Dalle Lettere di Santa Caterina da Siena

Chi vuole governare gli altri governi se stesso

Scrivendo ai Signori di Siena, Caterina li esorta e li ammonisce dicendo loro che:

Carissimi signori, in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi veri signori e con cuore virile; cioè che signoreggiate la propria sensualità, con vera e reale virtù, seguitando il nostro Creatore. Altramenti, non potreste tenere giustamente la signoria temporale, la quale Dio vi ha concessa per sua grazia. Conviensi dunque che l’uomo che ha a signoreggiare altrui e governare, signoreggi e governi prima sé. Come potrebbe il cieco vedere e guidare altrui? Come potrà il morto sotterrare il morto? Lo ‘nfermo governare lo ’nfermo,il povero sovvenire al povero? non potrebbe” (Lettere, n. 121: Ai signori difensori della città di Siena)

 

E male possederà la cosa prestata, se in prima non governa e signoreggia se medesimo. Signoria prestata sono le signorie delle città di o altre signorie temporali, le quali sono prestate a noi e agli altri uomini del mondo; le quali sono prestate a tempo, secondo che piace alla divina bontà, e secondo i modi e i costumi de’ paesi: onde o per morte o per vita elle trapassano. Sicché per qualunque modo egli è, veramente elle sono prestate. Colui che signoreggia sé, la possederà con timore santo, con amore ordinato e non disordinato; come cosa prestata, e non come cosa sua. Guarderà la prestanza della signoria che gli è data, con timore e riverenzia di colui che gliela dié. Solo da Dio l’avete avuta; si che quando la cosa prestata c’è richiesta dal Signore, ella si possa rendere senza pericolo di morte eternale. Or con uno, dunque, santo e vero timore voglio che voi possediate. E dicovi, che altro rimedio non hanno gli uomini del mondo a voler conservare lo stato spirituale e temporale, se non di vivere virtuosamente: perocché per altro non vengono meno se non per li peccati e difetti nostri. [...] Altro non dico qui, benché molto arei da dire”. (Lettere, n. 123: Ai signori difensori della città di Siena)

 

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Santa Caterina da Siena, copia del dipinto di Rutilio Manetti, Pinacoteca Nazionale di Siena, 1834

E ancora:

Molti sono che signoreggiano le città e le castella, e non signoreggiano loro: ma ogni signoria senza questa è miserabile e non dura. E sempre la tiene imperfettamente, e con poca ragione, e con men giustizia; ma farà ragione e giustizia, secondo la propria sensualità e amore proprio di sé e secondo al piacere e volontà degli uomini. Onde allora non è giustizia, ma è ingiustizia; perocchè la giustizia non vuol essere contaminata coll’amore proprio né con dono di pecunia, nè con lusinghe né di piacere dell’uomo”.

(Lettere, n. 254: A Pietro di missere Jacomo Attacusi de’ Tolomei, da Siena).

 

 

Il regno è prestato da Dio

Scrivendo al re di Francia Caterina indica alcuni principi:

"Tre cose vi prego singolari, per l'amore di Cristo crocifisso, che facciate nello stato vostro. La prima si è, che spregiate il mondo, e voi medesimo, con tutti i difetti suoi; possedendo voi il reame vostro come cosa prestata a voi, e non vostra. Però che voi sapete bene, che né vita né sanità né ricchezze né onore né Stato né signoria non è vostra. Che se la fosse vostra voi la potreste possedere a vostro modo. Ma tal ora vuole essere l'uomo sano che gli è infermo; o vivo che gli è morto; o ricco che gli è povero; o signore che gli è fatto servo e vassallo. E tutto questo è perché elle non sono sue; e non le può tenere se non quanto piace a Colui che gliel'ha prestate. Adunque bene è semplice colui che possiede l'altrui per suo. Drittamente egli è il ladro e degno della morte. E però prego voi, che, come savio faccia come buono dispensatore, possedendo come cose prestate a voi; fatto per lui suo dispensatore.

L'altra cosa è che voi manteniate la Santa e vera giustizia; E non sia guasta né per AMORE proprio di voi medesimo, né per lusinghe, né per veruno piacere d'uomo. E non tenete occhio, che i vostri ufficiali facciano ingiustizia per denari, tollendo la ragione a poverelli. Ma siate Padre dei poveri, siccome distributore di quello che Dio v’ha dato. E vogliate che i difetti che si truovano per lo reame vostro siano punitive la virtù esaltata. Però tutto questo appartiene alla divina Giustizia di fare.

