Apriamo la Sacra Scrittura: Amore

Libro di Geremia (31,31-37)

 

Di fronte alle infedeltà e all’idolatria di Israele, Dio resta fedele al suo amore e promette, molteplici volte, con i profeti, un’epoca di perdono e di restaurazione. Amore, fedeltà e alleanza sono, nell’Antico Testamento, quasi sinonimi. Era originale, per Israele, sapersi destinatario di un amore condiscendente di Dio che giungeva fino a porsi al livello dell’uomo, stipulando con lui un’alleanza. Più volte rinnovata e riconfermata come impegno e giuramento di Dio che promette e mantiene le sue promesse, in questa pagine del profeta Geremia l’amore di alleanza assume un respiro “cosmico”. Le leggi naturali, la loro regolarità e stabilità, i fondamenti stessi della terra e dell’universo vengono presentati come riflesso di questo amore fedele e incrollabile. Se per assurdo la stabilità del cosmo crollasse, solo allora anche l’amore di Dio cesserebbe; la natura e le sue leggi sono parte dell’alleanza e dimostrazione anch’esse dell’amore di Dio per gli uomini. Il profeta Isaia giungerà a dire che «anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia» (Is 54,10). Creazione ed alleanza salvifica sono parte dello stesso progetto divino, entrambe espressione di amore.

 

Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -, nei quali con la casa d'Israele e con la casa di Giuda concluderò un'alleanza nuova. Non sarà come l'alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d'Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l'un l'altro, dicendo: "Conoscete il Signore", perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande - oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato".

 

Così dice il Signore,

che ha posto il sole come luce del giorno,

la luna e le stelle come luce della notte,

che agita il mare così che ne fremano i flutti

e il cui nome è Signore degli eserciti:

"Quando verranno meno queste leggi

dinanzi a me - oracolo del Signore -,

allora anche la discendenza d'Israele

cesserà di essere un popolo davanti a me per sempre".

Così dice il Signore:

"Se qualcuno riuscirà a misurare in alto i cieli

e ad esplorare in basso le fondamenta della terra,

allora anch'io respingerò tutta la discendenza d'Israele

per tutto ciò che ha commesso. Oracolo del Signore.

 


 

Libro di Osea (2,16-25)

   

Profeta dell’Antico Testamento che esercita il suo ministero nel regno del Nord, prima della caduta di Israele nelle mani degli Assiri, Osea è fra coloro che impiegano toni più teneri e profondi nel parlare dell’amore di Dio verso il suo popolo. Come per altri profeti, la fedeltà all’unico e vero Dio è fonte di consolazione; il culto di falsi dèi è invece paragonato all’idolatria. Forte, come in altri autori, il tema del perdono di Dio, sempre disposto a dimenticare le trasgressioni del passato e accogliere nuovamente il suo popolo per inaugurare con lui una nuova storia d’amore. Qui, il profeta, rappresenta tutto ciò attraverso la propria vita. Sua moglie sembra averlo abbandonato, prostituendosi e non corrispondendo più al suo amore. Il legame sembra irrimediabilmente rotto, ma i versi biblici mostrano il profeta capace di accogliere nuovamente la donna, quasi trasformata dall’amore fedele del marito e disposta adesso ad intraprendere una nuova vita. La vita del profeta è metafora intenzionale del rapporto amoroso di Dio verso il suo popolo, amore fedele, eterno, indistruttibile. La sposa tornerà, sarà nuovamente amata. Ciò che era diventato un non-popolo tornerà ad essere popolo. Il dialogo tra Dio e l’uomo, interrotto, riprenderà vigore e si avvierà verso una reciproca, più profonda conoscenza.

 

Perciò, ecco, io la sedurrò,

la condurrò nel deserto

e parlerò al suo cuore.

 Le renderò le sue vigne

e trasformerò la valle di Acor

in porta di speranza.

Là mi risponderà

come nei giorni della sua giovinezza,

come quando uscì dal paese d'Egitto.

 E avverrà, in quel giorno

- oracolo del Signore -

mi chiamerai: "Marito mio",

e non mi chiamerai più: "Baal, mio padrone".

Le toglierò dalla bocca

i nomi dei Baal

e non saranno più chiamati per nome.

