Desiderio, dal Catechismo della Chiesa Cattolica

2560
«Se tu conoscessi il dono di Dio!» (Gv 4,10). La meraviglia della preghiera si rivela proprio là, presso i pozzi dove andiamo a cercare la nostra acqua: là Cristo viene ad incontrare ogni essere umano; egli ci cerca per primo ed è lui che ci chiede da bere. Gesù ha sete; la sua domanda sale dalle profondità di Dio che ci desidera. Che lo sappiamo o non lo sappiamo, la preghiera è l'incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di lui. [1]

   

2561
«Tu gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). La nostra preghiera di domanda è paradossalmente una risposta. Risposta al lamento del Dio vivente: «Essi hanno abbandonato me, sorgente d'acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate» (Ger 2,13), risposta di fede alla promessa gratuita di salvezza, [2] risposta d'amore alla sete del Figlio unigenito. [3]

 

2548
Il desiderio della vera felicità libera l'uomo dallo smodato attaccamento ai beni di questo mondo, per avere compimento nella visione e nella beatitudine di Dio. «La promessa di vedere Dio supera ogni felicità. Nella Scrittura, vedere equivale a possedere. Chi vede Dio, ha conseguito tutti i beni che si possano concepire» [5].

 

607
[Il] desiderio di abbracciare il disegno di amore redentore del Padre suo anima tutta la vita di Gesù [6] perché la sua passione redentrice è la ragion d'essere della sua incarnazione: «Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora!» (Gv 12,27). «Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?» (Gv 18,11). E ancora sulla croce, prima che «tutto [sia] compiuto» (Gv 19,30), egli dice: «Ho sete» (Gv 19,28).

   

425
La trasmissione della fede cristiana è innanzi tutto l'annunzio di Gesù Cristo, allo scopo di condurre alla fede in lui. Fin dall'inizio, i primi discepoli sono stati presi dal desiderio ardente di annunziare Cristo: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Essi invitano gli uomini di tutti i tempi ad entrare nella gioia della loro comunione con Cristo: «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1 Gv 1,1-4).

 

1130
La Chiesa celebra il Mistero del suo Signore «finché egli venga» e «Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 11,26; 15,28). Dall'età apostolica la Liturgia è attirata verso il suo termine dal gemito dello Spirito nella Chiesa: «Marana tha!» (1 Cor 16,22). La Liturgia condivide così il desiderio di Gesù: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi... finché essa non si compia nel regno di Dio» (Lc 22,15-16). Nei sacramenti di Cristo la Chiesa già riceve la caparra della sua eredità, già partecipa alla vita eterna, pur «nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13). «Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni!... Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,17.20).

 

Articolo 9. Il nono comandamento.
«Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,17).

«Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,28).

 

2536
Il decimo comandamento proibisce l'avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito. Proibisce anche il desiderio di commettere un'ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi beni temporali:

La formula «non desiderare» è come un avvertimento generale che ci spinge a moderare il desiderio e l'avidità delle cose altrui. C'è infatti in noi una latente sete di cupidigia per tutto ciò che non è nostro; sete mai sazia, di cui la Sacra Scrittura scrive: «L'avaro non sarà mai sazio del suo denaro» (Sir 5,9).

 


[1] Cf S. Gregorio Nazianzeno, Oratio 40, 25: SC 358, 261 (PG 36, 398); Sant'Agostino, De diversis quaestionibus octogintatribus, 64, 4: CCL 44A, 140 (PL 40, 56).

[2] Cf Gv 7,37-39; Is 12,3; 51,1.

[3] Cf Gv 19,28; Zc 12,10; 13,1.

[4] Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 19: AAS 58 (1966) 1038-1039.

[5] SAN GREGORIO DI NISSA, Orationes de beatitudinibus, 6

[6] Cf Lc 12,50; 22,15; Mt 16,21-23