Apriamo la Sacra Scrittura: Giustizia

   

Libro del Deuteronomio (5,1-22)

   

Durante l’esodo dalla terra d’Egitto verso la terra promessa da Dio, il popolo di Israele sperimenta una continua presenza del suo Dio liberatore, Jahvè, specie attraverso la mediazione di Mosè. In più luoghi l’Antico Testamento parla di una legge consegnata da Dio a Mosè, scritta su tavole di pietra, che il popolo è chiamato a vivere, legge che è insieme dono trascendente di Dio e risposta religiosa dell’essere umano, rivelazione della dignità della persona umana e impegno di vita nel quale si esprime il culto a Jahvè. Il testo qui riportato è tratto dal capitolo 5 del libro del Deuteronomio, che riepiloga a distanza di secoli, per motivi di catechesi e di istruzione, quanto esposto nel libro dell’Esodo (cf. Esodo 20,1-17 ed Esodo 34,10,27). È difficile sottostimare l’importanza che questa legge, nota come Decalogo, ha rappresentato e tuttora rappresenta per ogni riflessione su cosa sia la giustizia, nella cultura e nella società umana. Gli studiosi hanno rilevato delle somiglianze con alcune parti del codice di Hammurabi, governate della Mesopotamia (XVIII secolo a.C.), sebbene i contesti dei due documenti siano assai diversi, sobrio e cultuale il primo, formale e giuridico il secondo; finalizzato a delineare la trascendenza di Dio e l’impegno di alleanza con l’uomo il Decalogo, avente come scopo l’elencazione completa di leggi e pene vigenti i testi entro il codice di Hammurabi. In ogni caso, l’ebraismo, e più tardi il cristianesimo, interpretano facilmente queste similarità con l’idea che il Decalogo esprime qualcosa che attiene al più profondo della natura umana, una legge interiore che ogni popolo e cultura, se aperti alla trascendenza di un Dio creatore, può leggere nel proprio cuore. I comandamenti del Decalogo esprimono il cuore stesso di cosa sia la giustizia, compresa come “dare a ciascuno il suo”, ciò che gli appartiene per natura e dignità, oltre che per accordi fra gli uomini. Dare a Dio ciò che spetta a Dio – culto, onore, gratitudine – e all’essere umano ciò che attiene all’integrità e alla dignità della sua vita, alla sua fama, al valore delle sue relazioni. La formulazione grammaticale negativa di alcuni comandamenti – non uccidere, non rubare, ecc. – non indica solo il limite che non deve essere oltrepassato, ma esorta a compiere tutto il possibile per rispettare quel bene oggettivo. Mentre il divieto di fare il male può avere una misura al di sotto della quale non si può andare, non uccidere appunto, il bene da compiere in favore del prossimo non possiede un limite e non può essere dunque formalizzato. Ogni comandamento obbliga in coscienza a compiere il bene e non solo a evitare il male. Nel suo insieme, il “Decalogo biblico” costituisce uno dei più alti documenti, forse il più alto, alla base della comprensione umana di cosa sia la giustizia.

    

Mosè convocò tutto Israele e disse loro: "Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo ai vostri orecchi: imparatele e custoditele per metterle in pratica. Il Signore, nostro Dio, ha stabilito con noi un'alleanza sull'Oreb. Il Signore non ha stabilito quest'alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti vivi. Il Signore sul monte vi ha parlato dal fuoco faccia a faccia, mentre io stavo tra il Signore e voi, per riferirvi la parola del Signore, perché voi avevate paura di quel fuoco e non eravate saliti sul monte. Egli disse:

"Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile. 
Non avrai altri dèi di fronte a me. 
Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato.
Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
Non ucciderai.
Non commetterai adulterio.
Non ruberai.
Non pronuncerai testimonianza menzognera contro il tuo prossimo.
Non desidererai la moglie del tuo prossimo. Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo".

Sul monte il Signore disse, con voce possente, queste parole a tutta la vostra assemblea, in mezzo al fuoco, alla nube e all'oscurità. Non aggiunse altro. Le scrisse su due tavole di pietra e me le diede.

