Fragilità, dal Catechismo della Chiesa Cattolica

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Se Dio Padre onnipotente, Creatore del mondo ordinato e buono, si prende cura di tutte le sue creature, perché esiste il male? A questo interrogativo tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna rapida risposta potrà bastare. È l'insieme della fede cristiana che costituisce la risposta a tale questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato, l'amore paziente di Dio che viene incontro all'uomo con le sue Alleanze, con l'Incarnazione redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con il radunare la Chiesa, con la forza dei sacramenti, con la vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero terribile, possono anche sottrarsi. Non c'è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al problema del male.

   

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Ma perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun male? Nella sua infinita potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di migliore. Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo «in stato di via» verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione.

   

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Dio è infinitamente buono e tutte le sue opere sono buone. Tuttavia nessuno sfugge all'esperienza della sofferenza, dei mali presenti nella natura – che appaiono legati ai limiti propri delle creature – e soprattutto al problema del male morale. Da dove viene il male? «Quaerebam unde malum et non erat exitus - Mi chiedevo donde il male, e non sapevo darmi risposta» dice sant'Agostino, [1] e la sua sofferta ricerca non troverà sbocco che nella conversione al Dio vivente. Infatti «il mistero dell'iniquità» (2 Ts 2,7) si illumina soltanto alla luce del «Mistero della pietà» (1 Tm 3,16). La rivelazione dell'amore divino in Cristo ha manifestato ad un tempo l'estensione del male e la sovrabbondanza della grazia. Dobbiamo, dunque, affrontare la questione dell'origine del male, tenendo fisso lo sguardo della nostra fede su colui che, solo, ne è il vincitore.

   

990
Il termine «carne» designa l'uomo nella sua condizione di debolezza e di mortalità. La «risurrezione della carne» significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell'anima immortale, ma che anche i nostri «corpi mortali» (Rm 8,11) riprenderanno vita.

   

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La conversione a Cristo, la nuova nascita dal Battesimo, il dono dello Spirito Santo, il Corpo e il Sangue di Cristo ricevuti in nutrimento, ci hanno resi «santi e immacolati al suo cospetto» (Ef 1,4), come la Chiesa stessa, sposa di Cristo, è «santa e immacolata» (Ef5,27) davanti a lui. Tuttavia, la vita nuova ricevuta nell'iniziazione cristiana non ha soppresso la fragilità e la debolezza della natura umana, né l'inclinazione al peccato che la tradizione chiama concupiscenza, la quale rimane nei battezzati perché sostengano le loro prove nel combattimento della vita cristiana, aiutati dalla grazia di Cristo. Si tratta del combattimento della conversione in vista della santità e della vita eterna alla quale il Signore non cessa di chiamarci.

   

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La Chiesa insegna che ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio – non è «prodotta» dai genitori – ed è immortale: essa non perisce al momento della sua separazione dal corpo nella morte, e di nuovo si unirà al corpo al momento della risurrezione finale.

   

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«Nelle sue molteplici forme – spogliamento materiale, ingiusta oppressione, malattie fisiche e psichiche, e infine la morte – la miseria umana è il segno evidente della naturale condizione di debolezza, in cui l'uomo si trova dopo il primo peccato, e del suo bisogno di salvezza. E per questo che essa ha attirato la compassione di Cristo Salvatore, il quale ha voluto prenderla su di sé, e identificarsi con "i più piccoli tra i fratelli". E pure per questo che gli oppressi dalla miseria sono oggetto di un amore di preferenza da parte della Chiesa, la quale, fin dalle origini, malgrado l'infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili». [2]

   

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Ora, però, «camminiamo nella fede e non ancora in visione» (2 Cor 5,7), e conosciamo Dio «come in uno specchio, in maniera confusa..., in modo imperfetto» (1 Cor 13,12). La fede, luminosa a motivo di Colui nel quale crede, sovente è vissuta nell'oscurità. La fede può essere messa alla prova. Il mondo nel quale viviamo pare spesso molto lontano da ciò di cui la fede ci dà la certezza; le esperienze del male e della sofferenza, delle ingiustizie e della morte sembrano contraddire la Buona Novella, possono far vacillare la fede e diventare per essa una tentazione.

 

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La fede in Dio Padre onnipotente può essere messa alla prova dall'esperienza del male e della sofferenza. Talvolta Dio può sembrare assente ed incapace di impedire il male. Ora, Dio Padre ha rivelato nel modo più misterioso la sua onnipotenza nel volontario abbassamento e nella Risurrezione del Figlio suo per mezzo dei quali ha vinto il male. Cristo crocifisso è quindi «potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1,24-25). Nella Risurrezione e nella esaltazione di Cristo il Padre ha dispiegato «l'efficacia della sua forza» e ha manifestato «la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti» (Ef 1,19-22).

 

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Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua Provvidenza onnipotente, può trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue creature: «Non siete stati voi», dice Giuseppe ai suoi fratelli, «a mandarmi qui, ma Dio; ... se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene... per far vivere un popolo numeroso» (Gn 45,8; 50,20). Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra Redenzione. Con ciò però, il male non diventa un bene.

 

 



[1] SANT'AGOSTINO, Confessiones, 7, 7, 11.
[2] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Libertatis conscientia, 68.