In quel tempo farò per loro un'alleanza

con gli animali selvatici

e gli uccelli del cielo

e i rettili del suolo;

arco e spada e guerra

eliminerò dal paese,

e li farò riposare tranquilli.

Ti farò mia sposa per sempre,

ti farò mia sposa

nella giustizia e nel diritto,

nell'amore e nella benevolenza,

ti farò mia sposa nella fedeltà

e tu conoscerai il Signore.

E avverrà, in quel giorno

- oracolo del Signore -

io risponderò al cielo

ed esso risponderà alla terra;

 la terra risponderà al grano,

al vino nuovo e all'olio

e questi risponderanno a Izreèl.

Io li seminerò di nuovo per me nel paese

e amerò Non-amata,

e a Non-popolo-mio dirò: "Popolo mio",

ed egli mi dirà: "Dio mio"".

 


 

Prima lettera ai Corinzi (13,1-10)

 

L’agape, amore di carità, è il modo specifico con cui il Nuovo Testamento, le lettere di san Paolo e gli scritti di san Giovanni in particolare, parlano dell’amore. Assai poco frequente nel greco classico, che impiega piuttosto il termine eros, l’amore di agape indica condivisione e altruismo, orientamento ad uscire da sé per cercare il bene dell’altro. Vi fanno da corredo, come in questo noto brano paolino, una serie di virtù che accompagnano l’amore-carità e la esprimono: umiltà, generosità, pazienza, speranza, gratuità, mitezza, fiducia, perdono. Conosciuta universalmente con il nome di “Inno alla carità”, Paolo di Tarso scrive questa pagina nella sua prima lettera rivolta alla comunità di Corinto. L’Apostolo vuole con essa correggere le faziosità e le invidie che si stavano infiltrando fra i credenti, ma anche la ricerca di doni soprannaturali speciali, carismatici, ai quali molti aspiravano per mettersi in evidenza nei confronti di altri. Paolo richiama tutti all’altruismo, al servizio e all’umiltà, introducendo l’Inno alla carità con una precisa esortazione: «Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora vi mostro la via più sublime» (1Cor 12,31). Assai cara a tutti i cristiani ed esempio vivo di virtù sociale anche per i non credenti, la pagina paolina consegna un importante qualifica “teologica” dell’amore di carità: esso è destinato a restare sempre, anche oltre la morte, e non svanirà mai. Ragione di ciò è il fatto che l’Amore ha la sua fonte in Dio e che, come Giovanni espliciterà con coraggio nei suoi scritti, Dio stesso è amore. In altre lettere paoline, l’amore viene legato in modo particolare all’opera della Persona divina dello Spirito Santo nel cuore dei credenti. Persona che la teologia cristiana chiama Amore increato, lo Spirito Santo esprime nella vita divina trinitaria l’Amore eterno e sussistente fra il Padre e il Figlio.

 

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.

E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.

 E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.

 La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

 La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.

 


   

Lettera ai Romani (12,9-21)

 

Le caratteristiche dell’amore di carità, agape, vengono descritte in una pagina della Lettera ai Romani con toni analoghi a quelli impiegati da san Paolo nell’Inno alla carità della Prima Lettera ai Corinzi. Il brano presente, scritto dall’Apostolo pochi anni dopo, è ricco di esempi e sviluppa un po’ di più quanto, nell’Inno alla carità, compariva in modo essenziale, quasi schematico. La pagina offre un vivace quadro della vita dei primi cristiani. Essi sono esortati a vivere la carità non solo nei riguardi della comunità dei credenti a Roma, nella quale, come avveniva a Corinto, erano possibili rancori e divisioni. La raccomandazione a vivere di amore, di perdono e di misericordia va messa in pratica nei confronti di tutti, credenti e non credenti. L’amore ha una portata universale, che coinvolge ogni essere umano. Il bene va praticato di fronte a tutti e nei confronti di tutti, senza preferenze di sorta né criteri di appartenenza. L’amore deve essere rivolto anche ai nemici: non bisogna farsi giustizia da sé, rendendo male per male, ma lasciare che sia soltanto Dio a giudicare l’operato degli uomini. In queste righe troviamo un concetto destinato ad affermarsi in tutta la tradizione morale cristiana: vincere il male con il bene. L’amore, in sostanza, è sempre vittorioso, e mostrerà i frutti a suo tempo.

