Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti

Papa Giovanni Paolo II
4 aprile 1999

 

A quanti con appassionata dedizione
cercano nuove «epifanie» della bellezza
per farne dono al mondo
nella creazione artistica
.

«Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1, 31).

 

L'artista, immagine di Dio Creatore

1. Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all'alba della creazione, guardò all'opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme, avete ammirato l'opera del vostro estro, avvertendovi quasi l'eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi.

Per questo mi è sembrato non ci fossero parole più appropriate di quelle della Genesi per iniziare questa mia Lettera a voi, ai quali mi sento legato da esperienze che risalgono molto indietro nel tempo ed hanno segnato indelebilmente la mia vita. Con questo scritto intendo mettermi sulla strada di quel fecondo colloquio della Chiesa con gli artisti che in duemila anni di storia non si è mai interrotto, e si prospetta ancora ricco di futuro alle soglie del terzo millennio.

In realtà, si tratta di un dialogo non dettato solamente da circostanze storiche o da motivi funzionali, ma radicato nell'essenza stessa sia dell'esperienza religiosa che della creazione artistica. La pagina iniziale della Bibbia ci presenta Dio quasi come il modello esemplare di ogni persona che produce un'opera: nell'uomo artefice si rispecchia la sua immagine di Creatore. Questa relazione è evocata con particolare evidenza nella lingua polacca, grazie alla vicinanza lessicale fra le parole stwórca (creatore) e twórca (artefice).

Qual è la differenza tra «creatore» ed «artefice?» Chi crea dona l'essere stesso, trae qualcosa dal nulla - ex nihilo sui et subiecti, si usa dire in latino - e questo, in senso stretto, è modo di procedere proprio soltanto dell'Onnipotente. L'artefice, invece, utilizza qualcosa di già esistente, a cui dà forma e significato. Questo modo di agire è peculiare dell'uomo in quanto immagine di Dio. Dopo aver detto, infatti, che Dio creò l'uomo e la donna «a sua immagine» (cfr Gn 1, 27), la Bibbia aggiunge che affidò loro il compito di dominare la terra (cfr Gn 1, 28). Fu l'ultimo giorno della creazione (cfr Gn 1, 28-31). Nei giorni precedenti, quasi scandendo il ritmo dell'evoluzione cosmica, Jahvé aveva creato l'universo. Al termine creò l'uomo, il frutto più nobile del suo progetto, al quale sottomise il mondo visibile, come immenso campo in cui esprimere la sua capacità inventiva.

Dio ha, dunque, chiamato all'esistenza l'uomo trasmettendogli il compito di essere artefice. Nella «creazione artistica» l'uomo si rivela più che mai «immagine di Dio», e realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda «materia» della propria umanità e poi anche esercitando un dominio creativo sull'universo che lo circonda. L'Artista divino, con amorevole condiscendenza, trasmette una scintilla della sua trascendente sapienza all'artista umano, chiamandolo a condividere la sua potenza creatrice. E ovviamente una partecipazione, che lascia intatta l'infinita distanza tra il Creatore e la creatura, come sottolineava il Cardinale Nicolò Cusano: «L'arte creativa, che l'anima ha la fortuna di ospitare, non s'identifica con quell'arte per essenza che è Dio, ma di essa è soltanto una comunicazione ed una partecipazione».[1]

Per questo l'artista, quanto più consapevole del suo «dono», tanto più è spinto a guardare a se stesso e all'intero creato con occhi capaci di contemplare e ringraziare, elevando a Dio il suo inno di lode. Solo così egli può comprendere a fondo se stesso, la propria vocazione e la propria missione.

La speciale vocazione dell'artista

2. Non tutti sono chiamati ad essere artisti nel senso specifico del termine. Secondo l'espressione della Genesi, tuttavia, ad ogni uomo è affidato il compito di essere artefice della propria vita: in un certo senso, egli deve farne un'opera d'arte, un capolavoro.

È importante cogliere la distinzione, ma anche la connessione, tra questi due versanti dell'attività umana. La distinzione è evidente. Una cosa, infatti, è la disposizione grazie alla quale l'essere umano è l'autore dei propri atti ed è responsabile del loro valore morale, altra cosa è la disposizione per cui egli è artista, sa agire cioè secondo le esigenze dell'arte, accogliendone con fedeltà gli specifici dettami. Per questo l'artista è capace di produrre oggetti, ma ciò, di per sé, non dice ancora nulla delle sue disposizioni morali. Qui, infatti, non si tratta di plasmare se stesso, di formare la propria personalità, ma soltanto di mettere a frutto capacità operative, dando forma estetica alle idee concepite con la mente.

Ma se la distinzione è fondamentale, non meno importante è la connessione tra queste due disposizioni, la morale e l'artistica. Esse si condizionano reciprocamente in modo profondo. Nel modellare un'opera, l'artista esprime di fatto se stesso a tal punto che la sua produzione costituisce un riflesso singolare del suo essere, di ciò che egli è e di come lo è. Ciò trova innumerevoli conferme nella storia dell'umanità. L'artista, infatti, quando plasma un capolavoro, non soltanto chiama in vita la sua opera, ma per mezzo di essa, in un certo modo, svela anche la propria personalità. Nell'arte egli trova una dimensione nuova e uno straordinario canale d'espressione per la sua crescita spirituale. Attraverso le opere realizzate, l'artista parla e comunica con gli altri. La storia dell'arte, perciò, non è soltanto storia di opere, ma anche di uomini. Le opere d'arte parlano dei loro autori, introducono alla conoscenza del loro intimo e rivelano l'originale contributo da essi offerto alla storia della cultura.

La vocazione artistica a servizio della bellezza

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Cyprian Kamil Norwid, (Laskowo-Głuchy, 1821 – Parigi, 1883), è stato un poeta, drammaturgo, pittore e scultore polacco

3. Scrive un noto poeta polacco, Cyprian Norwid: «La bellezza è per entusiasmare al lavoro, il lavoro è per risorgere».[2]

Il tema della bellezza è qualificante per un discorso sull'arte. Esso si è già affacciato, quando ho sottolineato lo sguardo compiaciuto di Dio di fronte alla creazione. Nel rilevare che quanto aveva creato era cosa buona, Dio vide anche che era cosa bella. Il rapporto tra buono e bello suscita riflessioni stimolanti. La bellezza è in un certo senso l'espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza. Lo avevano ben capito i Greci che, fondendo insieme i due concetti, coniarono una locuzione che li abbraccia entrambi: «kalokagathía» , ossia «bellezza-bontà». Platone scrive al riguardo: «La potenza del Bene si è rifugiata nella natura del Bello».[3]

E vivendo ed operando che l'uomo stabilisce il proprio rapporto con l'essere, con la verità e con il bene. L'artista vive una peculiare relazione con la bellezza. In un senso molto vero si può dire che la bellezza è la vocazione a lui rivolta dal Creatore col dono del «talento artistico». E, certo, anche questo è un talento da far fruttare, nella logica della parabola evangelica dei talenti (cfr Mt 25, 14-30).

Tocchiamo qui un punto essenziale. Chi avverte in sé questa sorta di scintilla divina che è la vocazione artistica - di poeta, di scrittore, di pittore, di scultore, di architetto, di musicista, di attore... - avverte al tempo stesso l'obbligo di non sprecare questo talento, ma di svilupparlo, per metterlo a servizio del prossimo e di tutta l'umanità.

L'artista ed il bene comune

4. La società, in effetti, ha bisogno di artisti, come ha bisogno di scienziati, di tecnici, di lavoratori, di professionisti, di testimoni della fede, di maestri, di padri e di madri, che garantiscano la crescita della persona e lo sviluppo della comunità attraverso quell'altissima forma di arte che è «l'arte educativa». Nel vasto panorama culturale di ogni nazione, gli artisti hanno il loro specifico posto. Proprio mentre obbediscono al loro estro, nella realizzazione di opere veramente valide e belle, essi non solo arricchiscono il patrimonio culturale di ciascuna nazione e dell'intera umanità, ma rendono anche un servizio sociale qualificato a vantaggio del bene comune.

