Apriamo la Sacra Scrittura: Perdono

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Libro della Genesi (50,14-21)

 
Giuseppe avrebbe potuto vendicarsi dei suoi fratelli che lo avevano tradito e venduto come schiavo, ma sceglie di fare qualcosa di inaspettato: li perdona e si prende cura di loro. Questo episodio ci insegna che il perdono non è solo un atto di bontà, un modo diverso di dimenticare il male subito anche dalle persone più vicine, ma un modo per spezzare la catena dell'odio e trasformare il dolore in amore. Pensiamo alle nostre vite: quante volte teniamo rancore per un torto subito? Magari un amico ci ha traditi, un compagno di scuola ci ha umiliati, e ci sembra impossibile dimenticare. Giuseppe ci dimostra che il perdono non è dimenticare, ma scegliere di non restare prigionieri del passato. Quando perdoniamo, ci liberiamo dalla rabbia e permettiamo a qualcosa di nuovo di nascere, proprio come Giuseppe che, invece di farsi consumare dal risentimento, costruisce un futuro migliore per tutti coloro che verranno dopo di lui.

 

Dopo aver sepolto suo padre, Giuseppe tornò in Egitto insieme con i suoi fratelli e con quanti erano andati con lui a seppellire suo padre. Ma i fratelli di Giuseppe cominciarono ad aver paura, dato che il loro padre era morto, e dissero: "Chissà se Giuseppe non ci tratterà da nemici e non ci renderà tutto il male che noi gli abbiamo fatto?". Allora mandarono a dire a Giuseppe: "Tuo padre prima di morire ha dato quest'ordine: "Direte a Giuseppe: Perdona il delitto dei tuoi fratelli e il loro peccato, perché ti hanno fatto del male!". Perdona dunque il delitto dei servi del Dio di tuo padre!". Giuseppe pianse quando gli si parlò così. E i suoi fratelli andarono e si gettarono a terra davanti a lui e dissero: "Eccoci tuoi schiavi!". Ma Giuseppe disse loro: "Non temete. Tengo io forse il posto di Dio? Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso. Dunque non temete, io provvederò al sostentamento per voi e per i vostri bambini". Così li consolò parlando al loro cuore.

 


 

Libro di Giona (3,1-10)


Giona non voleva predicare a Ninive, pensava che quella città non meritasse il perdono. Eppure, Dio la salva quando i suoi abitanti si pentono. Questo brano mette in crisi un nostro modo di pensare: ci sono persone che consideriamo imperdonabili? Forse qualcuno ci ha feriti profondamente e non riusciamo a immaginare un futuro in cui possiamo essere in pace con loro. Dio ci insegna che il pentimento sincero apre sempre le porte della misericordia. Questo vale anche per noi: quante volte ci sentiamo sbagliati, indegni di essere amati? Eppure, Dio non smette mai di credere in noi. Nella vita, imparare a perdonare e accettare il perdono ci aiuta a non restare prigionieri del passato e a scoprire che il cambiamento è possibile per chiunque.

 

Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: "Àlzati, va' a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico". Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore.
Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta".
I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. Per ordine del re e dei suoi grandi fu poi proclamato a Ninive questo decreto: "Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!".
Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

 


 

Vangelo di Matteo (18,21-22)


Pietro pensa di essere generoso quando chiede se deve perdonare fino a sette volte, ma Gesù lo spiazza: il perdono deve essere illimitato. Siamo abituati a misurare tutto con righello e bilancino, anche il nostro amore: perdoniamo fino a un certo punto, ma poi basta. Pensiamo addirittura che Dio usi le stesse misure con noi. Eppure, Gesù ci chiede di uscire da questa logica: Dio ama senza misura, ed è possibile amare senza misura. Immaginiamo una lite tra amici: qualcuno ci ha offesi più volte, e pensiamo che non meriti più la nostra fiducia. Ma cosa accadrebbe se provassimo a perdonare ancora, non per debolezza, ma per liberarci dal peso del rancore? Gesù non ci chiede di far finta di nulla, ma di imparare a vedere l'altro con occhi nuovi, senza lasciarci bloccare dal passato.

 

Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

 


 

Vangelo di Matteo (18,23-35)

 
La parabola del servo spietato ci mette di fronte a una contraddizione: vogliamo essere perdonati, ma facciamo fatica a perdonare. Questo capita spesso: pensiamo ai nostri errori e chiediamo comprensione, ma quando qualcuno ci fa un torto, siamo inflessibili. Gesù ci insegna che non possiamo chiedere misericordia senza essere misericordiosi. Perdonare non significa dimenticare, ma scegliere di non lasciare che il male ricevuto ci definisca. Se siamo onesti, sappiamo che anche noi abbiamo avuto bisogno di essere perdonati: allora perché non offrire agli altri la stessa opportunità che noi stessi abbiamo ricevuto?

 

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!". Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello"

 


 

Vangelo di Luca (23,33-34)


Gesù, sulla croce, invece di maledire i suoi carnefici, prega per loro. Questa è una delle scene più sconvolgenti del Vangelo: un amore che non si lascia spegnere dall'odio. Se ci pensiamo, è facile amare chi ci fa del bene, ma è difficile amare chi ci ferisce. Eppure, Gesù ci mostra che il vero amore è capace di trasformare anche il male in bene. Nella nostra vita quotidiana, possiamo vivere questo insegnamento ogni volta che scegliamo di rispondere a un torto con un atto di pace invece che di vendetta. Non si tratta di essere ingenui, ma di essere liberi: il perdono ci libera al di là di quanto possiamo immaginare. Sia chi perdona, sia chi è perdonato.

 

Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.

 


 

Lettera agli Efesini (4,25-32)


Paolo ci invita a essere misericordiosi, a perdonare come Dio ha perdonato noi. Questo versetto ci aiuta a capire che il perdono non è un'emozione, ma una decisione. Spesso aspettiamo di "sentire" di poter perdonare, ma il perdono è un atto di volontà. Pensiamo a quando litighiamo con qualcuno: possiamo aspettare che la rabbia passi, oppure possiamo scegliere di aprire una porta alla riconciliazione. Il perdono è un processo, ma ogni piccolo passo conta. Dio ci perdona sempre: il vero cambiamento avviene quando impariamo a fare lo stesso con gli altri.

 

Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date spazio al diavolo. Chi rubava non rubi più, anzi lavori operando il bene con le proprie mani, per poter condividere con chi si trova nel bisogno. Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un'opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

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