Filosofia del metaverso tra gnosi e cyberpunk

Roberto Presilla
2022

L'annuncio dal tono profetico del fondatore di Facebook Mark  Zuckerberg punta a una nuova fase del cambiamento digitale, in cui connettere in modo permanente "virtuale" e "reale". Ma quanto c'è di nuovo? Una riflessione sul contesto culturale del metaverso.

Nel 2014 il fondatore di Facebook,  Mark Zuckerberg, annunciava di voler costruire il metaverso; nel 2021 ha trasformato la sua mega-compagnia in Meta, e Facebook  diventa un brand di Meta. Ma che cosa è il metaverso, l'idea su cui "Zuck" ha investito tutto il futuro della sua società? Chiunque abbia accesso a Wikipedia sa che l'uso dell'espressione viene dal romanzo Snow Crash di Neal  Stephenson (1992), uno degli autori preferiti da gente come Bill Gates, Sergey Brin e J. Allard (l'inventore della Xbox di Microsoft). In quel romanzo, il metaverso è un mondo virtuale in 3D, le cui esperienze virtuali si mescolano (integrano, sommano?) a quelle reali. L'opera di Stephenson è stata poi la fonte di ispirazione per i creatori di Second Life. Come ha sottolineato P. Flichy (The Social Imaginary of Virtual Worlds, in The Oxford Han dbook of Virtuality, Oxford University  Press Usa, 2014), la storia dell'arte mostra quanto sia fuorviante immaginare l'ispirazione del pittore X per il pittore Y come una  sorta di influsso passivamente subito. Più che essere la causa di Second Life, la storia e le atmosfere presentavano un immaginario che i creatori  hanno usato come ispirazione per il loro lavoro. Prima di Stephenson, è stato William Gibson (Neuromante, 1984) a essere ancora più "influente": la sua matrix è stata la fonte di ispirazione per i creatori  di reti digitali (internet compresa), fino a diventare una serie di film  di successo, che si servono di idee e atmosfere presenti nell'opera di  Gibson per costruire qualcosa di totalmente diverso.  Se si pensa che la letteratura cyberpunk viene convenzionalmente  identificata con le opere di pochi autori (oltre a Gibson  e Stephenson, è bene citare Bruce Sterling) condensate in pochi anni, ci si può chiedere  come facciano a  essere così influenti. La loro popolarità sembra in effetti  legata al fatto non tanto di rappresentare una voce critica  del progresso tecnologico, quanto di  esserne l'interprete, in un certo  senso, questi racconti cementano in universi letterari accattivanti forze storiche reali (la globalizzazione finanziaria, l'evoluzione tecnologica e l'indebolimento dei sistemi simbolici precedenti). Sono popolari perché raffigurano l'esito dei processi storici che ci hanno condotto al  punto in cui siamo; sono insomma figli del loro tempo piuttosto che padri di un tempo futuro. La loro fantascienza è molto vicina a noi, a cinque minuti dal tempo presente, di cui è in realtà una rappresentazione fedele, per quanto distopica. Poi, in sintonia con il fenomeno musicale da cui prende il nome, il cyberpunk ha dato consistenza a una subcultura interessante e ramificata, che fonde letteratura, fumetti, cartoni animati, film e videogiochi. È il tipo di esperienze che una sit-com come The Big Bang Theory ha presentato al grande pubblico e che fa riferimento anche  a un ampio  settore artistico giapponese (i manga Akira e Ghost in the Shell, con  i rispettivi franchise, la serie animata Cowboy Bebop). Se tutte queste opere costituiscono i milieu del metaverso, e se sono figlie dell'epoca della globalizzazione e del processo tecnologico, è difficile vedere nel metaverso stesso qualcosa che trascenda quest'epoca, un'apertura verso il futuro. Per un'idea più precisa si può fare ricorso alla definizione suggerita dal, sito metaverse roadmap.org: «Il metaverso è la convergenza di 1) realtà fisica migliorata virtualmente e 2) spazio virtuale persistente  fisicamente. È una fusione di entrambi, che permette agli utenti di farne esperienza nell'uno o nell'altro». Il filosofo può subito chiedere: sì, ma che cosa è, ti estì? In realtà queste definizioni al massimo ci fanno intuire che cosa potrebbe  essere il metaverso se funzionasse. Si ha quindi la sensazione che il metaverso sia anzitutto un grande  messaggio  pubblicitario oppure qualcosa che serve a costruire il racconto  di ciò che si sta facendo, piuttosto che qualcosa di "reale"

