot domestici e il frigorifero avrebbero detto all'automobile di ricordarti di comprare il latte. Sembra che non avesse immaginato la situazione attuale in cui gli acquisti possono arrivare direttamente a casa con un ordine automatico di ripristino di una scorta.

Riguardo all'intelligenza artificiale, Negroponte ammetteva che mancava di buon senso: manca ancora, per cui i sistemi di riconoscimento automatico commettono a volte errori che un bambino non commetterebbe. Tuttavia lo sviluppo di automezzi a guida autonoma sta facendo avanzare questo settore.

Nel libro profetizzava la decentralizzazione, richiamando le teorie del suo collega Marvin Minsky sulla superiorità di molti computer specializzati connessi tra loro piuttosto che su un unico calcolatore potentissimo. Sottolineava la capacità degli uomini di coordinarsi in poco tempo anche senza una direttiva stringente o regole precostituite, per raggiungere un obiettivo comune. Mi sembra che questa tesi abbia qualche analogia con il successo della Wikipedia: è un sistema decentrato nel senso che la produzione delle voci è distribuita tra moltissime persone, senza particolare controllo, con un risultato quasi sempre ottimo. Ma, come abbiamo già detto, Negroponte non l'aveva prevista!

"Le segreterie telefoniche dovrebbero essere sempre attive per far lasciare un messaggio", scriveva. Ora c'è WhatsApp che fa questo, ma non l'aveva previsto. Prevedeva la sparizione del fax, dopo averne descritto le caratteristiche "perdenti" nei confronti della posta elettronica, che è nata prima. La facilità d'uso senza conoscere nulla di informatica ha certamente giocato a favore del fax, che solo in questi ultimi anni ha iniziato la discesa a precipizio. "La posta elettronica è asincrona e ubiqua e perciò ha successo", aggiungeva. "Useremo tutti e-mail, a patto di imparare un certo decoro digitale", scriveva introducendo il capitolo dedicato alla "netiquette", le buone pratiche digitali, nella quale invitava sostanzialmente alla brevità dei messaggi di posta elettronica e alla sobrietà nel numero dei destinatari. Invece i più giovani ora non usano più e-mail, preferendo tutti i sistemi di messaggistica istantanea che danno la possibilità di rispondere in tempo reale o successivamente.

Mi sono chiesto: aveva previsto YouTube? C'è una frase che può far pensare di sì: On the Net each person can be an unlicensed TV station. In rete, ciascuno avrebbe potuto trasmettere qualsiasi cosa. "Tra pochi anni potrai sapere da una casalinga marocchina come fare il cuscus": è proprio vero.

Ipotizzava un miliardo di utenti in rete su Internet nel 2000: ha sbagliato di poco perché è accaduto nel 2004.

Descriveva un ingegnoso sistema per memorizzare audio non tramite compressione del segnale acustico registrato, ma simulando lo strumento e registrando i movimenti per generare il suono: il risultato sarebbe stato un file di dimensioni molto ridotte, qualcosa di più sofisticato del già esistente sistema MIDI di interfacciamento di strumenti musicali. Non mi sembra che questa linea di sviluppo sia stata seguita, mentre si sono diffusi i sistemi di codifica compressa come MP3 per l'audio e MP4 (H.264) per il video che, pur non essendo i migliori, dominano il mercato.

Prevedeva etichette attive e badge intelligenti che indosseremo, come quello che già avevano realizzato i laboratori di ricerca Olivetti in Inghilterra (che crearono anche l'ancora utilizzato programma di controllo remoto VNC). Prevedeva anche lo smart watch e simili apparati entro il 2000: ci sono voluti altri quindici anni perché cominciasse la loro diffusione di massa. La cintura dei pantaloni come sistema di ricarica del telefonino è stata realizzata, ma non mi sembra che si sia diffusa: eppure non era una cattiva idea.

Nel capitolo Smart cars affrontava il tema della responsabilità degli incidenti causati da navigatori automatici basati su mappe non aggiornate, e prediceva anche la comunicazione di informazioni durante il viaggio riguardo a posti turistici, ristoranti, ecc. Tutta roba che Google Maps fa da qualche anno. "Se la tua auto del futuro sarà rubata, potrai chiamarla per sapere dov'è e risponderà impaurita": non è proprio così, ma i sistemi GPS di controllo fanno qualcosa di simile.

