Sì, anche nei laboratori c’è posto per Dio. Si parla di Dio nei luoghi e nei contesti dove l’essere umano studia la natura, fa ricerca e si pone domande. Le statistiche dicono che gli scienziati non sono più religiosi o meno religiosi della media degli uomini e delle donne dei Paesi industrializzati. Però, più di tutti gli altri, entrano in rapporto con l’ordine e le leggi della natura, conoscono meglio l’universo che ci circonda, esaminano più da vicino la sorprendente complessità della vita e del cervello umano. Tutto ciò li conduce, con certa frequenza, a porsi domande di carattere religioso.
Una scorsa ai libri di divulgazione scientifica degli ultimi anni mostra l’inaspettata presenza del termine “Dio” nel titolo di copertina. È solo un espediente commerciale?
Anche se fosse solo un espediente per vendere più libri, la domanda da porsi è perché i lettori interessati alla scienza acquistano più volentieri libri il cui titolo presenta la parola “Dio”. Ciò indicherebbe, in definitiva, un interesse per il tema di Dio ed è questo il fatto che va compreso. La spiegazione, assai probabilmente, è che tutti gli uomini sono interessati alle cosiddette big questions, le domande sull’origine, sul tutto, sul posto dell’uomo nel cosmo, sulla finalità, sul senso della vita umana. Tali domande sorgono, almeno a qualche livello, nella ricerca scientifica; e tali domande vengono a confrontarsi inevitabilmente con la nozione di Dio.
In realtà, al di là della maggiore diffusione dei libri che annunciano nei loro titoli domande o risposte religiose sorte nel contesto delle scienze, gli uomini e le donne che si occupano di ricerca scientifica indugiano volentieri su temi filosofici, esistenziali, teologici. Per molti di loro, la motivazione che li ha spinti a dedicarsi alla ricerca scientifica è stata il desiderio di trovare una risposta alle grandi domande che caratterizzano la nostra specie biologica e che nessun altro animale sul nostro pianeta si è mai posto.
Alla fine della loro carriera, molti grandi scienziati, da Planck ad Einstein, da Poincaré ad Heisenberg, da Eccles a Dobzhanski, ma anche Premi Nobel recenti come George Smoot, o scienziati con ruoli pubblici internazionali come Francis Collins, hanno sentito il bisogno di scrivere libri dove si parla del legame fra i loro studi e la ricerca di Dio, affermando che l’ordine e la complessità della natura e della vita pongono la domanda sul Fondamento di tutte le cose e possono condurre fino all’idea di Dio.
Di tanto in tanto si pubblicano statistiche sulla professione di fede degli scienziati. Perché il pubblico è interessato a come la pensino in questa materia?
Già vari anni or sono la Fondazione Agnelli di Torino finanziò un’importante ricerca condotta dai sociologi Ardigò e Garelli, pubblicata nel 1990 con il titolo Valori, Scienza, Trascendenza, per conoscere l’opinione dei ricercatori italiani in merito a questioni di ordine politico, etico e religioso. Negli ultimi decenni si sono susseguite molte ricerche di questo genere, specie nel mondo anglosassone, sfociate in libri pubblicati da prestigiose case editrici oppure presentate su riviste scientifiche internazionali. Si distinguono per serietà e profondità gli studi di Elaine Howard Ecklund e del suo gruppo, una sociologa della religione che opera presso la Rice University a Houston, Texas. Il risultato trovato è analogo in tutti i sondaggi: l’incidenza della fede religiosa in chi si occupa di ricerca scientifica non è poi tanto diversa dal resto della popolazione. Anche l’adesione a specifiche confessioni religiose, cristiane o di altre fedi, è paragonabile alla media incontrata nei Paesi sviluppati. In senso generale, la percentuale di studiosi di scienze naturali che crede in un Fondamento o in un’Intelligenza alla base del mondo è maggioritaria rispetto alla somma di coloro che si dichiarano agnostici, atei o indifferenti. Un’analisi più fine rivela che la percentuale è maggiore nei matematici, negli astronomi e nei fisici, inferiore nei biologi.
