Il leone, la strega e l'armadio

Clive Staples Lewis

Primo volume della saga Le cronache di Narnia di C.S. Lewis, Il leone, la strega e l’armadio (1950) racconta la vicenda fantastica dei fratellini Peter, Susan, Edmund e Lucy. Durante la Seconda guerra mondiale, i quattro bambini si rifugiano nella casa di campagna del professor Kirke ed entrando in un grande armadio si ritrovano inaspettatamente nel mondo di Narnia, popolato da curiose creature e animali parlanti. Questa terra di magia è dominata dalla Strega Bianca, cui si oppone il fiero leone Aslan. Secondo un’antica profezia, il regno della Strega terminerà grazie all’intervento di «due figli d’Adamo e due figlie di Eva», che la terribile dominatrice riconosce nei quattro fratelli. Dopo diverse vicende, Edmund viene fatto prigioniero dalla Strega ma Aslan riesce a convincere la sua avversaria a non uccidere il bambino, offrendo la sua vita al posto di quella del prigioniero. Nel brano che qui presentiamo, Susan e Lucy piangono la morte del coraggioso leone, che ha generosamente donato la sua vita riscattando il bambino. Ma un evento inaudito volge improvvisamente le loro lacrime in grida di gioia… «Fu un gioco chiassoso e felice, come si può fare solo nel paese di Narnia», scrive Lewis. La scena finale, vivace e commuovente descrizione della felicità di Susan e Lucy, ci mostra come la letteratura sia capace di rappresentare i desideri profondi dell’umanità e, in particolare, l’aspirazione a una gioia capace di superare il limite della morte.

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Una scena tratta da Le cronache di Narnia. Il leone, la strega e l'armadio, diretto da Andrew Adamson (2005)

Susan e Lucy stavano ancora accucciate tra i cespugli, con le mani sul viso, quando sentirono la Strega Bianca che gridava: — Orsù, seguitemi! Sistemeremo una volta per tutte gli strascichi di questa guerra. Non ci vorrà molto a schiacciare quei traditori e i luridi esseri umani. Ormai il Gran Gatto è morto.

Fu allora che, per qualche istante, le due bambine si trovarono in serio pericolo.

Tutta quella vile marmaglia si lanciò giù per la collina, passando proprio accanto al nascondiglio di Susan e Lucy, riempiendo l'aria con le sue grida selvagge, il suono stridulo delle trombe e quello più cupo dei corni. Susan e Lucy sentirono il terreno che rimbombava sotto il galoppo furioso dei minotauri. Sentirono il soffio gelido degli spettri e, sopra le loro teste, il turbinio delle orribili ali nere degli avvoltoi e dei pipistrelli giganti. In un'altra occasione avrebbero tremato d'orrore e di paura, ma in quel momento il loro cuore era così pieno di angoscia per l'infame assassinio di Aslan che non ci pensarono neppure.

Appena il bosco fu tornato silenzioso, esse uscirono dai cespugli e si inoltrarono nel gran prato in cima alla collina. La luna stava ormai tramontando e la velavano nuvole leggere, ma Susan e Lucy riuscivano ancora a vedere la forma del leone che giaceva morto, strettamente avvinto nei suoi legami. Si inginocchiarono vicino a lui, sull'erba umida, baciarono e baciarono quella fredda testa, accarezzarono quel poco che rimaneva della sua bella criniera e piansero finché ebbero lagrime. Poi si guardarono in faccia e stringendosi le mani, al colmo della malinconia, piansero ancora. Alla fine, quando si calmarono un poco, Lucy disse:

— Non posso sopportare la vista di quella specie di museruola. E se provassimo a toglierla?

Provarono. Pur con gran fatica perché avevano le dita gelate, essendo quella l'ora più fredda della notte, ci riuscirono. Quando videro il muso di Aslan libero dai lacci scoppiarono di nuovo a piangere e ripresero a baciarlo e accarezzarlo, ed erano più disperate di quanto io potrò mai riuscire a dire.

— E se provassimo a slegarlo completamente? — propose nuovamente Susan.

Ma i nemici di Aslan, certamente per pura cattiveria, avevano stretto i nodi in modo tale che le due ragazzine non riuscirono a niente.

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Clive Staples Lewis (1898–1963)

Spero che nessuno di quelli che leggeranno questo libro sia mai stato così infelice come furono Susan e Lucy quella notte. Ma chiunque abbia avuto un dolore così grosso da piangerci su fino a non aver più lagrime sa bene che a un certo momento si arriva a una specie di tranquilla malinconia, una specie di calma, quasi la certezza che non succederà più nulla. In ogni modo, fu questo che capitò alle due bambine. Stavano là, quiete quiete, senza neppur accorgersi che l'aria andava facendosi sempre più fresca. Ma alla fine Lucy notò due cose: che a est della collina il cielo era un po' meno buio e che qualcosa si muoveva sull'erba, ai loro piedi. Dapprima non se ne curò più che tanto (non le importava più di niente, ormai!), poi, invece, si rese conto che quel qualcosa in movimento si era trasferito sulla Tavola di Pietra e, qualsiasi cosa fosse, ora si muoveva proprio lungo il corpo di Aslan. Si avvicinò per veder meglio e scorse tante piccole cosine grigie.

— Oh! Che orrore! — gridò Susan dall'altra parte della tavola. — Questi brutti topolini gli camminano addosso. Via, via, bestiacce! — e alzò una mano per farli scappare.

