Apriamo la Sacra Scrittura: Felicità

Libro di Isaia (35,1-10)

 

La liberazione dalla schiavitù sofferta in Egitto (1250 a.C. circa) e il ritorno a Gerusalemme dopo l’esilio a Babilonia (dal 538 a.C. in avanti) rappresentano per il popolo di Israele i due eventi nei quali maggiormente si esprimono i sentimenti di felicità e di gioia. La teologia cristiana, basata sulla spiritualità che lo stesso Israele viveva, legge questa gioia come immagine della condizione felice dell’essere umano liberato dal peccato e invitato ad entrare definitivamente nella casa di Dio. La salvezza dal nemico e dalla deportazione è adesso salvezza dalla caducità e dalla morte. Il capitolo 35 del libro di Isaia canta con grande entusiasmo i sensi di questa felicità rivolgendosi a Gerusalemme, la città santa, che torna ad accogliere i suoi figli. Il contesto narrativo scelto dal profeta è quello del contrasto fra due diversi territori. Il capitolo 34 formula un severo giudizio contro Edom (gli edomiti collaborarono con gli invasori assiri e trassero vantaggi dalla distruzione di Gerusalemme), il cui territorio è reso inaridito e sterile, invivibile, con ortiche e spine che crescono fra le rovine dei palazzi; il capitolo 35 qui riportato, invece, mostra il rifiorire della terra di Gerusalemme, verdeggiante, ricca d’acqua, nella quale si percorreranno vie di pace. Le parole vive con cui il linguaggio umano esprime la felicità e la gioia sono le medesime parole con le quali il credente può esprimere la speranza della sua futura intimità con Dio. Non vi sono due linguaggi per rappresentare due felicità, ma un unico linguaggio per rappresentare ciò cui lo spirito umano anela.

   

Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
"Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi".
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.
La terra bruciata diventerà una palude,
il suolo riarso sorgenti d'acqua.
I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli
diventeranno canneti e giuncaie.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa;
nessun impuro la percorrerà.
Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere
e gli ignoranti non si smarriranno.
Non ci sarà più il leone,
nessuna bestia feroce la percorrerà o vi sosterà.
Vi cammineranno i redenti.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.

   


 

Libro di Isaia (61,1-6.10-11)

 

Isaia è il profeta del popolo ebreo che più ha meditato e scritto sull’avvento del Messia, l’Unto del Signore. Gli evangelisti, Matteo in particolare, rileggono con attenzione le pagine di Isaia, riproponendole di frequente. Anche Luca, nell’episodio che vede l’inizio della vita pubblica di Gesù a Nazaret, pone sulle labbra del Maestro di Galilea i primi versetti del capitolo 61 di Isaia, applicandoli a sé (cf Luca 4,18-19). Caratteristiche dell’epoca messianica che i profeti annunciavano sono la gioia, la pace, una pienezza di vita che ha finalmente superato le prove della deportazione e della schiavitù. Essi vedono l’avvento del Messia come l’epoca della gioia. Questi viene per consolare gli afflitti, per allietare gli oppressi, per dare fiducia agli sfiduciati, per fasciare le ferite. L’olio con cui il Messia è unto, come Cristo, è olio di letizia. La gioia che i profeti predicano va al di là di una restaurazione umana: è immagine di una vita nuova, imperitura, definitiva. Il linguaggio si fa insufficiente e allora Isaia ricorre ancora una volta alla metafora sponsale: la gioia del popolo di Dio insieme al suo Signore è la gioia dello sposo con la sposa, entrambi ornati con diademi e gioielli, rivestiti di vesti bellissime. I versetti qui riportati verranno poi ripresi e sviluppati in tutto il capitolo successivo, il 62, in cui prende forma un poema nel quale Gerusalemme-Sion si presenta ormai come “sposa” di Jahvè.

   

Lo spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l'anno di grazia del Signore,
il giorno di vendetta del nostro Dio,
per consolare tutti gli afflitti,
per dare agli afflitti di Sion
una corona invece della cenere,
olio di letizia invece dell'abito da lutto,
veste di lode invece di uno spirito mesto.
Essi si chiameranno querce di giustizia,
piantagione del Signore, per manifestare la sua gloria.
Riedificheranno le rovine antiche,
ricostruiranno i vecchi ruderi
restaureranno le città desolate,
i luoghi devastati dalle generazioni passate.
Ci saranno estranei a pascere le vostre greggi
e figli di stranieri saranno vostri contadini e vignaioli.
Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore,
ministri del nostro Dio sarete detti.
Vi nutrirete delle ricchezze delle nazioni,
vi vanterete dei loro beni.
[…]
Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza,
mi ha avvolto con il mantello della giustizia,
come uno sposo si mette il diadema
e come una sposa si adorna di gioielli.
Poiché, come la terra produce i suoi germogli
e come un giardino fa germogliare i suoi semi,
così il Signore Dio farà germogliare la giustizia
e la lode davanti a tutte le genti.

