Mircea Eliade (1907-1986), nato a Bucarest ma studioso di adozione statunitense, ha insegnato principalmente a Chicago ed è stato senza dubbio una delle maggiori autorità nel campo della fenomenologia della religione. In questo trattato l’A. vuole mostrare cosa siano i “fatti religiosi” e che cosa essi rivelino in una prospettiva di studio antropologico e umanistico che metta a confronto il fenomeno religioso nelle varie culture. L’indagine è focalizzata ad un quid a cui tutte le discipline che studiano le religioni devono mirare, questo quid è il sacro, unico e irriducibile carattere del fenomeno religioso. Eliade richiama nella prefazione la domanda ironica di Henri Poincaré: “Un naturalista che avesse studiato l’elefante esclusivamente al microscopio, potrebbe credere di conoscerlo in modo sufficiente?” Un fenomeno come quello religioso si può scandagliare in tutte le sue microstrutture, ma la cornice di ricerca deve rimanere il sacro, in quanto opposto a profano e distinto da esso; e che, in quanto macrostruttura, contiene e rende visibile la totalità del fenomeno. Eliade pone dunque due questioni: Che cosa è la religione? E in che misura si può parlare di storia delle religioni? Lo studio delle “ierofanie” (ovvero le varie manifestazioni del sacro) non può partire secondo lui dalle forme più elementari per passare successivamente alle forme più complesse, come il totemismo, il feticismo, il culto della Natura e degli spiriti, e quindi gli dei e i demoni, terminando con la nozione monoteistica di Dio: una simile metodologia sarebbe per Eliade incerta e arbitraria. L’A. pensa invece sia necessario cominciare esponendo alcune ierofanie cosmiche: il Cielo, le Acque, la Terra, i sassi; ierofanie biologiche (i ritmi lunari, il sole, la vegetazione e l’agricoltura, la sessualità, ecc.); i miti e i simboli. Eliade vuole indagare la dialettica del sacro, e le strutture entro le quali il sacro si costituisce. Nella prefazione, l’A. presenta il Trattato di storia delle religioni, come studio che fa penetrare il lettore nella complessità labirintica dei fatti religiosi, gli rende famigliari le loro strutture fondamentali e la diversità dei cicli culturali da cui dipendono. Il Trattato è un’interpretazione fenomenologico-religiosa spesso suggestiva e stimolante, ed è anche un documento del travaglio della cultura moderna impegnata alla ricerca di un più ampio e sensibile umanesimo. Lo stesso Eliade ribadisce: «La soluzione religiosa non risolve solo la crisi dell’uomo, ma è nello stesso tempo esistenza a quei valori che non sono più contingenti, né particolari, permettendo così all’uomo di superare ogni situazione personale, e di raggiungere infine il mondo dello spirito».