Apriamo la Sacra Scrittura: Desiderio

 

Genesi (3, 1-7)

 

Il brano con cui inizia il capitolo 3 del libro della Genesi rappresenta una delle pagine più note della Bibbia ed ha esercitato una grande influenza culturale su tutto il mondo occidentale. La Rivelazione ebraico-cristiana lo propone come una delle verità fondamentali circa la condizione della natura umana. Come accade in altre pagine del libro della Genesi, la narrazione impiega forme linguistiche e immagini che la cultura ebraica condivideva con altre culture dell’Oriente medio, rieleggendole ed esponendole all’interno della propria fede nell’unico e vero Dio. Attraverso un dialogo fra un personaggio malvagio (il serpente) e la madre di tutti i viventi (la donna) si illustra la tentazione in fondo presente nell’uomo di tutti i tempi: desiderare qualcosa che gli è precluso per accedere a privilegi che non possiede. La letteratura greca, in epoche successive, ripropone un’idea molto simile attraverso alcuni miti, fra cui quello di Prometeo. Se la forma con cui la narrazione di snoda vede uno dei suoi centri proprio nella forza del desiderio – «vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza» – l’insegnamento morale del brano e del più ampio contesto in cui è inserito non riguarda la condanna del desiderio in sé, ma la messa in sospetto, da parte dei progenitori, della bontà originaria di Dio che ha creato l’essere umano. Le parole del serpente ingannano la donna, presentandole un’immagine falsata di Dio ed associando effetti non veritieri all’atto di cibarsi del frutto proibito. La trasgressione non accrescerà la saggezza dei progenitori, ma farà loro perdere l’innocenza, segnando la natura umana. Ne risulteranno alterate le relazioni con Dio, quelle fra gli esseri umani e il rapporto fra l’uomo e la creazione. Lungo i secoli, la teologia cristiana ha letto e interpretato in diversi modi e con diverse sfumature la narrazione di questa trasgressione, chiamata “peccato originale”, sottolineando però un immutato contenuto di fondo: l’essere umano ha volontariamente incrinato la sua relazione originaria con Dio, non rispettando la sua condizione di creatura di fronte al Creatore, e ciò ha causato, e causa, conseguenze sui suoi comportamenti personali e sociali. La trasgressione del peccato originale e le conseguenze che esso reca, vengono sanate dall’obbedienza e dall’umiltà di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, la cui morte e risurrezione rivela e ristabilisce la condizione dell’uomo come figlio di Dio.

Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: "Non dovete mangiare di alcun albero del giardino"?". Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete"". Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male". Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.


 

Salmo (42 41)

 

Il Salmo descrive i sentimenti degli esuli ebrei, deportati a Babilonia, che anelano il loro ritorno in patria, in particolare la possibilità di tornare a esercitare liberamente il culto religioso nel tempio del Signore. Il desiderio di tributare culto a Dio nella libertà si intreccia qui con un desiderio più grande, che trascende lo spazio e il tempo, quello di vedere Dio: «L’anima mia ha sete del Dio vivente quando verrò e vedrò il volto di Dio?». È il desiderio dell’uomo di tutti i tempi, che caratterizza la condizione umana in quanto tale, unico vivente capace di senso religioso, capace di “desiderare Dio”. I versi del salmo mettono in luce come la fede del popolo di Israele sia stata in grado di sostenere la loro intera esistenza e conferire identità non solo alla loro storia, ma alla vita di ciascuno. Il desiderio di Dio, il desiderio di poterlo adorare e di stare alla sua presenza nel luogo del suo culto, può tenere in vita l’essere umano, anche nei momenti più duri, come l’esilio e la persecuzione.

Al maestro del coro. Maskil. Dei figli di Core.

Come la cerva anela
ai corsi d'acqua,
così l'anima mia anela
a te, o Dio.

L'anima mia ha sete di Dio,
del Dio vivente:
quando verrò e vedrò
il volto di Dio?

Le lacrime sono il mio pane
giorno e notte,
mentre mi dicono sempre:
"Dov'è il tuo Dio?".

Questo io ricordo
e l'anima mia si strugge:
avanzavo tra la folla,
la precedevo fino alla casa di Dio,
fra canti di gioia e di lode
di una moltitudine in festa.

Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

In me si rattrista l'anima mia;
perciò di te mi ricordo
dalla terra del Giordano e dell'Ermon,
dal monte Misar.

Un abisso chiama l'abisso
al fragore delle tue cascate;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.

Di giorno il Signore mi dona il suo amore
e di notte il suo canto è con me,
preghiera al Dio della mia vita.

Dirò a Dio: "Mia roccia!
Perché mi hai dimenticato?
Perché triste me ne vado,
oppresso dal nemico?".

Mi insultano i miei avversari
quando rompono le mie ossa,
mentre mi dicono sempre:
"Dov'è il tuo Dio?".

Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.


   

Salmo (63 62, 1-9)

Può il desiderio di Dio, che non vediamo, superare in intensità e passione il desiderio di tante realtà umane, che vediamo, compresa la nostra stessa vita? Il testo del Salmo 63 è la testimonianza che ciò è possibile nel cuore di colore che cercano Dio. Poter vedere Dio equivale ad essere «saziato dai cibi migliori». Il desiderio di Dio espresso da questo salmo non sorge da una situazione di bisogno o di sconforto in cui l’essere umano si trova – esilio, malattia, persecuzione, pericolo – ma riguarda la condizione umana in quanto tale. Il desiderio di Dio viene qui paragonato ad altri desideri e trovato più profondo e radicale. «Il tuo amore vale più della vita». La vera sete non è sete d’acqua, ma sete di Dio. Esempio del desiderio più intenso, l’immagine dell’uomo assetato è particolarmente viva nel popolo ebreo come memoria della sua peregrinazione nel deserto del Sinai verso la terra promessa. L’acqua era per loro la vita: Dio stesso è adesso riconosciuto come la vita del suo popolo. L’attesa di chi veglia durante la notte – fa capire ancora il salmo – e il desiderio dell’alba, non sono attesa e desiderio che spunti il giorno, ma attesa e desiderio di Dio, perché giunga finalmente a rischiarare la notte della vita.

