Gherardo delle Notti, Adorazione del bambino (1619-1620)

     

Gerrit van Honthorst detto Gherardo delle Notti (Utrecht 1590-1656)

Adorazione del Bambino (Natività)
1619-1620
Olio su tela, 95,5x131 cm
Firenze, Le Gallerie degli Uffizi

L’olandese Gerrit van Honthorst soggiornò agli inizi del Seicento in Italia dove era conosciuto come Gherardo delle Notti per le caratteristiche ambientazioni “a lume di candela”, derivate dall’influenza della pittura di Caravaggio. In questa tela, a differenza del resto della sua produzione, la luce non proviene da fonti artificiali, ma sprigiona direttamente dal Bambino, riverberandosi sui volti degli angeli e di Maria. Rimane nella penombra, dietro la Vergine, la figura di san Giuseppe poggiato al suo bastone che contempla il Bambino con un’espressione mista di tenerezza e di gioia. L’accordo sentimentale che lega i personaggi si incarna nelle espressioni aggraziate e sorridenti, che comunicano una “corrispondenza di amorosi sensi” restituita in uno stile che tempera le reminiscenze caravaggesche (i volti sembrano ritratti dal vivo) con un linguaggio più soave e armonico.

La tela venne probabilmente acquistata nel 1620 dal Granduca Cosimo II de’ Medici insieme ad altre opere del pittore, pertanto è conservata oggi agli Uffizi di Firenze.

In linea con il nome con cui il pittore olandese Gerrit van Honthorst è conosciuto in lingua italiana, Gherardo delle notti, il dipinto Adorazione del bambino, che qui proponiamo, ci presenta una natività apparentemente circondata dall’oscurità della notte. A prima vista, l’opera appare simile a molte altre, essendo la natività di uno dei soggetti della storia religiosa cristiana maggiormente rappresentati.
In realtà, se osserviamo con attenzione la tela, due elementi colpiscono subito lo spettatore. Il primo è la fonte della luce presente nel dipinto, che irradia decisamente dal bambino collocato nella mangiatoia; il secondo è la diffusa, quasi contagiosa gioia che traluce dal volto di Maria, dal volto dei due angeli e, meno evidente perché in ombra ma non meno reale, anche dal volto di Giuseppe. Non andiamo lontano dalle intenzioni dell’autore se qualifichiamo questo dipinto come “il ritratto della felicità”.
Dal bambino, Gesù nato da Maria di Nazaret, la luce si irradia quasi gradualmente sui profili dei diversi personaggi: Maria, appena divenuta madre, contempla con espressione di gioioso raccoglimento la nuova vita da lei generata; i due angeli, ritratti con lineamenti ed espressioni profondamente umani, infantili quasi, sorridono sorpresi in uno stato di letizia; più indietro, visibile alle spalle di Maria, l’espressione sorridente di Giuseppe si nota nello sguardo attento e compiaciuto e in un leggero moto delle gote, essendo il resto del volto coperto dalla folta barba.
Perché questa felicità diffusa? La domanda non è retorica, perché la risposta che cerchiamo non è solo, ovviamente, nella nascita del Messia, che i cristiani credono e adorano come Figlio di Dio. La gioia che Gerardo delle notti “fotografa” è quella di trovarsi davanti a un bimbo appena nato. È l’esperienza di una incomparabile novità, quella di una nuova vita che viene al mondo. È dal “mistero della vita” che la luce del dipinto si irradia, ed è la “felicità che ogni nuova vita causa” che si illumina sul volto dei personaggi.
La nascita di un figlio si presenta come un fatto gratuito, nel quale i genitori avvertono di trasmettere qualcosa, la vita appunto, che essi non creano. I vangeli parlano di un concepimento verginale di Maria, senza il contributo paterno di Giuseppe. Chi condivide la fede cristiana può qui immaginare un “secondo livello” di sorpresa e di felicità, che il dipinto in qualche modo raccoglie: Dio entra nella storia, questo bambino è il Verbo fatto carne; i panni che Maria scosta dolcemente per la contemplazione degli astanti sono i panni di Dio.
La natura divina di Gesù di Nazaret, di cui i vangeli parlano, genera una sorta di “terzo livello” nello stupore e nella gioia dei personaggi, riscontrabile in modo particolare negli angeli, chiamati adesso ad adorare Dio sulla terra e non solo nel Cielo. Felicità per quello che questo bambino significa, per chi questo bambino è. Più che la disponibilità di mezzi o di ricchezze, più che uno spettacolo della natura, più che qualità della propria stessa vita, un essere personale può essere reso felice solo da un altro essere personale. È l’essere personale, la nuova persona venuta al mondo, il centro che giustifica il suggestivo gioco delle luci e il sereno sorriso sui volti.
«Tutte le famiglie felici si somigliano», scrive lo scrittore russo Lev Tolstoj all’inizio del suo capolavoro, Anna Karenina. In effetti, la felicità che proviene dalla nascita di un bambino è la stessa in ogni contesto e in ogni situazione, dalla più agiata alla più semplice. Perfino nel buio di una grotta, nella grande povertà della paglia posta nella mangiatoia, la luce di una nascita può illuminare la notte. Quanto l’autore ritrae ha però il carattere dell’eccezionalità: Colui che è nato è proprio quel Gesù di Nazaret che dirà di sé: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
Sollevando con delicatezza i lembi del panno che avvolge Gesù, Maria rivela al mondo la nascita di suo Figlio, partecipa la sua gioia alle donne e agli uomini di ogni tempo, tutta la storia viene illuminata dalla luce della salvezza. La notizia non viene custodita gelosamente dai personaggi del dipinto, non è infatti qualcosa che debba restare nascosto, come velato, ma diventa subito di dominio pubblico e contagia di felicità tutti coloro che si trovano attorno. La gioia della Natività di Gesù non è confinata in uno spazio e in un tempo delimitati, ma si irradia lungo il flusso di una storia che è giunta fino a noi. La felicità per questa nascita divina è la felicità per il compimento di una promessa, a lungo attesa, che la storia aveva affidato a Israele; non è frutto di un ragionamento astratto o di esperienze inaccessibili. Qui la gioia per la nascita del Messia si intreccia con la semplicità, anzi con la povertà della vita ordinaria, quasi a dimostrare che la felicità va cercata negli eventi che costituiscono la trama dei nostri giorni, nelle persone che abbiamo accanto. Sta a noi lasciarci illuminare, come i personaggi del dipinto di Gherardo delle notti, dalla «luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).