In effetti, Zuckerberg sceglie un tono "profetico" nella Founder's Letter, la"Lettera del fondatore", del 28 ottobre 2021, in cui annunciala nascita di Meta: il prossimo capitolo di internet sarà qualcosa in cui l'utente è dentro all'esperienza, non la guarda semplicemente. Il metaverso sarà definito da una qualità su tutte, la "presenza": insomma  si vuole puntare a un'esperienza che coinvolga l'utente allo stesso modo in cui la realtà fisica lo coinvolge. Passando per gli organi di senso, il movimento, eccetera, e superando i limiti della vista e delle codifiche testuali.

 

ll metaverso è virtuale?

Ormai sappiamo che il virtuale non è meno "reale": quando sento da  qualcuno che è meglio avere amicizie "reali" piuttosto che amicizie su Facebook, mi viene da sorridere. La differenza non è nel fatto che l'esperienza virtuale sia meno reale. Tutto ciò che riguarda il digitale è assolutamente reale: il tempo che si passa online non è meno reale del tempo impiegato in altro modo. Dal punto di vista soggettivo, insomma, c'è solo un modo di esperienza diverso, significativamente limitato dal punto di vista dello scambio sensoriale. Questo vale ovviamente per ogni tipo di esperienza: essere immersi nella lettura di  un libro affascinante, che cattura la nostra immaginazione, o perdersi nell'ascolto di una sinfonia sono comunque esperienze reali.

Il cambiamento digitale non porta a esperienze extra-reali, piuttosto ridefinisce il nostro concetto di realtà. Duecento anni fa una persona non avrebbe potuto avere il tipo di esperienze che abbiamo oggi, perché non aveva a disposizione gli strumenti e le conoscenze che abbiamo. l'esperienza muta con il passare del tempo: che cosa provavano i partecipanti ai Misteri Eleusini? La nostra comprensione di quel tipo di eventi passa, ad esempio, attraverso ipotesi che collegano la partecipazione all'assunzione di sostanze psicoattive. Per noi quell'esperienza può essere reale solo se possiamo farcene una ragione, se possiamo individuare una spiegazione del perché la gente partecipasse e credesse ai Misteri. Oggi abbiamo ben chiaro che il virtuale, per così dire, è ciò che ci sembra reale sotto determinati aspetti (lo vediamo, lo sentiamo, eccetera) ma che non ha una controparte fisica "nomale". Vediamo qualcosa su schermo (in 2D), non un oggetto tridimensionale come ce ne sono negli ambienti della realtà fisica; sentiamo un suono che corrisponde alle onde del mare, che non è accompagnato da altre percezioni (l'odore salmastro, eccetera). Insomma, la realtà virtuale è una realtà parziale e al tempo stesso scissa: la percezione soggettiva è focalizzata su alcuni aspetti, mentre altri, che non fanno parte dell'esperienza virtuale, passano in secondo piano. L'immersione in un videogioco - e la corrispondente "sospensione dell'incredulità " - avviene  grazie al fatto che il gioco è sufficientemente realistico... O no? In realtà, un gioco che richieda molta concentrazione può avere lo  stesso effetto: un giocatore  di scacchi può concentrarsi completamente sulla sua partita,  senza bisogno di percepire i pezzi con le mani. Una buona realtà virtuale non deve per forza essere più "realistica": deve essere sufficiente a coinvolgere chi la sperimenta. La scissione dell'esperienza riguarda tipicamente il tempo: chi gioca o frequenta la  realtà, virtuale sa bene che si può passare una gran quantità di tempo senza accorgersene. Ma questo ha  a che fare, di nuovo, con il coinvolgimento nell'esperienza. Dubito che si ascolti un concerto pensando a quanto tempo sta passando: chi lo fa  esce dall'esperienza, un po' come accade se si guarda un film e si scopre che mancano pochi minuti alla fine.