Salmo. Di Davide, quando era nel deserto di Giuda.

O Dio, tu sei il mio Dio,
dall'aurora io ti cerco,
ha sete di te l'anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz'acqua.

Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.

Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode.

Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.

Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.

Quando nel mio letto di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,

a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all'ombra delle tue ali.

A te si stringe l'anima mia:
la tua destra mi sostiene.

Ma quelli che cercano di rovinarmi
sprofondino sotto terra,

siano consegnati in mano alla spada,
divengano preda di sciacalli.

Il re troverà in Dio la sua gioia;
si glorierà chi giura per lui,
perché ai mentitori verrà chiusa la bocca.


   

Cantico dei Cantici (3, 1-4)

 

Questi versetti si riferiscono al “Terzo poema” dei dieci poemetti che compongono il Cantico dei Cantici. Lirica di rara bellezza, cantando l’amore reciproco con il quale un uomo e una donna si rincorrono, si desiderano e si uniscono, il Cantico dei Canticisi propone come metafora dell’amore di Dio per il suo popolo, e dell’amore del popolo per la terra promessa da Dio. È il canto spirituale con il quale l’anima cerca Dio, disposta a tutto pur di trovarlo; e, una volta trovato, farà di tutto per non perderlo più. I versi esprimono tutto il dinamismo della ricerca: alzarsi durante la notte, girare per le piazze e per le strade, chiedere di Lui, raccogliere informazioni continuando la ricerca… Una volta trovato il suo amato, l’amata lo introduce nella casa di sua madre, immagine di un amore generativo che lo innesta nella tradizione dell’intero popolo. Questa rincorsa dell’amato da parte dell’amata è scena inconsueta per Israele, ove la ricerca dello sposo e la sua introduzione nella casa paterna seguiva altri canoni, meno liberi e più formali. Sembrerebbe quasi un sogno. Al tempo stesso, è la testimonianza che l’amore di Dio e per Dio può saltare i canoni e irrompere nella vita in modo nuovo, imprevedibile.

Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato
l'amore dell'anima mia;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Mi alzerò e farò il giro della città
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l'amore dell'anima mia.
L'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città:
"Avete visto l'amore dell'anima mia?".
Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l'amore dell'anima mia.
Lo strinsi forte e non lo lascerò,
finché non l'abbia condotto nella casa di mia madre,
nella stanza di colei che mi ha concepito.


 

Luca (22,14-20)

 

I vangeli ci mostrano Gesù di Nazaret soggetto di sentimenti e di desideri. Nei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) prevale su tutti il sentimento della compassione, mentre, di Gesù, Giovanni sottolinea soprattutto l’amore altruista. San Luca è specialmente attento ai desideri di Gesù e raccoglie nel suo vangelo questa sua esclamazione: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Nel descrivere l’istituzione dell’Eucaristia durante l’ultima cena, l’evangelista Luca offre, nel brano che qui riportiamo, un altro esempio dei desideri che Gesù manifesta a chi gli sta accanto. Le parole «ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi», hanno nell’originale in lingua greca il verbo epithumeoche vuol dire, letteralmente, “brucio dal desiderio”. È il modo con cui, anche nel linguaggio colloquiale, noi esprimiamo un desiderio intenso, bruciante. Alla luce di quello che l’Eucaristia significava e realizza, cioè l’offerta della vita di Gesù per tutti gli uomini e la possibilità di restare per sempre nel mondo attraverso il sacramento del pane e del vino, si può comprendere meglio cosa Gesù volesse esprimere e Luca riportare. Le parole di Gesù rivelano il suo desiderio fondamentale, quello che abbraccia il fine della sua esistenza terrena: dare la vita per i propri amici (cf. Gv 15,13), fare la volontà del Padre e portare a compimento la missione da lui ricevuta.

Quando venne l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: "Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio". E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: "Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio". Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me". E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi".


 

Galati (5,16-25)

La teologia paolina indugia spesso sul contrasto fra le opere della Legge e le opere secondo la fede, fra i desideri della carne e la vita secondo lo Spirito. Al concetto di desiderio viene tributato un ruolo importante a motivo del suo stretto legame con il cuore, sede dei desideri e delle opzioni fondamentali dell’essere umano, sede della libertà e luogo dell’inabitazione dello Spirito Santo. Di fatto, l’“etica dei desideri” è la porta attraverso la quale si accede al giudizio morale circa le azioni dell’uomo, perché queste “nascono” già nel desiderio del suo cuore, come lo stesso Gesù di Nazaret aveva insegnato (cf. Mc 7,14-23). Per una corretta esegesi del testo paolino, va ricordato che il vocabolo “carne” non indica necessariamente la corporeità o la sessualità, ma tutto ciò che appartiene alla sfera della caducità, perché provvisorio e mortale, tutte cose distinguibili, per contrasto, da ciò che è invece destinato a restate per sempre, perché eterno. Il termine greco sarx, carne, indica infatti l’intera persona umana sotto l’aspetto della sua finitezza, passibilità e mortalità. Alle opere della carne, che vengono in definitiva anch’esse concepite nel cuore, san Paolo oppone i frutti dello Spirito. Il confronto fra le due liste che vengono proposte, rispettivamente vv. 19-21 e vv. 22-23 mostra da solo la diversità dei desideri che sono alla loro origine.

Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è Legge.
Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.