Scriveva che la medicina è cambiata molto negli ultimi anni e un medico di 150 anni fa non saprebbe interagire con la strumentazione moderna. Invece nell'insegnamento non è cambiato quasi nulla: banchi, cattedra e lavagna. Confermo che l'introduzione della LIM, la lavagna interattiva multimediale, in tutte le scuole d'Italia non ha trasformato il modo di insegnare e imparare. Forse con la didattica a distanza forzata dalla pandemia del 2020 potrà nascere qualcosa di nuovo, efficace ed efficiente. Negroponte invitava a fare musica e arte sfruttando i computer per tornare alla creatività perduta di quando, non esistendo registrazioni musicali e fotografia, si imparava a suonare e a dipingere.

Conclusione

Negroponte di autodichiarava ottimista, ma nel libro si dimostrava realista: "La prossima decade vedrà casi di abuso di proprietà intellettuale (avvocati del diritto d'autore, allacciate le cinture!) e l'invasione della nostra privacy e perderemo molti posti di lavoro sostituiti dall'automazione. Useremo forza lavoro indiana o russa". È accaduto ma ora le grandi aziende stanno facendo marcia indietro consapevoli dei problemi di coordinamento di gruppi di lavoro con fusi orari, mentalità e stili di vita molto diversi. Non è invece accaduto a larga scala quanto prevedeva: lavorare su uno stesso progetto 24 ore al giorno in tre turni basati sui fusi orari.

"Come una forza della natura, l'era digitale non può essere negata né fermata. Ha quattro potentissime qualità che alla fine detteranno il suo trionfo: decentramento, globalizzazione, armonizzazione e potenziamento delle persone (empowering)". Raccontava che il Media Lab del MIT era stato rifiutato all'inizio, negli anni ottanta, da alcuni componenti dell'accademia, così come gli impressionisti a Parigi erano stati emarginati a metà ottocento, ma che già a metà degli anni novanta lo stesso Media Lab era diventato normalità: "The Internet surfers are the crazy kids on the block", i navigatori in rete erano diventati gli innovatori.

Non prevedeva soluzioni facili a problemi come l'inquinamento, la cura per il cancro o l'AIDS (ancora non del tutto risolti), ma vedeva la disponibilità dell'accesso all'informazione per i bambini di tutto il mondo, incluso in luoghi precedentemente preclusi all'istruzione di massa. "I bit di controllo di quel futuro digitale sono più che mai nelle mani dei giovani. Nulla potrebbe rendermi più felice".

Alla fine, dopo tanti ringraziamenti a collaboratori e sponsor, aggiungeva alcune considerazioni che rivelano ancor meglio la sua personalità: "Infine, devo ringraziare i miei straordinari genitori che mi hanno dato dosi infinite di due cose oltre l'amore e l'affetto: istruzione e viaggi. Ai miei tempi non c'era alternativa a muovere atomi. A 22 anni pensavo di aver visto il mondo. Anche se ciò non è proprio vero, il fatto di pensarlo mi dà sufficiente autostima da ignorare i critici. Per questo sono molto grato".

Un'intervista del 2009

Francesco Ognibene intervistò su Avvenire Nicholas Negroponte il 23 maggio 2009. Riporto alcune delle frasi più significative.

«Mi trovo in profonda sintonia con l'affermazione del Papa Benedetto XVI secondo la quale le tecnologie della comunicazione vanno rese accessibili anche a 'coloro che sono già economicamente e socialmente emarginati'. I nuovi mezzi di comunicazione sono la via d'uscita dalla povertà visto che sono anche i nuovi strumenti di apprendimento».

Bambini in Nepal con il Laptop ideato da Negroponte

Alla domanda “Il Papa invita i giovani cattolici a guardare i media 'sociali' come a un luogo di testimonianza cristiana. Cosa ne pensa un 'tecnico' come lei?” rispondeva: «Confesso che non è il mio terreno, ma posso dire che credo molto nei computer come strumenti di umanizzazione. E questo vale per tutti i credenti».

L'intervistatore gli chiedeva: “Being digital la rese celebre in tutto il mondo. Oggi come intitolerebbe un nuovo libro di ‘profezie tecnologiche'?”. Negroponte rispondeva: «Being bionic ('Essere bionici'). Il futuro è certamente all'intersezione tra il mondo digitale e quello biologico. Essere digitali non fu una vera profezia ma un dossier su quel che stavamo realizzando al Media Lab del Mit, e solo in parte fu una estrapolazione di quei lavori. Da tre anni sono in aspettativa dal Mit e non conosco bene le loro ricerche più recenti, ma quello che posso dire è che i bambini di tutto il mondo, persino nelle zone più povere e remote, verranno connessi più rapidamente di quel che pensiamo, per effetto di una 'missione' o del mercato. Per questo motivo, la Rete diventerà sempre più giovane e sempre più interculturale. Sono sicuro: ne beneficeremo tutti».

Michele Crudele
Direttore Collegio Universitario di Merito IPE Poggiolevante
9 maggio 2020