Affermare di credere in Dio può spingere un uomo di scienza e cercare una sintesi fra le visioni filosofiche e teologiche della propria fede e la visione scientifica del mondo che studia. Alcuni scienziati sono stati seriamente interessati a raggiungere tale sintesi. Si pensi a Maxwell, a Cauchy, e in temi a noi più vicini a Theodosius Dobzhansky, Enrico Medi, Ennio de Giorgi o Jerome Lejeune. Altri, ritengono invece che la propria fede vada vissuta soltanto nel privato e non abbia alcuna influenza sulla ragione, né sulla conoscenza scientifica del mondo. Il cristianesimo chiama tale atteggiamento fideismo e lo giudica erroneo.
Il pubblico è interessato a cosa gli scienziati dicono sul tema di Dio perché nel mondo di oggi gli uomini e le donne di scienza sono sempre più ascoltati. In un clima culturale come quello odierno, nel quale si pone in dubbio l’esistenza di una verità delle cose, nel quale sembrano non esserci più certezze, lo scienziato è in controtendenza. Anche la loro legittima diversità di opinioni è sottoposta a criteri scientifici, rigorosi, a esperimenti e analisi quantitative. Alla fine si desidera distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. Questo è il fascino che la scienza esercita e sempre eserciterà. Agli scienziati non si chiede soltanto la spiegazione delle scoperte recenti, ma anche la risposta sui futuri scenari del nostro pianeta, le tendenze della società, le scelte strategiche da operare. Nell’immaginario popolare, un camice bianco e una lavagna piena di formule sono lo sfondo più adeguato per conoscere risposte affidabili e autorevoli. E se gli scienziati parlano di religione? Allora la cosa si fa interessante e si è disposti ad ascoltarli, semplicemente perché il tema di Dio continua a essere, per la maggior parte degli abitanti del pianeta, quello più rilevante.
La questione importante, però, è accedere in maniera libera a ciò che gli scienziati davvero dicono, senza troppe mediazioni. Alcuni di loro hanno una maggiore visibilità mediatica e portano il pubblico a ritenere erroneamente che tutto il mondo scientifico la pensi come loro. È bene anche sfogliare la storia e saper leggere le opere dei grandi scienziati degli anni trascorsi, dei protagonisti della rivoluzione scientifica e degli autori delle grandi scoperte, non limitandosi a seguire cosa uno scienziato dice nel suo ultimo libro di grido.
La storia della scienza testimonia la presenza di molti sacerdoti o religiosi associati a importanti scoperte o istituzioni scientifiche: Mendel, Secchi, Florenskij, Gemelli, Lemaître. Si tratta di comparse sporadiche o c’è qualcosa di più?
È vero, per un lungo periodo di tempo la presenza di sacerdoti e di religiosi nel mondo della ricerca scientifica è stato determinante. Il monumentale Dictionary of Scientific Biographies (16 volumi), mostra che fino a tutto il XVIII secolo un terzo degli scienziati era rappresentato da ministri ordinati di Chiese cristiane. Il grande pubblico spesso lo ignora. Nicolò Copernico, è vero, era solo un canonico, oggi paragonabile a un ministro non ordinato, ma i sacerdoti certo non mancavano. Lo furono sacerdoti Nicolò Stenone, Lazzaro Spallanzani, Gregorio Mendel, Angelo Secchi, Antonio Stoppani, Giuseppe Mercalli, nomi che siamo abituati a trovare nei libri di scuola perché legati a qualche loro scoperta oppure a una legge alla quale hanno dato il nome. Quasi tutti gli osservatori astronomici italiani sono stati fondati fra fine Settecento e inizio Ottocento da religiosi o sacerdoti, sullo sviluppo di Specole costruite sui seminari o promosse da Enti ecclesiastici. Nel Novecento abbiamo ancora scienziati-sacerdoti di fama internazionale, come il paleontologo Pierre Teilhard de Chardin, il cosmologo Georges Lemaître, il fisiologo Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica, e Pavel Florenskij, sacerdote ortodosso, matematico e filosofo geniale, martire alle Isole Solovki sotto il regime di Stalin. La Santa Sede promosse storicamente la Specola Vaticana, dove lavorano attualmente oltre una dozzina di astronomi per lo più sacerdoti gesuiti, la cui sede osservativa è il Vatican Observatory operativo a Tucson-Arizona. Il fisico John Polkinghorne e il biochimico Arthur Peacocke, entrambi sacerdoti anglicani, hanno fondato nel 1986 la Society of Ordained Scientists.