La differente vocazione di ogni artista, mentre determina l'ambito del suo servizio, indica i compiti che deve assumersi, il duro lavoro a cui deve sottostare, la responsabilità che deve affrontare. Un artista consapevole di tutto ciò sa anche di dover operare senza lasciarsi dominare dalla ricerca di gloria fatua o dalla smania di una facile popolarità, ed ancor meno dal calcolo di un possibile profitto personale. C'è dunque un'etica, anzi una «spiritualità» del servizio artistico, che a suo modo contribuisce alla vita e alla rinascita di un popolo. Proprio a questo sembra voler alludere Cyprian Norwid quando afferma: «La bellezza è per entusiasmare al lavoro, il lavoro è per risorgere».

L'arte davanti al mistero del Verbo incarnato

5. La Legge dell'Antico Testamento presenta un esplicito divieto di raffigurare Dio invisibile ed inesprimibile con l'aiuto di «un'immagine scolpita o di metallo fuso» (Dt 27, 15), perché Dio trascende ogni raffigurazione materiale: «Io sono colui che sono» (Es 3, 14). Nel mistero dell'Incarnazione, tuttavia, il Figlio di Dio in persona si è reso visibile: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna» (Gal 4, 4). Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo, il quale è diventato così «il centro a cui riferirsi per poter comprendere l'enigma dell'esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso».[4]

Questa fondamentale manifestazione del «Dio-Mistero» si pose come incoraggiamento e sfida per i cristiani, anche sul piano della creazione artistica. Ne è scaturita una fioritura di bellezza che proprio da qui, dal mistero dell'Incarnazione, ha tratto la sua linfa. Facendosi uomo, infatti, il Figlio di Dio ha introdotto nella storia dell'umanità tutta la ricchezza evangelica della verità e del bene, e con essa ha svelato anche una nuova dimensione della bellezza: il messaggio evangelico ne è colmo fino all'orlo.

La Sacra Scrittura è diventata così una sorta di «immenso vocabolario» (P. Claudel) e di «atlante iconografico» (M. Chagall), a cui hanno attinto la cultura e l'arte cristiana. Lo stesso Antico Testamento, interpretato alla luce del Nuovo, ha manifestato filoni inesauribili di ispirazione. A partire dai racconti della creazione, del peccato, del diluvio, del ciclo dei Patriarchi, degli eventi dell'esodo, fino a tanti altri episodi e personaggi della storia della salvezza, il testo biblico ha acceso l'immaginazione di pittori, poeti, musicisti, autori di teatro e di cinema. Una figura come quella di Giobbe, per fare solo un esempio, con la sua bruciante e sempre attuale problematica del dolore, continua a suscitare insieme l'interesse filosofico e quello letterario ed artistico. E che dire poi del Nuovo Testamento? Dalla Natività al Golgota, dalla Trasfigurazione alla Risurrezione, dai miracoli agli insegnamenti di Cristo, fino agli eventi narrati negli Atti degli Apostoli o prospettati dall'Apocalisse in chiave escatologica, innumerevoli volte la parola biblica si è fatta immagine, musica, poesia, evocando con il linguaggio dell'arte il mistero del «Verbo fatto carne».

Nella storia della cultura tutto ciò costituisce un ampio capitolo di fede e di bellezza. Ne hanno beneficiato soprattutto i credenti per la loro esperienza di preghiera e di vita. Per molti di essi, in epoche di scarsa alfabetizzazione, le espressioni figurative della Bibbia rappresentarono persino una concreta mediazione catechetica. Ma per tutti, credenti e non, le realizzazioni artistiche ispirate alla Scrittura rimangono un riflesso del mistero insondabile che avvolge ed abita il mondo.

