Ambrogio Lorenzetti (Siena 1290 ca. - Siena 1348)
Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo
1338
Affresco
Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Consiglio dei Nove (o della Pace)
Gli affreschi della sala, dove si riuniva la più importante magistratura della Repubblica di Siena, costituiscono un vero e proprio “manifesto politico”. L’Allegoria del Buon Governo mostra a sinistra la Giustizia ispirata, in alto, dalla Sapienza, generando Concordia tra i cittadini e quindi il Buon Governo, personificato da un sovrano in maestà protetto dall’alto dalle Virtù Teologali e fiancheggiato dalla Giustizia, Temperanza, Magnanimità, Prudenza, Fortezza e Pace. Ne consegue il benigno Effetto sia sulla città, dove si vede danzare in primo piano un corteo di giovani fanciulle, sia sulla campagna oltre le mura cittadine, dove una veduta a volo d’uccello rivela dei terreni agricoli arati e dunque fecondi, percorsi da allegre brigate di cittadini a caccia sotto la protezione della Sicurezza.
Nel complesso, il ciclo va inteso come una rappresentazione simbolica secondo l’allegorismo medievale, pur se realizzata attraverso un linguaggio espressivo naturalistico.
Domandiamoci: è possibile raffigurare la giustizia? Come possiamo farci un’immagine concreta di un concetto astratto? Di certo non è possibile vedere la giustizia, se così si può dire, in carne e ossa, ma possiamo scoprire la sua presenza in un comportamento giusto, in una società giusta, in una azione giusta.
È in questo modo che Ambrogio Lorenzetti ci permette di cogliere la giustizia nella raffigurazione degli “effetti del buon governo”: vediamo così come appare una società, e in particolare una città, amministrata secondo giustizia, in cui le diverse persone e le diverse componenti sociali si trovano in equilibrio (come spesso accade, l’etimologia della parola ci offre una chiave d’accesso al significato profondo del termine: dal lat. aequilibrium, composto di aequus «uguale» e libra «bilancia»).
Andiamo allora a vedere come Ambrogio Lorenzetti mostra una società giusta. Gli edifici della città, solidi e maestosi, suggeriscono che lì si conduce una vita buona, ordinata, segnata da un benessere diffuso. I cittadini però non si accontentano di ciò che già è stato costruito e, come mostrano gli operai raffigurati in lontananza, continuano a edificare, a realizzare nuovi progetti, a impegnarsi per migliorare le condizioni di vita di tutti. In città fioriscono il commercio e le professioni, le persone sono libere, vanno e vengono dalla campagna portando i frutti della terra, in un continuo scambio tra la città e il suo fuori. Una società giusta non è chiusa, non ha paura di aprirsi all’esterno.
Se ci appostiamo in silenzio fuori dall’edificio che si trova appena a destra e spiamo dalla finestra, possiamo osservare un maestro in cattedra che fa lezione a una classe di studenti: dove fiorisce la giustizia, il sapere progredisce ed è messo a disposizione di chiunque voglia imparare. Ma soprattutto, in una società giusta, non si ha paura della verità e si difende la libertà di cercarla. Il corteo nuziale sulla sinistra, guidato dalla sposa a cavallo, vestita di rosso secondo l’uso del tempo, mostra che quando una società è retta con giustizia, le donne e gli uomini hanno il coraggio di prendere in mano la propria vita, di creare una famiglia e mettere al mondo dei figli.
In generale, una società giusta rispetta il “principio di sussidiarietà”, ovvero la valorizzazione e la promozione da parte dello Stato di “corpi intermedi” come la famiglia, le associazioni, i gruppi locali, che sono i luoghi in cui concretamente si intraprendono iniziative di solidarietà e dove le persone crescono, si sviluppano e realizzano se stesse a vantaggio dell’intera comunità. È così che prende corpo il bene comune, il bene di tutti e di ciascuno, alla cui realizzazione una società giusta deve sempre mirare. Nessun uomo è un’isola e il bene di uno non è compiuto se non è bene per tutti gli uomini e per tutto l’uomo; non è bene compiuto se qualcuno rimane indietro, se c’è chi non ha quanto è necessario alla sua sopravvivenza.
La giustizia dona agli uomini la pace, che possiamo riconoscere nella danza gioiosa delle fanciulle che si trovano al centro dell’affresco. In una città giusta si respira aria di festa, ogni giorno. Dunque pace e giustizia. La pace, infatti, non è semplicemente assenza di conflitto, ma è una situazione sociale generata dalla giustizia, vissuta in una società rispettosa della persona e impegnata nella realizzazione del bene comune; ma la giustizia, a sua volta, è generata dal perdono, che non si accontenta di riequilibrare in maniera fredda e astratta i torti e i diritti, ma riesce a raggiungere il cuore dell’uomo e il suo desiderio profondo di essere amato e accolto. Soltanto se radicata nel perdono, che rappresenta una specie di “giustizia più giusta”, la società potrà costruire un mondo in cui regni davvero la pace. Ritroviamo questa riflessione in una frase di Giovanni Paolo II: «Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono» [1]. Gli atteggiamenti e le condizioni che generano una giustizia stabile e duratura non possono essere solo frutto di convenzioni e di liberi accordi. Gli uomini riconoscono nella giustizia un ideale che ci precede, indisponibile alle nostre manipolazioni, al quale occorre conformarsi. Qualcosa che riconosciamo, applichiamo, ma non inventiamo. Il cristianesimo parla della giustizia come un attributo di Dio, qualcosa che dunque trascende l’essere umano, una virtù morale vivendo la quale ci si avvicina a Dio stesso. La Chiesa cattolica ha elaborato nel tempo un corpo di insegnamenti indicati con il nome di “Dottrina sociale della Chiesa”, che prima di essere sistematizzata nell’epoca contemporanea, si era già forgiata in epoca medievale, ponendo al centro buona parte delle virtù e dei principi che vediamo magistralmente riassunti nell’affresco di Lorenzetti.
[1] Messaggio in occasione della XXXV Giornata mondiale della pace, 1 gennaio 2002.
Per approfondire, si veda la spiegazione dell’Affresco di Mariella Carlotti