Tuttavia, per esaminare la religiosità degli scienziati non è ai sacerdoti-scienziati che bisogna guardare, ma a coloro che operano nella ricerca scientifica come credenti. Come già accennato, essi sono una discreta maggioranza, sebbene il loro spazio mediatico sia inferiore rispetto a quello di colleghi con visioni esistenziali diverse. Va ricordato che l’insegnamento delle scienze naturali come quello della matematica e della logica, è stato assai presente nella formazione dei seminari cattolici fino alla fine dell’Ottocento. Numerosi musei della scienza ospitano il materiale impiegato nei seminari cattolici. Oggi la formazione istituzionale dei sacerdoti non prevede corsi di discipline scientifiche. Nelle Facoltà di teologia esiste però un crescente interesse verso temi interdisciplinari come la storia e la filosofia della scienza, le dimensioni etiche della ricerca scientifica, la bioetica in particolare, le questioni suscitate dalla cosmologia e dalla biologia, il rapporto fra creazione ed evoluzione, e le questioni storiche ed epistemologiche relative al rapporto fra scienza e fede.
Quali sono gli ambiti della ricerca scientifica ove sorge più spesso un riferimento a Dio o a tematiche religiose?
Un primo ambito, forse quello più comune, è la domanda sull’origine dell’universo. La cosmologia contemporanea la incontra in modo rigoroso a partire dagli anni ’30 del secolo scorso, quando ha cominciato a formulare modelli di universo in espansione, suggeriti dall’allontanamento delle galassie proporzionale alla loro distanza dalla Terra (legge di Hubble-Lemaître, 1929) e poi confermati sperimentalmente dalla scoperta del fondo radiazione cosmica (osservazioni di Penzias e Wilson, 1964). Sebbene la fisica e la matematica, come il metodo scientifico in generale, devono partire da qualcosa di dato e possono pertanto trattare dell’inizio del tempo solo in modo quantitativo, non filosofico o metafisico, il fatto di poter “puntare” verso l’origine, con formule e misure, ha condotto a un dibattito interdisciplinare ove emerge la domanda su Dio e sul ruolo di un Creatore.
Un secondo ambito importante è quello dell’intelligibilità della natura. L’esistenza di leggi, di simmetrie, di regole, e più in generale il fatto che la natura sia comprensibile e razionale, fa pensare a una Intelligenza, a un Logos che sia la causa di tutto. Lo fa pensare anche la complessità della vita, in particolare il linguaggio del DNA. Sono temi che la scienza incontra e che suscitano, anch’essi, la domanda su Dio.
Il riferimento a Dio nasce anche quando si dibatte sul finalismo presente in natura. Le suggestioni sono numerose: la direzione che l’evoluzione biologica sembra aver imboccato verso una crescente complessità e organizzazione non fermandosi alla semplice sopravvivenza; il delicato equilibrio delle costanti numeriche che regolano le 4 leggi fondamentali di natura, equilibrio che rende possibile la stabilità del cosmo e la formazione di scenari fisici e chimici adatti a ospitare la vita; la freccia del tempo individuata dal II° principio della termodinamica… Tutti questi argomenti puntano verso una domanda: c’è un fine nella storia del cosmo? È facile, discutendo della possibile esistenza di un tale fine, introdurre la nozione di Dio come eventuale spiegazione filosofica di ciò che le scienze non dicono, ma segnalano.