Il metaverso punta a ridurre entrambi gli effetti del virtuale: vuol essere un'esperienza integrata con quella reale, che non sia separata e distinta, ma permetta di "fluire" da oggetti virtuali a oggetti reali in continuazione. Sperimentiamo già qualcosa del genere, in modo molto primitivo, quando concordiamo un appuntamento con qualcuno, calendario virtuale e smartphone in mano: passiamo con fluidità da problemi ed esperienze fisiche a qualcosa che "esiste" solo nel nostro ambiente digitale (un calendario delle attività future) e con cui interagiamo solo tramite un'interfaccia apposita (schermo tattile, tastiera). Quindi il metaverso è l'obiettivo di unire i concetti di reale e virtuale, trasformandoli entrambi verso un'esperienza complessiva.

 

Una nuova fase del cambiamento digitale?

Per capire il progetto del metaverso dobbiamo guardare a un'altra narrazione, di tipo concettuale. Il computer nasce letteralmente come strumento di calcolo automatico: sin dai tempi di Pascal e Leibniz, il calcolatore viene pensato per svolgere dei compiti al posto nostro. Questa narrazione copre tutta la prima fase del cambiamento digitale: è l'epoca in cui ai computer viene chiesto di dare risposte a problemi, calcoli, questioni che per un  essere umano sarebbe difficile ottenere in tempi brevi. Il calcolatore opera sulla base dei programmi ricevuti, con i quali elabora i dati che riceve per dare le risposte previste.

In questa fase la fantascienza - che è, come cyberpunk, per lo più  figlia del proprio tempo - arriva a immaginare che il computer possa  diventare un uomo (Ha19000 in 2001: Odissea nello spazio), possa cioè desiderare una forma di libero arbitrio. Ma per l'appunto il supercalcolatore non è altro che un "doppio", un altro uomo; così nella saga  gnosticheggiante di Dune, i Mentat sono calcolatori viventi, dato che per motivi religiosi non si può più costruire una macchina che assomigli a un uomo. Nelle storie di Paperon de' Paperoni, sceneggiate dai disegnatori  italiani, compaiono a più riprese computer che hanno il compito di rispondere alle domande di Paperone (dove si trova il tesoro più ricco del mondo? Quanti soldi ho? E così via). Allo stesso modo,  il supecomputer di Pensiero Profondo immaginato da Douglas Adams  nella saga della Guida galattica per gli autostoppisti conosce la "risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto": per  la cronaca, la risposta è "42", ma nessuno sa quale sia la domanda. Per rivelare la domanda, Pensiero Profondo immagina di costruire un computer ancora più potente, che contenga degli esseri viventi nella sua matrice computazionale (e che sarebbe la nostra Terra).

In ogni caso, il computer in questa fase può essere immaginato  come una sorta di supereroe dalle straordinarie capacità di calcolo, ma nella vita di tutti i giorni rimane semplicemente uno strumento.

Oggi, in quella che possiamo chiamare una seconda fase del cambiamento digitale, non è cambiato il paradigma immaginario del computer: è mutato il rapporto tra gli esseri umani e i loro strumenti. Nella vita di tutti i giorni gli esseri umani non sono più solamente coloro che programmano il calcolatore; ormai sono anche gli input  che  servono al computer per funzionare. Facebook non funzionerebbe se non fosse usato da utenti che lo riempiono di contenuti e di like; lo stesso vale per l'algoritmo di ricerca di Google, che non servirebbe a niente se non ci fossero gli utenti che lo arricchiscono di contenuti e di ricerche. I computer sono sempre programmati da esseri umani e, almeno per il momento, continuano a fare quello che chiediamo loro.  Tuttavia il loro compito è, sempre di più, prenderci le misure: è questo il sogno di Zuckerberg.

