“Vieni, andiamo per il nostro popolo”. Sono queste le parole rivolte da Edith Stein (1891-1942) alla sorella Rosa al momento della loro cattura da parte della Gestapo nel monastero del Carmelo di Echt, in Olanda. Chi è questa giovane donna, che viene arrestata e deportata nel campo di concentramento di Auschwitz, dove troverà la morte? Lo sguardo determinato, il volto incorniciato dal velo dell’abito monastico, sul volto la sicurezza di chi è consapevole della propria dignità e, per rimanere fedele alla propria identità, è disposto a ogni sacrificio.
Edith Stein nasce a Breslavia in una famiglia ebraica molto numerosa, ultima di undici fratelli. Perde precocemente il padre e viene allevata dalla madre, di cui però Edith non riesce a condividere la fede in Dio: ben presto si professa atea. La sua attenzione è attratta dalla riflessione filosofica, ambito nel quale riporta risultati eccellenti, sfidando la realtà dell’epoca che voleva la donna relegata in luoghi lontani dalla vita accademica. Allieva e assistente del filosofo tedesco Edmund Husserl, Edith Stein si dedica allo studio del fenomeno dell’empatia, diventando una delle principali esponenti dell’orientamento filosofico noto come fenomenologia. Questo metodo filosofico propone un’analisi del modo in cui la coscienza fa esperienza delle cose (o meglio dei ‘fenomeni’, dal greco phainomai, apparire) e propone un ritorno al realismo, vale a dire al riconoscimento dell’indipendenza della realtà dal soggetto che la percepisce. Ma la realtà è più vasta dei libri e delle teorie: la ricerca di Edith non si ferma entro i limiti della filosofia e comincia a dirigerla verso l’esperienza religiosa.
È la vita stessa che conduce Edith a interrogarsi sull’esistenza di quel Dio che aveva abbandonato ancora giovane. Un giorno vede una donna, con le buste della spesa, entrare in una chiesa: "Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l'accaduto". Determinante sarà, nella vita di Edith, un episodio accaduto nella primavera del 1921. Un gruppo di amici alloggia in vacanza. Alla sera decidono di uscire per prendere parte ad una festa. Edith non ne ha voglia e decide di restare, sola, nella casa che ospitava il gruppo. Comincia a sbirciare nella libreria del soggiorno e trova, insieme a molti altri libri, un piccolo volume che la incuriosisce: è l’autobiografia di santa Teresa d’Avila, mistica spagnola del Cinquecento. Edith ha 30 anni, è ricercatrice di filosofa ed è atea, sebbene sappia cosa sia il cristianesimo e da alcuni anni ne studi alcuni autori: Agostino di Ippona, Ignazio di Loyola, Kierkegaard. Quel libro la terrà sveglia tutta la notte. Lo leggerà da cima a fondo. All’alba dichiara: “ho trovato la verità”. Edith approfondisce, studia, medita e infine chiede di essere battezzata. Riceverà il battesimo il 1 gennaio del 1922, avendo come madrina un’altra filosofa della medesima scuola fenomenologica, Edwige Conrad-Martius. “Avevo cessato di praticare la mia religione ebraica e mi sentivo nuovamente ebrea solo dopo il mio ritorno a Dio”, dirà Edith, che nella conversione al cristianesimo sente di aver coerentemente mantenuto la propria origine ebraica. Ella sente forte la sua identità, l’appartenenza al suo popolo; un popolo, quello ebraico, la cui fede non rinnega, ma recupera e vede adesso compiuta nel cristianesimo.
Edith continua la sua attività filosofica. Pur non essendo abilitata all’insegnamento universitario in quanto donna, svolge un’intensa attività didattica e di ricerca, studiando, scrivendo e traducendo opere filosofiche. L’avanzata del nazismo, però, la costringe ad abbandonare il ruolo di docente presso Istituto di Pedagogia Scientifica di Münster. Nel 1933, quando il nazismo è ormai salito al potere, Edith entra nell’ordine religioso del Carmelo, assumendo il nome di Teresa Benedetta della Croce. La sua vita di preghiera si fonde con la sua ricerca e scrive due opere che verranno poi pubblicate postume, dopo la sua morte, Scientia Crucis ed Essere finito ed essere eterno. La situazione politica in Germania diventa sempre più critica ed Edith, essendo di stirpe ebraica sa di rischiare la vita. Le autorità ecclesiastiche la invitano a rifugiarsi all’estero. Edith lascia il Paese per rifugiarsi nel Carmelo di Echt, in Olanda, insieme a sua sorella Rosa, dove verrà arrestata il 2 agosto 1942 e deportata ad Auschwitz, dove verrà uccisa pochi giorni dopo, il 9 agosto. Un sopravvissuto ebreo testimoniò: “Fra i prigionieri che mi furono consegnati il 5 agosto, mi colpì Teresa Benedetta per la sua grande calma e per la pace che diffondeva intorno a sé… l’angoscia dei nuovi arrivati nel campo era indescrivibile… Molte mamme erano vicine ad impazzire… Teresa Benedetta si interessava dei loro poveri bambini, li lavava, li pettinava, cercava il cibo per loro… Durante il tempo della sua permanenza nel campo si dedicò a lavare e a fare pulizia, occupandosi continuamente in opere di carità…”.
Donna e militante della causa per i diritti delle donne, ebrea, poi atea, filosofa, infine cristiana e religiosa: il percorso di Edith Stein, ricco di esperienze differenti, deve essere sembrato ai suoi contemporanei talvolta difficile da comprendere, forse addirittura contraddittorio. Non così per lei, che ha visto realizzarsi gradualmente il proprio percorso in una maniera misteriosa ma coerente: "Ciò che non era nei miei piani – afferma – era nei piani di Dio. In me prende vita la profonda convinzione che – visto dal lato di Dio – non esiste il caso; tutta la mia vita, fino ai minimi particolari, è già tracciata nei piani della provvidenza divina e davanti agli occhi assolutamente veggenti di Dio presenta una correlazione perfettamente compiuta". Questa consapevolezza del proprio percorso di vita, fino alla definizione della propria identità in relazione con il progetto di Dio su di lei, la porta ad abbracciare il destino riservato ai membri del suo popolo, il popolo ebraico, al quale fino alla fine rivendicò di appartenere, rinunciando di sfruttare la sua appartenenza a un ordine religioso per sfuggire alle persecuzioni naziste. "Ci inchiniamo profondamente di fronte alla testimonianza della vita e della morte di Edith Stein, illustre figlia di Israele e allo stesso tempo figlia del Carmelo”: furono queste le parole pronunciate da Giovanni Paolo II a Colonia il 1° maggio 1987 in occasione della sua beatificazione. Santa Teresa Benedetta della Croce verrà dichiarata santa qualche anno dopo, l’11 ottobre del 1998 e il 1° ottobre 1999 patrona d’Europa. Un’Europa pluralista, aperta all’apporto delle diverse culture e tradizioni, ma alla cui identità Edith Stein ha cooperato, affermando la propria, senza conflitti, nella pace, come ebrea e come cristiana.
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