 


  

Primo libro di Samuele (26,1-14.21-25)

   

Il giovane Davide, unto dal profeta Samuele come consacrato da Dio e futuro re di Israele, suscita le gelosie del re di Israele Saul. Accecato dall’invidia, Saul perseguita Davide volendo ucciderlo. In una circostanza fortuita, mentre Saul dorme, accampato con i suoi soldati, Davide avrebbe la possibilità di sopraffare il suo nemico e ucciderlo. Davide, però, sa che Saul, a suo tempo unto re d’Israele, è anch’egli consacrato dal Signore. Potrebbe, Davide, incitato da uno dei suoi soldati, farsi giustizia da sé e regolare i conti con Saul, ma non lo fa. Egli sa che chi vuol essere giusto non deve risolvere in privato, con la violenza, le ingiustizie di cui è vittima, ma affidarsi a una giustizia che trascende tutti, quella di Dio. Saul riconosce il suo errore e comprende che Davide, pur potendo colpirlo a morte, lo ha risparmiato, perché non ha voluto giudicarlo colpevole mediante un giudizio impulsivo, soggettivo, decidendo invece di rimettersi alla volontà di Dio, l’unico che conosce i cuore e può giudicare con rettitudine. Il gesto di Davide ha come effetto, sul piano umano, la sua riconciliazione con Saul.

    

Gli abitanti di Zif si recarono da Saul a Gàbaa e gli dissero: "Non sai che Davide è nascosto sulla collina di Achilà, di fronte alla steppa?". Saul si mosse e scese nel deserto di Zif, conducendo con sé tremila uomini scelti d'Israele, per ricercare Davide nel deserto di Zif. Saul si accampò sulla collina di Achilà di fronte alla steppa, presso la strada, mentre Davide si trovava nel deserto. Quando si accorse che Saul lo inseguiva nel deserto, Davide mandò alcune spie ed ebbe conferma che Saul era arrivato davvero. Allora Davide si alzò e venne al luogo dove si era accampato Saul. Davide notò il posto dove dormivano Saul e Abner, figlio di Ner, capo dell'esercito di lui: Saul dormiva tra i carriaggi e la truppa era accampata all'intorno. Davide si rivolse ad Achimèlec, l'Ittita, e ad Abisài, figlio di Seruià, fratello di Ioab, dicendo: "Chi vuol scendere con me da Saul nell'accampamento?". Rispose Abisài: "Scenderò io con te". Davide e Abisài scesero tra quella gente di notte, ed ecco Saul dormiva profondamente tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra presso il suo capo, mentre Abner con la truppa dormiva all'intorno. Abisài disse a Davide: "Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l'inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo". Ma Davide disse ad Abisài: "Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?". Davide soggiunse: "Per la vita del Signore, solo il Signore lo colpirà o perché arriverà il suo giorno e morirà o perché scenderà in battaglia e sarà tolto di mezzo. Il Signore mi guardi dallo stendere la mano sul consacrato del Signore! Ora prendi la lancia che sta presso il suo capo e la brocca dell'acqua e andiamocene".  Così Davide portò via la lancia e la brocca dell'acqua che era presso il capo di Saul e tutti e due se ne andarono; nessuno vide, nessuno se ne accorse, nessuno si svegliò: tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore.
Davide passò dall'altro lato e si fermò lontano sulla cima del monte; vi era una grande distanza tra loro. Allora Davide gridò alla truppa e ad Abner, figlio di Ner: "Abner, vuoi rispondere?". Abner rispose: "Chi sei tu che gridi al re?".
[…]
Saul rispose: "Ho peccato! Ritorna, Davide, figlio mio! Non ti farò più del male, perché la mia vita oggi è stata tanto preziosa ai tuoi occhi. Ho agito da sciocco e mi sono completamente ingannato". Rispose Davide: "Ecco la lancia del re: passi qui uno dei servitori e la prenda! Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore. Ed ecco, come è stata preziosa oggi la tua vita ai miei occhi, così sia preziosa la mia vita agli occhi del Signore ed egli mi liberi da ogni angustia". Saul rispose a Davide: "Benedetto tu sia, Davide, figlio mio. Certo, in ciò che farai avrai piena riuscita". Davide andò per la sua strada e Saul tornò alla sua dimora.