Perché un'interfaccia sia completamente immersiva, perché possa essere quasi invisibile, deve essere, secondo la terza "legge" di Clarke, indistinguibile dalla  magia. Deve funzionare per me senza che io sappia come e perché. Questo è possibile mediante l'elaborazione di interfacce  sempre più legate ai nostri corpi e sempre meno legate ai nostri concetti: gli input sensoriali multipli sono il passaggio necessario per creare un ambiente tridimensionale attorno a me, così come accade nella realtà (il rumore e l'odore del mare). È evidente che un simile sistema ha potenzialità di controllo enormi: il software per il riconoscimento delle espressioni facciali funziona ottimamente per sbloccare gli iPhone, oppure per incarcerare i dissidenti cinesi. «La tecnologia non è buona né cattiva; e neppure neutrale», recita la prima legge di Kranzberg: è un  mantra che dobbiamo ripeterci a lungo, dato che non è l'evoluzione dell'interfaccia a rappresentare un problema, mala volontà dell'uomo che ne progetta gli aspetti e gli usi.

La seconda legge di Kranzberg - l'invenzione è la madre della necessità - ci aiuta a capire il passaggio dalla prima alla seconda fase del cambiamento digitale: quando il computer è diventato un bene di consumo, anzi il bene di consumo più diffuso sulla Terra (basta sommare i computer e gli altri oggetti che ne contengono uno, come gli  smartphone, e scopriremo che ci sono già oggi più computer che esseri umani), ha portato una serie di cambiamenti, che sono conseguenze  non previste dell'invenzione originaria. La seconda legge ci dice che i social network non sono altro che un'evoluzione dovuta allo sviluppo e alla diffusione di straordinari strumenti di calcolo: Facebook non  potrebbe garantire l'efficacia della propria pubblicità senza i computer che ne calcolano gli effetti, così come Netflix e Amazon Prime non potrebbero programmare le loro serie senza avere già i ritorni (gradimento del pubblico, eccetera) che vengono misurati durante ogni evento in streaming.

La diffusione massiva di tecnologie digitali ha già cambiato in modo radicale (anche se non ancora definitivo e consolidato) la nostra vita. Il metaverso ha l'ambizioso obiettivo di sfruttare quanto c'è già per fare un altro passo avanti, e portarci in una piena intenzione con il mondo digitale, il mondo governato dallo scambio di informazioni tra esseri umani e agenti digitali, o, come dice Floridi, inforg, fatti sia di carbonio sia di silicio. Da questo punto di vista, abbiamo già le prime avvisaglie del metaverso nella produzione di contenuti letterari e cinematografici: se si guarda alla produzione della Marvel degli ultimi anni, è chiaro come l'intersecarsi di fumetti, serie tv, film e case di produzione (Netflix e Disney) è frutto di una strategia di marketing ben precisa: il metaverso Marvel è un continuo aprirsi di narrazioni  diverse degli stessi personaggi. «Ogni cosa è sempre parte di ogni altra cosa, e niente finisce mai... Una volta che il pubblico è a bordo, non offri più una via d'uscita», ha scritto la giornalista Kathryn VanArendonk suVulture.

Se i fantacyber - un neologismo per indicare l'evoluzione della fantascienza dopo il cyberpunk - sta al futuro come il cyberpunk sta al metaverso, l'evoluzione della Marvel ci indica in modo abbastanza plausibile che cosa ci aspetta.

La matrix di Gibson può davvero diventare, come scrisse in Neuromante un'«allucinazione consensuale» esperita da milioni di persone. Solo che a questo punto non avremo bisogno di attrezzature, perché matrix sarà tutt'intorno a noi, grazie a una serie di oggetti "aumentati" come gli occhiali di Google.

È chiaro che il metaverso pone seri problemi tecnici: interoperabilità, scalabilità, efficienza computazionale ed energetica. Come ci dice la seconda legge diKranzberg, è stato il computer a portarci sin qui ed è la diffusione del computer a cambiare il nostro mondo, che un secolo fa fu cambiato dalla diffusione dell'automobile. È altrettanto chiaro che ci sono rilevanti problemi politici e sociali all'orizzonte: l'infrastruttura potrà sostenersi solo grazie alle grandi multinazionali?

E chi farà rispettare le leggi nel metaverso? Quanto è stato già detto sulla cittadinanza digitale non è che un primo assaggio dei problemi e delle opportunità che abbiamo di fronte.

 

 

R. Presilla, Filosofia del metaverso tra gnosi e cyberpunk, «Vita e Pensiero», (2022), n. 2, pp. 104-110. Si ringrazia Vita e Pensiero per il permesso di riproduzione del testo nel progetto DISF-Educational.

Visita il sito: