André Frossard

Per quanto abbia dell’incredibile, la storia che desidero raccontarti non è un romanzo ma una vicenda realmente accaduta ad un uomo del nostro tempo, un giornalista noto, pensatore e intellettuale francese del XX secolo, André Frossard (1915-1995). Un uomo che, senza mezzi termini, ha affermato: «Dio esiste. Io l’ho incontrato». Un incontro reale e non un sogno, a giudicare dal fatto che egli volle tradurre questa esperienza in un libro, scritto nel 1969, che reca appunto il medesimo titolo: Dieu existe, je l'ai rencontré.

Questo incontro ha una data: l’8 luglio del 1935. Così come ha un luogo: Parigi, per la precisione la centrale rue d’Ulm, a due passi dal Panthéon. Ad aumentare la sorpresa per questo “inaspettato” incontro, c’è la circostanza fortuita che lo ha causato: un banale equivoco, un “errore” carico di conseguenze, che determinerà una nuova direzione nella sua esistenza. Scriverà André Frossard: «L’ho incontrato per combinazione – dovrei proprio dire: per caso, se il caso avesse qualcosa a che fare in questa sorta d’avventura – con lo sbalordimento di chi, girato il solito angolo della solita strada di Parigi, si vedesse davanti agli occhi, invece della piazza o dell’incrocio di tutti i giorni, un mare inaspettato che si estende all’infinito, lambendo con le onde i muri delle case. Un momento di stupore che dura ancora. Non mi sono mai abituato all’esistenza di Dio» [1]. Ma andiamo con ordine.

André Frossard nasce in una famiglia molto lontana dalla religione, in cui la questione dell’esistenza di Dio non viene neanche avvertita come una domanda o un problema, ma solamente come una credenza di epoche passate. Nel contesto culturale in cui cresce, la presenza della comunità ebraica (da cui proveniva la nonna paterna) incarna tutt’al più una realtà sociale che si distingue per usi, costumi e tradizioni dalla comunità cristiana, egualmente distante e che – ricorda Frossard – segue semplicemente un diverso calendario e ha feste proprie, diverseda quelle degli ebrei. Ma la nota dominante dell’educazione ricevuta da André è politica: il nonno paterno, repubblicano-radicale, è un artigiano di idee socialiste e il padre, Ludovic-Oscar Frossard, sarà uno dei fondatori e poi il segretario generale del Partito comunista francese, diventando deputato e ricoprendo più volte l’incarico di ministro.

André cresce dunque in una famiglia apertamente atea, all’insegna di quello spirito tollerante e illuminista – ma anche radicalmente scettico – tipico dell’ideale repubblicano francese. Sfruttando le conoscenze del padre, e dimostrando buone qualità come disegnatore e scrittore, il giovane inizia a lavorare come giornalista per diverse testate. È proprio in questo contesto che André fa amicizia con un giovane collega, André Willemin, che avrà un ruolo determinante nella nostra storia. Willemin ha riscoperto la fede cristiana, in cui era cresciuto, dopo essersene allontanato durante l’adolescenza. Il suo modo di vivere il cristianesimo, allegro e appassionato, porta André a confrontarsi spesso con l’amico: i due si intrattengono in lunghissime conversazioni che non portano da nessuna parte, non convertono nessuno dei due alla posizione dell’altro, ma si svolgono in modo piacevole, con un confronto vivace e leale.

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Rue d'Ulm, Paris

Le loro serate insieme trascorrono serene e un giorno Willemin presta a Frossard un libro di un autore religioso, Nikolaj Berdjaev, intitolato Nuovo Medioevo, con la speranza che l’amico, apprezzandone il contenuto, si avvicini alle sue posizioni. Frossard legge il libro dello scrittore russo, ma non rimane minimamente impressionato: la sensibilità religiosa rimane qualcosa di distante; l’idea stessa di un intervento divino nella storia gli pare quasi una mossa sleale che, ricorrendo a un “trucco”, non spiega niente e non rende maggiormente comprensibili gli eventi. «Ecco perché risposi a Willemin, quando mi chiese cosa ne pensassi, che quel libro “non si poteva discutere”» [2], intendendo con ciò che il contenuto era per lui tutt’altro che condivisibile. Per una circostanza imprevista, l’amico non coglie il senso di queste parole e si genera un equivoco: Willemin crede che il libro sia stato accolto da Frossard come “indiscutibilmente” vero. Willemin pensa dunque che la verità del cristianesimo abbia fatto breccia in Frossard e decide di festeggiare la “conversione” invitando l’amico a cena. Frossard capisce l’equivoco ma, un po’ per scherzo, fa finta di niente e accetta l’invito…