La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell'ospitalità.

Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi.

Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti.  Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina. Sta scritto infatti: Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.


   

Vangelo di Giovanni (15,9-17)

 

Nei “discorsi di addio” di Gesù, che il vangelo di Giovanni raccoglie collocandoli idealmente nel periodo di tempo fra l’ultima cena con gli apostoli e l’arresto nell’orto degli ulivi, compare più volte l’esortazione all’amore fraterno. «Vi do un comandamento nuovo – aveva affermato Gesù pochi versetti prima – che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli» (Gv 13,34-35). Negli scritti di Giovanni, il verbo di sentimento che maggiormente è attribuito a Gesù è amare, nelle due diverse sfumature, agapeo e phileo. Gesù, sostanzialmente, ama. Ed è per questo, per l’esperienza storica di questo amore, che Giovanni potrà dire nella sua Prima Lettera che Dio è Amore. Nel vangelo di Giovanni, come nel presente brano, è chiara l’importanza dell’amore di Gesù verso i discepoli come fonte esemplare dell’amore che i discepoli devono vivere gli uni gli altri. L’amore di amicizia rivela un rapporto ben più stretto e sincero del rapporto servile. L’amore di Gesù nei confronti dei discepoli è amore di amicizia ed è pertanto sinonimo di condivisione di conoscenza: chi ama rende noti i segreti del cuore e ne rende partecipe l’amato. Il cristiano è invitato alla comunione trinitaria, per prendere misteriosamente parte alla conoscenza di Dio e all’amore di Dio, realtà che la teologia cristiana ha espresso nella sua visione della grazia, come partecipazione, già nella storia e nel tempo, alla vita divina in quanto divina. L’amore, ancora, si manifesta nel vivere sinceramente i comandamenti ricevuti. Non è sentimento teorico, ma scelta di vita, prassi che implica un agire concreto che qualifica la condizione di discepolo di Gesù di Nazaret.

 

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

 


 

Prima lettera di Giovanni (4,7-21)

   

La Prima lettera di san Giovanni presenta al capitolo 4 una delle più belle pagine della Bibbia sull’amore, consegnando la straordinaria rivelazione che Dio è amore. Conoscere Dio non sarebbe possibile per chi non sapesse cosa voglia dire amare. Conoscere l’amore è conoscere Dio. L’amore invisibile di Dio si rende visibile ed accessibile nell’amore ai fratelli. Anzi, la sincerità del secondo è garanzia della verità del primo. L’amore è per Giovanni una condizione di vita: nell’amore “si resta”, come un tralcio nella vite, come un membro in un corpo vivo. In quanto amore di amicizia e non relazione servile, nell’amore non c’è timore, ma fiducia. Si ama non per evitare il castigo, ma per benevolenza, perché proprio della condizione filiale. Chiara, nell’argomentazione di Giovanni, la priorità e la fontalità dell’amore in Dio, dal quale discende ogni amore e ogni capacità di amare. Un amore che si è reso visibile nel Figlio di Dio fatto uomo, morto per i nostri peccati e risorto dai morti. Insieme all’associazione Verbo incarnato - Logos, anche l’associazione Dio - Amore è operazione nuova e originale se confrontata con la cultura del tempo, in particolare con il pensiero greco-romano al quale il Vangelo veniva predicato. La benevolenza, la carità e la misericordia si ritenevano non componibili con la giustizia divina, le cui esigenze rappresentavano, nel mondo pagano, il carattere proprio di Dio. Commentata da molteplici autori, fra i quali Agostino di Ippona, la “Lettera sull’amore” di san Giovanni rappresenta una delle più originali consegne del cristianesimo non solo alla storia, ma anche alla religione, come luogo della formulazione dei rapporti fra Dio e l’uomo.

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.  Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. E noi abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.

In questo l'amore ha raggiunto tra noi la sua perfezione: che abbiamo fiducia nel giorno del giudizio, perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore.

Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: "Io amo Dio" e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello.

   

Vai al sito di tutti i libri della Bibbia, con i testi a cura della Conferenza Episcopale Italiana