 


  

Salmo (101)

    

Il Salmo è un ritratto del governante virtuoso, giusto, che deve comportarsi con rettitudine e giustizia, attorniandosi di gente saggia, moralmente retta. Ma il Salmo dipinge i tratti della persona giusta in genere, il cui comportamento è gradito a Dio, di cui il re o il governante è qui figura. Chi è giusto non deve scendere a patti con i malvagi, in realtà neanche frequentarli per evitare di restarne corrotto. Non deve calunniare il prossimo, né guardare gli altri con superbia e disprezzo. Per servire gli altri occorre avere un cuore innocente, non agire con inganno, non mentire. Le parole del Salmo, come in generale la prospettiva di tutto l’Antico Testamento, esortano a tenere lontano i malvagi, a separarli dal popolo, per renderli inoffensivi. La prospettiva della redenzione e del perdono è presente, ma resta in ombra. Sarà il Nuovo Testamento, con la predicazione di Gesù di Nazaret, a ricordare l’originaria volontà di Dio, il quale non desidera la morte del giusto, ma che si converta e viva.

   

Amore e giustizia io voglio cantare,
voglio cantare inni a te, Signore.
Agirò con saggezza nella via dell'innocenza:
quando a me verrai?
Camminerò con cuore innocente
dentro la mia casa.
Non sopporterò davanti ai miei occhi azioni malvagie,
detesto chi compie delitti: non mi starà vicino.
Lontano da me il cuore perverso,
il malvagio non lo voglio conoscere.
Chi calunnia in segreto il suo prossimo
io lo ridurrò al silenzio;
chi ha occhio altero e cuore superbo
non lo potrò sopportare.
I miei occhi sono rivolti ai fedeli del paese
perché restino accanto a me:
chi cammina nella via dell'innocenza,
costui sarà al mio servizio.
Non abiterà dentro la mia casa
chi agisce con inganno,
chi dice menzogne
non starà alla mia presenza.
Ridurrò al silenzio ogni mattino
tutti i malvagi del paese,
per estirpare dalla città del Signore
quanti operano il male.

 


  

Libro di Amos (8,4-12)

    

Le pagine del profeta Amos presentano spesso accorate denunce rivolte a coloro che trattano ingiustamente il prossimo, specie per motivi di profitto e di potere. Sono uno degli esempi dell’Antico Testamento in cui l’esortazione alla giustizia sociale emerge con forza. In questo brano Amos critica duramente coloro i quali si dedicano ai commerci frodando i poveri, usando bilance false, vendendo la merce scartata e profanando il riposo del sabato. Chi sfrutta il prossimo può comprare facilmente il povero con un paio di sandali, esigendo da lui lavori ingiusti. Il profeta fa comprendere che la giustizia di Dio non lascerà impunito chi si comporta in questo modo. Alcuni versetti in questo brano, di genere apocalittico, parlano di punizioni inflitte nella storia – cambierò le vostre feste in lutto, i vostri canti in lamento – ma si riferiscono indirettamente al giudizio finale. Il Dio di Israele è un Dio giusto. Egli è garante della giustizia e ricompenserà ciascuno secondo le sue opere. L’uomo può operare in modo ingiusto, non temendo il giudizio Dio, come se Dio non esistesse, ma tale atteggiamento è destinato alla rovina. Altre pagine della sacra Scrittura insisteranno sul perdono: ciò non offusca la giustizia di Dio, ma mostra che essa si realizza compiutamente nella conversione del peccatore.