Tra Vangelo ed arte un'alleanza feconda

6. In effetti, ogni autentica intuizione artistica va oltre ciò che percepiscono i sensi e, penetrando la realtà, si sforza di interpretarne il mistero nascosto. Essa scaturisce dal profondo dell'animo umano, là dove l'aspirazione a dare un senso alla propria vita si accompagna alla percezione fugace della bellezza e della misteriosa unità delle cose. Un'esperienza condivisa da tutti gli artisti è quella del divario incolmabile che esiste tra l'opera delle loro mani, per quanto riuscita essa sia, e la perfezione folgorante della bellezza percepita nel fervore del momento creativo: quanto essi riescono ad esprimere in ciò che dipingono, scolpiscono, creano non è che un barlume di quello splendore che è balenato per qualche istante davanti agli occhi del loro spirito.

Di questo il credente non si meraviglia: egli sa di essersi affacciato per un attimo su quell'abisso di luce che ha in Dio la sua sorgente originaria. C'è forse da stupirsi se lo spirito ne resta come sopraffatto al punto da non sapersi esprimere che con balbettamenti? Nessuno più del vero artista è pronto a riconoscere il suo limite ed a far proprie le parole dell'apostolo Paolo, secondo il quale Dio «non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo», così che «non dobbiamo pensare che la Divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'immaginazione umana» (At 17,24.29). Se già l'intima realtà delle cose sta sempre «al di là» delle capacità di penetrazione umana, quanto più Dio nelle profondità del suo insondabile mistero!

Di altra natura è la conoscenza di fede: essa suppone un incontro personale con Dio in Gesù Cristo. Anche questa conoscenza, tuttavia, può trarre giovamento dall'intuizione artistica. Modello eloquente di una contemplazione estetica che si sublima nella fede sono, ad esempio, le opere del Beato Angelico. Non meno significativa è, a questo proposito, la lauda estatica, che san Francesco d'Assisi ripete due volte nella chartula redatta dopo aver ricevuto sul monte della Verna le stimmate di Cristo: «Tu sei bellezza... Tu sei bellezza!».[5] San Bonaventura commenta: «Contemplava nelle cose belle il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto».[6]

Un approccio non dissimile si riscontra nella spiritualità orientale, ove Cristo è qualificato come «il Bellissimo di bellezza più di tutti i mortali».[7] Macario il Grande commenta così la bellezza trasfigurante e liberatrice del Risorto: «L'anima che è stata pienamente illuminata dalla bellezza indicibile della gloria luminosa del volto di Cristo, è ricolma dello Spirito Santo... è tutta occhio, tutta luce, tutta volto».[8]

Ogni forma autentica d'arte è, a suo modo, una via d'accesso alla realtà più profonda dell'uomo e del mondo. Come tale, essa costituisce un approccio molto valido all'orizzonte della fede, in cui la vicenda umana trova la sua interpretazione compiuta. Ecco perché la pienezza evangelica della verità non poteva non suscitare fin dall'inizio l'interesse degli artisti, sensibili per loro natura a tutte le manifestazioni dell'intima bellezza della realtà.

[…]

Nello spirito del Concilio Vaticano II

11. Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi di un rinnovato rapporto fra la Chiesa e la cultura, con immediati riflessi anche per il mondo dell'arte. E un rapporto che si propone nel segno dell'amicizia, dell'apertura e del dialogo. Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes i Padri conciliari hanno sottolineato la «grande importanza» della letteratura e delle arti nella vita dell'uomo: «Esse si sforzano, infatti, di conoscere l'indole propria dell'uomo, i suoi problemi e la sua esperienza, nello sforzo di conoscere e perfezionare se stesso e il mondo; si preoccupano di scoprire la sua situazione nella storia e nell'universo, di illustrare le sue miserie e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue capacità, e di prospettare una migliore condizione dell'uomo».[9]