 


 

Vangelo di Matteo (5,1-12)

   

Fra le pagine più note di tutto il Nuovo Testamento, il “Discorso sul monte” di Gesù di Nazaret rappresenta, nella redazione del vangelo secondo Matteo, un compendio della “nuova legge”, cioè la legge evangelica, che porta a compimento la legge consegnata da Mosè al popolo di Israele. All’inizio di questo discorso, che occupa ben tre capitoli di questo vangelo, sono collocati dodici versetti che hanno come oggetto “le beatitudini”, termine con il quale si indica la condizione di coloro che, seguendo gli insegnamenti del Maestro, sono e saranno “felici”. Il vocabolo greco makarios indica proprio questo, una condizione felice, che il discorso di Gesù riferisce a una ricompensa maturata nel Regno dei cieli, ma espressiva anche di una situazione presente nella storia. Questa pagina evangelica, a ben vedere, può sembrare paradossale. Ciò che agli occhi di tutti, del “mondo”, sembra essere sfortuna, penuria, o anche solo rinuncia e sacrificio, non è tale per la condizione di un mondo rinnovato. In realtà, le beatitudini non riguardano solo l’accettazione della povertà, del pianto o della persecuzione, ma anche, e soprattutto, la pratica delle virtù: misericordia, rettitudine, pace, perdono. Resta in ogni caso ben delineato un contrasto: da una parte la felicità intesa come vita senza prove né dolore, nella quale si può far rivalere sempre i propri diritti, o perfino sopraffare l’altro, perché più forti; dall’altra la felicità di chi sa guardare oltre, amando e rispettando il prossimo, adoperandosi per la sua felicità, riconoscendo in essa anche la propria. La prima è giudicata effimera, apparente; la seconda è eterna e non tradisce.

Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

"Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
 Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

 


 

Vangelo di Giovanni (16,19-23)

 

Nei discorsi di Gesù che l’evangelista Giovanni colloca nell’ultima cena, prima della sua cattura, emerge più volte il tema del distacco e dell’attesa del ritorno del Maestro. I discepoli, senza comprendere fino in fondo di cosa Gesù di Nazaret stia loro parlando, sono comunque pervasi dalla tristezza. Egli impiega allora la suggestiva immagine della donna partoriente, per la quale si avvicina il momento di dare alla luce, consapevole del travaglio fisico e dunque del dolore che inevitabilmente attraverserà, ma ugualmente orientata alla gioia che le procurerà la venuta al mondo di una nuova vita. In modo velato, Gesù annuncia la sua risurrezione dai morti e li incoraggia a saper attendere: “la vostra tristezza si cambierà in gioia”. Non è la semplice gioia di chi rivede un amico scomparso. È una gioia di livello diverso, che non teme lo scorrere del tempo, non invecchia, non scompare. La gioia di rivedere il Risorto, capendo cosa ciò implichi per la storia degli uomini, è una gioia che non perisce più: “vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia”. Queste parole di Gesù di Nazaret potrebbero sembrare pretenziose, ma esprimono la vera novità della fede cristiana. Questa felicità non scomparirà mai. Possederla è ciò che ogni essere umano desidera.

Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: "State indagando tra voi perché ho detto: "Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete"? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla.
In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà.

   


 

Lettera ai Romani (8, 31-39)

 

Dopo aver descritto le caratteristiche della vita dei figli di Dio guidati dallo Spirito, il capitolo 8 della Lettera di san Paolo ai Romani termina con un insolito inno di gioia che rivela i sentimenti dell’Apostolo, le sue emozioni, le ragioni profonde presenti nel suo cuore. Egli affida a una serie incessante di domande il compito di esprimere cosa la sua fede in Cristo implichi davvero: l’amore di Dio per gli uomini, manifestato dalla morte e risurrezione di Gesù Cristo, è la prova definitiva che fonda la sua gioia. Di fronte a questo amore e alla gioia di possederlo, tutto passa in secondo piano. L’amante non teme più le persecuzioni, la fame, la tribolazione, la spada, il pericolo, la morte… Tutto può essere affrontato a testa alta e con il cuore orientato all’amore per Cristo, un amore che non delude. Nulla potrà mai separare l’Apostolo, e ogni credente, da questo amore. La misura del tempo (presente, avvenire), dello spazio (altezza, profondità), ma anche quella della propria intera esistenza (morte, vita) è pienamente colmata da una gioia e da un amore che non restano indietro a niente e a nessuno.

 

Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!
Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?  36Come sta scritto:
Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo considerati come pecore da macello.
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

 


 

Prima Lettera di Pietro (1,3-9)

 

Nella sua predicazione ai catecumeni che stanno per ricevere o hanno appena ricevuto il battesimo, Pietro trasmette loro un’idea assai chiara: la fede che essi hanno abbracciato è fonte di gioia. Lo è perché la fede ha recato con sé il perdono dei peccati, ma anche, e soprattutto, perché primizia di una vita senza fine. Coloro che sono adesso rinati in Cristo, possono esultare con una “gioia indicibile e gloriosa”, perché destinati alla salvezza. La forza con cui Pietro e gli altri apostoli parlano di questa gioia a coloro che giungono alla fede non ha altre spiegazioni se non l’incontro che essi hanno avuto con il Risorto. È come l’eco di quella gioia che gli apostoli provarono nel cenacolo quando, la domenica di Pasqua, si fece loro incontro Gesù, con il suo vero corpo, trasfigurato. Incoraggiando i primi cristiani, Pietro sa bene che la gioia che egli promette loro non è una mera felicità “fisica”, quella di chi è sano o al quale non manca nulla. Pietro sta annunciando invece tribolazioni, prove e incomprensioni, che i discepoli di Gesù di Nazaret dovranno affrontare. La gioia cristiana è paradossalmente compatibile con la persecuzione e con il sacrificio. Nasce dall’amore e spera tutto dall’amore.

 

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell'ultimo tempo.

Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po' di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell'oro - destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco - torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

 

 

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