   

Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: "Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l' efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano"".
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
"Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere.
Non trema forse per questo la terra,
sono in lutto tutti i suoi abitanti,
si solleva tutta come il Nilo,
si agita e si abbassa come il Nilo d'Egitto?
 In quel giorno
- oracolo del Signore Dio -
farò tramontare il sole a mezzogiorno
e oscurerò la terra in pieno giorno!
Cambierò le vostre feste in lutto
e tutti i vostri canti in lamento:
farò vestire ad ogni fianco il sacco,
farò radere tutte le teste:
ne farò come un lutto per un figlio unico
e la sua fine sarà come un giorno d'amarezza.
Ecco, verranno giorni
- oracolo del Signore Dio -
in cui manderò la fame nel paese;
non fame di pane né sete di acqua,
ma di ascoltare le parole del Signore".
Allora andranno errando da un mare all'altro
e vagheranno da settentrione a oriente,
per cercare la parola del Signore,
ma non la troveranno.

    


    

Vangelo di Matteo (5,20-24.38-48)

   

Nel discorso del Monte, Gesù di Nazaret rilegge i comandamenti e le prescrizioni legali dell’Antico Testamento mostrando a quale giustizia essi puntavano davvero: non quella della legalità delle opere, bensì quella della rettitudine del cuore. Tale cambio di prospettiva potrebbe sembrare l’abolizione di una prassi consolidata, una vera e propria rivoluzione: “Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”. In realtà, come Gesù stesso spiegherà, egli non è venuto ad abolire, bensì a dare compimento. I comandamenti miravano a una giustizia più profonda, che gli uomini non hanno saputo sempre comprendere ed esplicitare. Gli atteggiamenti verso i quali Gesù esorta i suoi – perdono, amore disinteressato, disponibilità a sopportare con pazienza – sono espressione di una giustizia più alta, quella di Dio, “che fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”. Sono modi di comportarsi che molti riterrebbero ingenui, perdenti o perfino ingiusti, ma in realtà manifestano la misura infinita dell’amore che i comandamenti dell’Antica Legge nascondevano nei loro divieti, necessariamente formulati al negativo. Non è sufficiente “non uccidere”, perché il vero senso di questo comandamento era ed è “amare con tutto il cuore”. A questa giustizia l’essere umano è misteriosamente chiamato e, mettendola personalmente in pratica, testimonia che è possibile vivere come figli di Dio, essere perfetti come il Padre che è nei Cieli.

   

Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
[…]
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.  Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

    


   

Vangelo di Matteo (22,15-22)

    

Lo scambio di Gesù con i farisei a proposito del tributo da pagare o meno a Cesare, cioè all’imperatore romano, rappresenta una delle pagine più note del Nuovo Testamento. Confronti di questo tipo fra il maestro di Galilea e l’establishment politico-religioso della Giudea non erano nuovi (cf. Giovanni 8,1-11): la predicazione innovativa di Gesù destava sospetti e si voleva verificare la sua conformità con quanto si riteneva insegnato dai sacerdoti e dai capi del popolo. Il dilemma di fronte al quale Gesù viene posto è critico, non di facile soluzione. Se avesse incitato i giudei a non pagare le tasse alle forze di occupazione, ciò avrebbe procurato un’insurrezione popolare contro i romani, con conseguenze drammatiche; se avesse acconsentito senza problemi a pagarle, sarebbe stato facilmente inquadrato come collaborazionista del potere politico invasore. La soluzione che Gesù formula è segno di una giustizia più alta di quella umana. I tributi siano pure pagati, perché parte di una logica terrena – l’ordinamento umano – che ammette e rispetta la responsabilità e l’autonomia di chi governa. Tale giustizia umana non è però capace di regolare ciò che davvero conta: la propria coscienza di fronte a Dio. Dare a Dio ciò che gli è dovuto, vuol dire tributargli l’onore e il rispetto che si deve al Creatore, da cui ogni altra realtà in ultima analisi dipende. Solo vivere questa giustizia nei confronti di Dio consentirà di capire come comportarsi di volta in volta nelle singole vicende, lasciate alla legittima discussione tra le persone.

   

Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi.  Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno.  Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?". Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?  Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: "Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?". Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.

   

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