Su questa base, a conclusione del Concilio, i Padri hanno rivolto agli artisti un saluto e un appello: «Questo mondo - hanno detto - nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza, per non cadere nella disperazione. La bellezza, come la verità, mette la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell'ammirazione».[10] Appunto in questo spirito di profonda stima per la bellezza, la Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium aveva ricordato la storica amicizia della Chiesa per l'arte, e parlando più specificamente dell'arte sacra, «vertice» dell'arte religiosa, non aveva esitato a considerare «nobile ministero» quello degli artisti quando le loro opere sono capaci di riflettere, in qualche modo, l'infinita bellezza di Dio, e indirizzare a lui le menti degli uomini.[11] Anche grazie al loro contributo « la conoscenza di Dio viene meglio manifestata e la predicazione evangelica si rende più trasparente all'intelligenza degli uomini».[12] Alla luce di ciò, non sorprende l'affermazione del P. Marie Dominique Chenu, secondo cui lo stesso storico della teologia farebbe opera incompleta, se non riservasse la dovuta attenzione alle realizzazioni artistiche, sia letterarie che plastiche, che costituiscono, a loro modo, «non soltanto delle illustrazioni estetiche, ma dei veri “luoghi” teologici».[13]

La Chiesa ha bisogno dell'arte

12. Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell'arte. Essa deve, infatti, rendere percepibile e, anzi, per quanto possibile, affascinante il mondo dello spirito, dell'invisibile, di Dio. Deve dunque trasferire in formule significative ciò che è in se stesso ineffabile. Ora, l'arte ha una capacità tutta sua di cogliere l'uno o l'altro aspetto del messaggio traducendolo in colori, forme, suoni che assecondano l'intuizione di chi guarda o ascolta. E questo senza privare il messaggio stesso del suo valore trascendente e del suo alone di mistero.

La Chiesa ha bisogno, in particolare, di chi sappia realizzare tutto ciò sul piano letterario e figurativo, operando con le infinite possibilità delle immagini e delle loro valenze simboliche. Cristo stesso ha utilizzato ampiamente le immagini nella sua predicazione, in piena coerenza con la scelta di diventare egli stesso, nell'Incarnazione, icona del Dio invisibile.

La Chiesa ha bisogno, altresì, dei musicisti. Quante composizioni sacre sono state elaborate nel corso dei secoli da persone profondamente imbevute del senso del mistero! Innumerevoli credenti hanno alimentato la loro fede alle melodie sbocciate dal cuore di altri credenti e divenute parte della liturgia o almeno aiuto validissimo al suo decoroso svolgimento. Nel canto la fede si sperimenta come esuberanza di gioia, di amore, di fiduciosa attesa dell'intervento salvifico di Dio.

La Chiesa ha bisogno di architetti, perché ha bisogno di spazi per riunire il popolo cristiano e per celebrare i misteri della salvezza. Dopo le terribili distruzioni dell'ultima guerra mondiale e l'espansione delle metropoli, una nuova generazione di architetti si è cimentata con le istanze del culto cristiano, confermando la capacità di ispirazione che il tema religioso possiede anche rispetto ai criteri architettonici del nostro tempo. Non di rado, infatti, si sono costruiti templi che sono, insieme, luoghi di preghiera ed autentiche opere d'arte.

L'arte ha bisogno della Chiesa?

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Interni della Sagrada Familia, Barcellona progettata da Antonio Gaudì

13. La Chiesa, dunque, ha bisogno dell'arte. Si può dire anche che l'arte abbia bisogno della Chiesa? La domanda può apparire provocatoria. In realtà, se intesa nel giusto senso, ha una sua motivazione legittima e profonda. L'artista è sempre alla ricerca del senso recondito delle cose, il suo tormento è di riuscire ad esprimere il mondo dell'ineffabile. Come non vedere allora quale grande sorgente di ispirazione possa essere per lui quella sorta di patria dell'anima che è la religione? Non è forse nell'ambito religioso che si pongono le domande personali più importanti e si cercano le risposte esistenziali definitive?

Di fatto, il soggetto religioso è fra i più trattati dagli artisti di ogni epoca. La Chiesa ha fatto sempre appello alle loro capacità creative per interpretare il messaggio evangelico e la sua concreta applicazione nella vita della comunità cristiana. Questa collaborazione è stata fonte di reciproco arricchimento spirituale. In definitiva ne ha tratto vantaggio la comprensione dell'uomo, della sua autentica immagine, della sua verità. E emerso anche il peculiare legame esistente tra l'arte e la rivelazione cristiana. Ciò non vuol dire che il genio umano non abbia trovato suggestioni stimolanti anche in altri contesti religiosi. Basti ricordare l'arte antica, specialmente quella greca e romana, e quella ancora fiorente delle antichissime civiltà dell'Oriente. Resta vero, tuttavia, che il cristianesimo, in virtù del dogma centrale dell'incarnazione del Verbo di Dio, offre all'artista un orizzonte particolarmente ricco di motivi di ispirazione. Quale impoverimento sarebbe per l'arte l'abbandono del filone inesauribile del Vangelo!

 

Appello agli artisti

14. Con questa Lettera mi rivolgo a voi, artisti del mondo intero, per confermarvi la mia stima e per contribuire al riannodarsi di una più proficua cooperazione tra l'arte e la Chiesa. Il mio è un invito a riscoprire la profondità della dimensione spirituale e religiosa che ha caratterizzato in ogni tempo l'arte nelle sue più nobili forme espressive. E in questa prospettiva che io faccio appello a voi, artisti della parola scritta e orale, del teatro e della musica, delle arti plastiche e delle più moderne tecnologie di comunicazione. Faccio appello specialmente a voi, artisti cristiani: a ciascuno vorrei ricordare che l'alleanza stretta da sempre tra Vangelo ed arte, al di là delle esigenze funzionali, implica l'invito a penetrare con intuizione creativa nel mistero del Dio incarnato e, al contempo, nel mistero dell'uomo.

Ogni essere umano, in un certo senso, è sconosciuto a se stesso. Gesù Cristo non soltanto rivela Dio, ma «svela pienamente l'uomo all'uomo».[14] In Cristo Dio ha riconciliato a sé il mondo. Tutti i credenti sono chiamati a rendere questa testimonianza; ma tocca a voi, uomini e donne che avete dedicato all'arte la vostra vita, dire con la ricchezza della vostra genialità che in Cristo il mondo è redento: è redento l'uomo, è redento il corpo umano, è redenta l'intera creazione, di cui san Paolo ha scritto che «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio» (Rm 8, 19). Essa aspetta la rivelazione dei figli di Dio anche mediante l'arte e nell'arte. E questo il vostro compito. A contatto con le opere d'arte, l'umanità di tutti i tempi - anche quella di oggi - aspetta di essere illuminata sul proprio cammino e sul proprio destino.

Spirito creatore ed ispirazione artistica

15. Nella Chiesa risuona spesso l'invocazione allo Spirito Santo: Veni, Creator Spiritus . . . - «Vieni, o Spirito creatore, visita le nostre menti, riempi della tua grazia i cuori che hai creato».[15]

Lo Spirito Santo, «il Soffio» (ruah), è Colui a cui fa cenno già il Libro della Genesi: «La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque» (1,2). Quanta affinità esiste tra le parole «soffio - spirazione» e «ispirazione»! Lo Spirito è il misterioso artista dell'universo. Nella prospettiva del terzo millennio, vorrei augurare a tutti gli artisti di poter ricevere in abbondanza il dono di quelle ispirazioni creative da cui prende inizio ogni autentica opera d'arte.

Cari artisti, voi ben lo sapete, molti sono gli stimoli, interiori ed esteriori, che possono ispirare il vostro talento. Ogni autentica ispirazione, tuttavia, racchiude in sé qualche fremito di quel «soffio» con cui lo Spirito creatore pervadeva sin dall'inizio l'opera della creazione. Presiedendo alle misteriose leggi che governano l'universo, il divino soffio dello Spirito creatore s'incontra con il genio dell'uomo e ne stimola la capacità creativa. Lo raggiunge con una sorta di illuminazione interiore, che unisce insieme l'indicazione del bene e del bello, e risveglia in lui le energie della mente e del cuore rendendolo atto a concepire l'idea e a darle forma nell'opera d'arte. Si parla allora giustamente, se pure analogicamente, di « momenti di grazia », perché l'essere umano ha la possibilità di fare una qualche esperienza dell'Assoluto che lo trascende.

