René Magritte (Lessins 1898 – Bruxelles 1967)
Decalcomania
1966
Olio su tela, 81 x 100 cm
L’opera prende il nome dalla tecnica decorativa, in voga negli anni Sessanta, che consisteva nella trasposizione di un’immagine da un foglio a un’altra superficie. Il dipinto è una delle ultime opere di Magritte, realizzata un anno prima della morte. Come ricorre nella sua produzione fin dagli anni Venti, la tela è incentrata sul concetto di multiplo: l’uomo, privo di identità e di spalle, rappresentato sulla sinistra, non è nient’altro che il risultato del ritaglio della sua stessa silhouette sagomata sul drappo rosso. Una sagoma che permette di scorgere il cielo e il mare verso cui anche l’uomo a sinistra sta guardando.
Il quadro di Magritte ci pone davanti a una scena surreale: forse un sogno, ma un sogno capace di suggerirci alcune riflessioni circa la ricerca e la realizzazione della nostra identità.
Vediamo due figure umane, una accanto all’altra. Da un lato un uomo di spalle, giacca scura e cappello, che guarda verso il mare sovrastato da un cielo azzurro solcato da nuvole bianche. Accanto, il suo alter ego: stesso profilo ma questa volta il cielo, il mare e la spiaggia “sono dentro”, riempiono la figura, che si staglia contro una tenda rossa, forse un sipario.
Tante volte anche noi abbiamo la sensazione di uno sdoppiamento: qual è il vero io? Quello della vita di ogni giorno, con le sue occupazioni e i suoi impegni, socialmente accettato o almeno desideroso di essere considerato accettabile? Oppure l’io sognato, l’io ideale, quello capace di dare forma ai desideri più nascosti, un io più fantasticato che reale? Questo sdoppiamento è spesso causa di sofferenza e di confusione.
Quando ci sentiamo più vicini alla figura di sinistra, quella più realistica, ci assale il dubbio che la realizzazione della nostra identità non possa avvenire nella quotidianità che ci tocca vivere; anche se davanti a noi si apre un paesaggio sereno, vorremmo trasformare il nostro io in un cielo azzurro. Viceversa, quando diamo spazio a sogni e fantasie, talvolta solo illusioni e fughe dalla realtà, può capitare che – come accade alla figura di destra – perdiamo di vista l’orizzonte davanti a noi: cala il sipario sul mondo circostante e ci troviamo incastrati nell’autoreferenzialità delle nostre aspirazioni.
Ma alla fine, quale delle due figure dobbiamo scegliere? L’uomo “reale” o l’uomo “surreale”? La concretezza prosaica dei nostri impegni, dei nostri doveri e delle nostre responsabilità, oppure la vaghezza poetica dei nostri desideri, dei nostri progetti e delle nostre aspirazioni?
Il dipinto di Magritte offre tuttavia anche una “seconda” lettura. Il sogno dell’uomo di destra non è, necessariamente, un desiderio di fuga dal reale, ma potrebbe esprimere anche il desiderio di portare l’azzurro del cielo e l’apertura di orizzonti entro la nostra quotidianità. Chi cerca il senso della propria vita tende a ravvicinare le due figure perché, una volta trovato, il senso illumina la quotidianità con un ideale, che fornisce direzione e significato a quanto si fa.
Ciò accade, ad esempio, in una persona che scopra il progetto di Dio su di lei e lo accolga con fede.
Questo senso trovato unirebbe allora le due prospettive di Magritte, recando un’inaspettata apertura di orizzonti, di azzurro, proprio nella vita ordinaria, quella che a prima vista sembrerebbe grigia.
Così lo esprimeva un autore spirituale alcuni anni or sono, parlando a un gruppo di universitari: «Quando un cristiano compie con amore le attività quotidiane meno trascendenti, in esse trabocca la trascendenza di Dio. Per questo vi ho ripetuto, con ostinata insistenza, che la vocazione cristiana consiste nel trasformare in endecasillabi la prosa quotidiana. Il cielo e la terra, figli miei, sembra che si uniscano laggiù, sulla linea dell'orizzonte. E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero, quando vivete santamente la vita ordinaria...» [1].
La prosa quotidiana si può trasformare in pura poesia. Non bisogna rinunciare alla concretezza perché apparentemente in contrasto con i nostri sogni, né, al contrario,dobbiamo mettere da parte progetti e aspirazioni per conformarci alle esigenze del mondo intorno a noi. Realizzare la propria identità significa invece riconoscere il cielo sereno dentro di sé, sapendolo scoprire nelle vicende, semplici e straordinarie, della vita quotidiana.
[1] J. Escrivá, Amare il mondo appassionatamente, omelia tenuta all’Università di Navarra, Pamplona, Spagna, 8 ottobre 1967.