Inferno, Canto XXVI

Dante Alighieri

Nel corso del suo viaggio attraverso l’Inferno, nell’ottava bolgia, dove si trovano i consiglieri fraudolenti, Dante incontra Ulisse e gli chiede di narrargli la sua storia. L’eroe, rievocando le vicende che seguono il suo ritorno a Itaca, racconta il suo ultimo viaggio, oltre le Colonne d’Ercole. Mosso da un implacabile desiderio di sapere, Ulisse si spinge oltre il limite allora assegnato al mondo conosciuto e per questo perde la vita. La letteratura successiva, da Joyce a Saba, da Pavese a Kavafis, tornerà a più riprese sul personaggio omerico reso da Dante figura universale dell’impulso al conoscere che è proprio dell’essere umano.

Testo


Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando
pur come quella cui vento affatica; 87

indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando       90

mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,                93

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,   96

vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;                 99

ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.           102

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.      105

Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi,           108

acciò che l’uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta. 111

"O frati", dissi "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia                   114

d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente. 117

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".       120

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;           123

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.     126

Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.       129

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,     132

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.                135

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.         138

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,

infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».     142

Parafrasi

 

La punta più alta di quell'antica fiamma cominciò a scuotersi mormorando, come quella colpita dal vento;


quindi, volgendo la cima da una parte e dall'altra, come una lingua che parlasse, gettò fuori la voce e disse:


«Quando mi allontanai da Circe, che mi tenne più di un anno là vicino a Gaeta, prima che Enea desse questo nome al promontorio,


né la tenerezza per mio figlio, né la devozione per il mio vecchio padre, né il legittimo amore che doveva fare felice Penelope poterono vincere in me il desiderio che ebbi di diventare esperto del mondo, dei vizi e delle virtù degli uomini;



ma mi misi in viaggio in alto mare solo con una nave e con quei pochi compagni dai quali non fui abbandonato.


Vidi entrambe le sponde del Mediterraneo fino alla Spagna, al Marocco e alla Sardegna, e alle altre isole bagnate da quel mare.


Io e i miei compagni eravamo vecchi e deboli quando giungemmo a quello stretto (di Gibilterra) dove Ercole pose le colonne, limite oltre il quale l'uomo non deve procedere: a destra avevamo Siviglia, a sinistra Ceuta.




Dissi: "O fratelli, che siete giunti all'estremo ovest attraverso centomila pericoli, non vogliate negare a questa piccola veglia che rimane ai vostri sensi (ai vostri ultimi anni) l'esperienza del mondo disabitato, seguendo la rotta verso occidente.




Pensate alla vostra origine: non siete stati creati per vivere come bestie, ma per seguire la virtù e la conoscenza".


Con questo breve discorso resi i miei compagni così smaniosi di mettersi in viaggio, che in seguito avrei stentato a trattenerli;


e volta la poppa a est, facemmo dei remi le ali al nostro folle volo, sempre proseguendo verso sud-ovest (a sinistra).


La notte ormai mostrava tutte le costellazioni del polo australe, mentre quello boreale era tanto basso che non emergeva dalla linea dell'orizzonte.

La luce dell'emisfero lunare a noi visibile si era già spenta e riaccesa cinque volte (erano passati circa cinque mesi), dopo che avevamo intrapreso il viaggio, quando ci apparve una montagna (il Purgatorio) scura per la lontananza, e mi sembrò più alta di qualunque altra io avessi mai vista.



Noi ci rallegrammo, ma l'allegria si tramutò presto in pianto: infatti da quella nuova terra nacque una tempesta che colpì la nave a prua.

La fece girare su se stessa tre volte, in un vortice; la quarta volta fece levare in alto la poppa e fece inabissare la prua, come piacque ad altri (Dio), finché il mare si fu richiuso sopra di noi».