La «Bellezza» che salva

16. Sulla soglia ormai del terzo millennio, auguro a tutti voi, artisti carissimi, di essere raggiunti da queste ispirazioni creative con intensità particolare. La bellezza che trasmetterete alle generazioni di domani sia tale da destare in esse lo stupore! Di fronte alla sacralità della vita e dell'essere umano, di fronte alle meraviglie dell'universo, l'unico atteggiamento adeguato è quello dello stupore.

Da qui, dallo stupore, potrà scaturire quell'entusiasmo di cui parla Norwid nella poesia a cui mi riferivo all'inizio. Di questo entusiasmo hanno bisogno gli uomini di oggi e di domani per affrontare e superare le sfide cruciali che si annunciano all'orizzonte. Grazie ad esso l'umanità, dopo ogni smarrimento, potrà ancora rialzarsi e riprendere il suo cammino. In questo senso è stato detto con profonda intuizione che «la bellezza salverà il mondo».[16]

La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente. E invito a gustare la vita e a sognare il futuro. Per questo la bellezza delle cose create non può appagare, e suscita quell'arcana nostalgia di Dio che un innamorato del bello come sant'Agostino ha saputo interpretare con accenti ineguagliabili: «Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato!».[17]

I vostri molteplici sentieri, artisti del mondo, possano condurre tutti a quell'Oceano infinito di bellezza dove lo stupore si fa ammirazione, ebbrezza, indicibile gioia.

Vi orienti ed ispiri il mistero del Cristo risorto, della cui contemplazione gioisce in questi giorni la Chiesa.

Vi accompagni la Vergine Santa, la «tutta bella» che innumerevoli artisti hanno effigiato e il sommo Dante contempla negli splendori del Paradiso come «bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi».[18]

«Emerge dal caos il mondo dello spirito»! Dalle parole che Adam Mickiewicz scriveva in un momento di grande travaglio per la patria polacca [19] traggo un auspicio per voi: la vostra arte contribuisca all'affermarsi di una bellezza autentica che, quasi riverbero dello Spirito di Dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi al senso dell'eterno.

Con i miei auguri più cordiali!

Dal Vaticano, 4 aprile 1999, Pasqua di Risurrezione.

 


[1] Nicolò Cusano, Dialogus de ludo globi, libro II (Philosophisch-Theologische Schriften, Wien 1967, III, p. 332).
[2] Cyprian Norwid, Promethidion: Bogumil, vv. 185-186 (Pisma wybrane, Warszawa 1968, vol. 2, p. 216).
[3] Platone, Filebo, 65 A.
[4] Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 67.
[5] Francesco di Assisi, Lodi di Dio altissimo, vv. 7 e 10 (Fonti Francescane, n. 261. Padova 1982, p. 177).
[6] Bonaventura di Bagnoregio, Legenda maior, IX, 1 (Fonti Francescane, n. 1162, l.c., p. 911).
[7] Enkomia dell'Orthós del Santo e Grande Sabato.
[8] Macario il Grande, Omelia I, 2 (PG 34, 451).
[9] Concilio Vaticano II, Gaudium et spes,  n. 62.
[10] Paolo VI, Messaggio agli artisti, 8 dicembre 1965.
[11] Cfr Concilio Vaticano II, Sacrosantum Conciulium, n. 122.
[12] Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 62.
[13] M. D. Chenu, La teologia nel XII secolo, Milano 1992, p. 9.
[14] Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 22.
[15] Inno ai Vespri di Pentecoste.
[16] F. Dostoevskij, L'Idiota, P. III, cap. V, Milano 1998, p. 645.
[17] Agostino di Ippona, Confessioni 10, 27.
[18] Paradiso XXXI, 134-135.
[19] Adam Mickiewicz, Oda do młodosci, v. 69 (Wybór poezji, Wrocław 1986, vol. I, p. 63).