Infine, anche la complessità della vita, in particolare la complessità del cervello umano e l’impossibilità di ridurre la mente ai soli processi bio-chimici cerebrali, fa spesso pensare all’idea che la causa della vita e dell’intelligenza umana risieda in qualcosa che trascende la materia, suggerendo l’insufficienza di una visione totalmente materialista della realtà.
Questi ambiti non equivalgono ad alcuna “dimostrazione” dell’esistenza di Dio in ambito scientifico – tale dimostrazione appartiene alla filosofia, non alla scienza – ma indicano il motivo per cui, in alcuni contesti scientifici piuttosto che altri, nasce la domanda su Dio. Dunque, è un argomento di cui anche oggi si può parlare nei laboratori...
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Titolo attribuito al libro di divulgazione scientifica di Leon Lederman, The God Particle (1993), nel quale si descrivevano le proprietà del Bosone di Higgs, particella che con la sua scoperta, avvenuta al CERN di Ginevra nel 2012, completava e chiudeva la struttura simmetrica del “Modello standard”. La supersimmetria di questo modello per la fisica delle particelle comprende le particelle elementari e le particelle di scambio fra le 4 forze fondamentali di interazione. In particolare, le interazioni con il bosone di Higgs regolano i valori della massa posseduta dalle altre particelle. Per aver teorizzato questa particella, Peter Higgs vinse nel 2013 il Premio Nobel per la fisica insieme a François Englert.
Atteggiamento di astensione rispetto a ciò che, come dice la parola, non si conosce (a-gnosi). La parola ha assunto un carattere più specifico, riferendosi a quel particolare tipo di conoscenza metafisica e religiosa che riguarda le cose ultime, superiori, trascendenti. L’agnostico è colui che non si pronuncia, che non sa/non vuole argomentare su tali temi, perché esulano dal suo metodo di indagine e ritiene che esulino persino dai limiti della conoscenza umana in quanto tale. Agnosticismo non è sinonimo di scetticismo, né di ateismo.
Concezione religiosa tipica del razionalismo illuministico in quanto razionalismo metafisico, professa una dottrina piuttosto vaga sulla divinità (deitas), che si poggia essenzialmente sulle capacità intellettive dell’uomo e rifugge da ogni presupposto di rivelazione soprannaturale che attesterebbe, invece, la libera iniziativa del Dio trascendente. In quanto tale, il deismo intende distanziarsi dalle espressioni di una religione storico-positiva, connotata da fondatori identificati, da istituzioni gerarchiche, da insegnamenti dogmatici e norme di vita morale. In epoca contemporanea, il deismo è una concezione filosofica condivisa da autori che pongono in un Intelligenza impersonale o in un Essere Trascendente l’origine e il progetto del cosmo, senza volerlo collegare con la nozione di Dio propria delle religioni storiche.
Movimento sorto come reazione al razionalismo nell'orizzonte della storia della teologia del XIX secolo, il cui orientamento fondamentale era di limitare in modo drastico le capacità della ragione di conoscere verità di ordine morale e religioso, restringendo il loro accesso alla sola fede nella rivelazione. Da un punto di vista più generale, il fideismo è la tendenza a rimandare alla fede o alla rivelazione ciò che dovrebbe appartenere alla ragione (ed essere per questo oggetto della filosofia). La Chiesa cattolica ha in più occasioni recensito il fideismo come dottrina erronea.
Orientamento teorico secondo cui un sistema complesso non è nient’altro che la somma delle sue parti, per cui si può dar ragione del sistema “riducendone” la considerazione a quella dei singoli costituenti. L’antiriduzionismo, al contrario, afferma che il tutto è maggiore della somma delle parti, per cui vi sono proprietà “olistiche” che non possono essere descritte nei termini dei puri elementi costituenti. In particolare, nell’analisi filosofica delle scienze, con il termine “riduzionismo” si intende la pretesa di ridurre tutti gli aspetti e i livelli della realtà alla sola dimensione fisica e misurabile.