La terza cosa si è, d'osservare la dottrina che vi dà questo maestro in croce; che è quella cosa che più desidera l'anima mia di vedere in voi; ciò è l'amore e dilezione col prossimo vostro, col quale tanto tempo avete avuto guerra. Spero che voi sapete bene, che senza questa radice dell'amore, l'arbore dell'anima vostra non farebbe frutto, ma seccherebbesi non potendo trarre a sé l'amore della Grazia stando in odio. Ohimè, carissimo padre, che la prima dolce verità ve lo insegna, e lascia per comandamento da amare Dio sopra ogni cosa il prossimo, come se medesimo…..

E però vi prego e voglio che seguitiate Cristo crocifisso, e siate amatore della salute del prossimo vostro; mostrando di seguitare l’agnello che, per fame dell’onore del Padre e salute dell’anime, elesse la morte del corpo suo. Così fate voi, signore mio. Non curate di perdare della sustantia del mondo, ché ’l perdare vi farà guadagno, pure che potiate pacificare l’anima vostra col fratello vostro. Io mi maraviglio come voi non ci metete etiandio, se fusse posibile, la vita vostra, non tanto che le cose temporali; considerando tanta distrutione dell’anime e de’ corpi, quanta è stata, e quanti religiosi, donne e fanciulle sonno state vituperate e cacciate per questa guerra. Non più, per l’amore di Cristo crocifisso! Non pensate voi, che se voi non fate quello che voi potete, che di questo male voi ne sete la cagione?"

(Lettere, n. 235: Al re di Francia, Carlo V)

 

 

L’etica politica è basata sulla carità

Caterina non propone un metodo politico, piuttosto una opzione fondamentale per la carità, rivolto a tutti idestinatari delle sue lettere : principi e sovrani, ma anche papi, cardinali:

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La carità è quello dolce e santo legame, che lega l'anima col suo creatore: e la lega Dio nell'uomo, e l'uomo in Dio. Questa carità inestimabile teme confitto e chiavellato, Dio-e-uomo in sul legno della Santissima croce; costei accorda i discordi; questa unisce li separati; ell'arricchisce coloro che sono poveri della virtù, perocché dà vita a tutte le virtù: ella dona pace, e toglie guerra; dona pazienza, fortezza e lunga perseveranzia in ogni buona e santo operazione; e non si stanca mai, e non si tolle mai dell'amore di Dio e del prossimo suo, né per pena né per strazio né per ingiuria né per scherni né per villania.(…)

Se l’animo nostro non è spogliato d’ogni amore proprio e piacere dì sé e del mondo, non può mai pervenire a questo vero e perfetto amore e legame di carità. Perocchè è contrario l’uno amore all’altro: e tanto è contrario, che l’amore proprio ti separa da Dio e dal prossimo; e quello ti unisce: questo ti dà morte, e quello vita: questo tenebre, e quello lume: questo guerra, e quello pace: questo ti stringe il cuore, che non vi capi né tu né ‘l prossimo; e la divina carità il dilarga, ricevendo in sé amici e nemici, e ogni creatura che ha in sé ragione; perocchè s’è vestito dell'affetto di Cristo, o però sèguita lui. L'amore proprio è miserabile, e partesi dalla giustizia, e commette le ingiustizie, e ha un timore servile, che non gli lascia fare giustamente quello che debba, o per lusinghe o per timore di non perdere lo stato suo.…

(Lettere, n. 7: Al Cardinal Pietro D’Ostia).

 

 

L’ingiustizia sociale

Per comprendere cosa Caterina intendesse per giustizia vediamo cosa denunciava come ingiustizia:

  • «dare torto a chi ha ragione e ragione a chi ha torto» (Lettere, n. 367)

  • «punire i difetti colà dove non sono e non punire quelli che sono iniqui e cattivi» (Lettere, n.121)

  • «mantenere la giustizia solo nei poverelli ma nei grandi no»  (Lettere, n. 338)

  • «per propria utilità o per piacere agli uomini giudicare secondo la volontà   altrui e non secondo verità» (Lettere, n. 123)

  • «permettere che i vostri officiali facciano ingiustizia per denaro, dando   ingiustamente torto ai poverelli» (Lettere, n. 235)

  • «vivere a sétte [1] e chiamare a far parte del governo e reggere la città uomini   che non sanno reggere se stessi e le loro famiglie ingiusti iracondi passionali e amatori di sé» (Lettere, 268).

[1] Caterina deplorava il vivere a sette ossia la divisione in partiti politici, o consorterie di famiglie, perché le sette e mettevano i loro interessi al di sopra del bene comune, creavano accese rivalità, vendette, odi e rancori