I due amici prendono allora la macchina e iniziano a girare per il Quartiere latino fino a che Willemin parcheggia in rue d’Ulm e chiede a Frossard di aspettarlo. Quindi entra in un portone, accanto all’ingresso di quella che da fuori sembra una cappella, e scompare. Frossard attende qualche minuto quando, spazientito, decide di andare a recuperare l’amico. Ma sbaglia portone. «Sono le diciassette e dieci – rievoca Frossard – tra due minuti, sarò cristiano» [3].

Frossard si ritrova inaspettatamente all’interno di una chiesa, la cappella delle suore dell’«Adorazione riparatrice» che sono proprio in quel momento raccolte in adorazione davanti all’Eucarestia. Il giovane giornalista non riconosce l’ostensorio, che gli appare semplicemente come una croce d’oro con al centro un disco bianco. Ma improvvisamente accade qualcosa.

Entrato alle cinque e dieci d’un pomeriggio in una cappella del Quartiere latino per cercarvi un amico, ne sono uscito alle cinque e un quarto in compagnia di un’amicizia che non era di questa terra. Entratovi scettico ed ateo di estrema sinistra, anzi – più ancora che scettico e più ancora che ateo – indifferente e preoccupato da ben altre cose che da un Dio che non pensavo neppur più a negare, tanto mi pareva ormai passato da un’infinità di tempo nel conto profitti e perdite dell’inquietudine e dell’ignoranza umane, ne sono uscito qualche minuto dopo “cattolico, apostolico, romano”, trascinato, sollevato, ripreso, risucchiato dall’onda d’una gioia inestinguibile. Al momento dell’entrata, avevo vent’anni. All’uscita, ero un bambino pronto per il battesimo, che sgranava gli occhi sulla meraviglia del cielo abitato, sulla città inconsapevolmente sospesa nell’immenso, sugli esseri colmi di sole che parevano camminare nell’oscurità, senza vedere l’immensa lacerazione che si era prodotta nella tela del mondo. I sentimenti, i paesaggi interiori, le elucubrazioni intellettuali nelle quali mi ero ormai comodamente adagiato, non esistevano più; le stesse abitudini erano scomparse, e mutati i gusti [4].

Che incontro ha fatto André? Cosa è accaduto in quei minuti? Dal suo punto di vista non c’è alcun dubbio, la verità dell’esistenza di Dio ora gli appare chiarissima e porta nella sua vita una gioia che fa fatica a raccontare: le parole sembrano non riuscire a spiegare il mistero che gli è venuto incontro. La vista di queste religiose assorte in un dialogo con l’Invisibile, convinte di aver di fronte Qualcuno da cui tutto dipende, una Persona che si può amare, lodare, adorare, ha lasciato nella vita di André un segno indelebile. Ciò che egli immaginava essere un’idea, un’illusione, o solo un’ingenuità infantile, è divenuto a un tratto un persona reale, vera, per la quale si può vivere. Nel silenzio, André racconta di aver inteso le parole “vita spirituale”, come suggerite, sussurrate al suo orecchio. Comprende che esiste quella dimensione che egli aveva sempre negato, la vita dello spirito. Quell’incontro nel portone sbagliato e quelle parole lo hanno cambiato. Il senso di questa esperienza sarà approfondito negli anni a seguire, durante i quali André intraprende un cammino che lo porterà a ricevere il battesimo, entrando a far parte della Chiesa cattolica. Egli conserverà l’incrollabile certezza di aver incontrato Dio e la ferma convinzione di essere amato da Lui. Nonostante i chiaroscuri della vita, che pure accompagneranno gli anni successivi, nulla intaccherà in Frossard la fede generata da quell’incontro.

 

[1] André Frossard, Dio esiste. Io l’ho incontrato, Sei, Torino 1969, p. 12.
[2] Ivi, p. 133.
[3] Ivi, p. 138.
[4] Ivi, pp. 12-13.