— Aspetta — gridò Lucy, che aveva guardato più attentamente. — Non vedi cosa stanno facendo?

Susan si chinò a osservare meglio.

— Oh, che strano! — mormorò. — Sembra che stiano rosicchiando le corde!

— Sembra anche a me — confermò Lucy. — Sono animaletti gentili. Forse non hanno capito che Aslan è morto e credono di far bene. Questi topolini vogliono liberarlo.

Adesso il cielo era veramente più chiaro. Le due sorelline si guardarono in faccia e videro che erano molto pallide. Poi tornarono a guardare i topolini: dozzine e dozzine, forse un centinaio, che si davano un gran daffare con i denti. Alla fine ebbero partita vinta.

A oriente il cielo sbiancava. Le stelle erano scomparse tutte, tranne una, grandissima, che brillava fulgida all'orizzonte. Susan e Lucy rabbrividirono all'aria fresca del mattino. I topolini se ne andarono via.

Susan e Lucy tolsero dal corpo di Aslan i resti delle corde rosicchiate e rimasero a contemplare il leone: ora assomigliava molto di più a quello che era stato, e via via che la luce si faceva più forte Aslan sembrava riprendere la sua antica espressione di calma e maestosità.

Nel bosco, alle loro spalle, un uccellino fece sentire il suo cinguettio soffocato. Fino a quel momento il silenzio era stato così completo che Susan e Lucy quasi sobbalzarono di spavento, sentendo quel dolce suono. Poi un altro uccello rispose al primo, da più lontano, e poi un altro ancora. Dopo pochi istanti l'aria echeggiava di mille voci canore.

Ormai l'alba aveva preso il posto della notte.

— Ho un gran freddo — disse Lucy.

— Anch'io — disse Susan. — Camminiamo un poco.

Si mossero lentamente e arrivarono fino all'orlo del crinale della collina, a est. Anche la grande stella che brillava a oriente era quasi scomparsa. Il paesaggio appariva di color grigio scuro, ma in lontananza c'era una striscia più chiara: il mare. E pian piano laggiù il cielo diventava di un rosa sempre più intenso.

Le due sorelline continuarono a camminare avanti e indietro dall'orlo della collina al corpo di Aslan e viceversa, innumerevoli volte. Cercavano di scaldarsi un poco. Mentre si erano fermate a contemplare per un momento il mare e il castello di Cair Paravel, la striscia rosa che colorava l'orizzonte diventò color dell'oro e là dove mare e cielo si incontravano apparve lentissimamente il bordo del disco solare.

E fu proprio allora, mentre spuntava il sole, che esse udirono dietro di sé un rumore fortissimo, un rumore assordante di qualcosa di gigantesco che si spaccava.

— Cos'è stato? — chiese Lucy afferrando intimorita il braccio di Susan.

— Ho... ho... paura a voltarmi — rispose Susan, balbettando. — Dev'essere accaduto qualcosa di terribile.

— A lui? Gli stanno facendo qualcosa di peggio? — chiese Lucy. — Andiamo a vedere! — e si voltò di scatto trascinando con sé anche Susan.

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Copertina della prima edizione del libro

Nella luce del sole nascente tutto sembrava diverso: i colori e le ombre erano così mutati che al primo momento esse non videro la cosa più importante. Poi, sì! La grande Tavola di Pietra si era rotta in due pezzi, lungo una fessura trasversale che andava da parte a parte. E il corpo di Aslan non c'era più.

— Oh, no! — gridarono in coro Susan e Lucy. Poi corsero verso la grande tavola.

— Oh, è troppo brutto! — esclamò Lucy rimettendosi a singhiozzare. — Potevano almeno lasciarci il suo corpo.

— Chi ha fatto una cosa simile? — si chiese Susan, piangendo anche lei. — Che cosa significa? C'è un'altra magia?

— Sì! — rispose una voce profonda alle loro spalle. — C'è un'altra magia.

Le due bambine si guardarono intorno. Là, splendido nella luce del sole nascente, c'era Aslan! Più grande di come lo avevano visto prima, più nobile, più maestoso. Scuoteva la criniera.

— Oh, Aslan! — esclamarono entrambe fissandolo impaurite e contente al tempo stesso.

— Non eri morto, allora, caro Aslan? — chiese Lucy.

— Non sono più morto — rispose il leone.

— Non sei... non sei un... — domandò Susan con voce tremante. Non sapeva decidersi a dire la parola "fantasma". Aslan si avvicinò, piegò un poco la testa e le diede una leccatina sulla fronte. Susan sentì il calore del suo fiato e quella specie di profumo che sembrava diffuso intorno a lui.

— Ti sembro un fantasma? — chiese Aslan.

— Oh, no! Sei vivo, sei vivo! — gridò Lucy, e tutt'e due si lanciarono verso di lui, ripresero ad abbracciarlo, accarezzarlo e coprirlo di baci.

— Ma cosa significa? — chiese Susan quando si furono un po' calmate.

Aslan rispose:

— Significa che la Strega Bianca conosce la Grande Magia, ma ce n'è un'altra, più grande ancora, che lei non conosce. Le sue nozioni risalgono all'alba dei tempi: ma se lei potesse penetrare nelle tenebre profonde e nell'assoluta immobilità che erano prima dell'alba dei tempi, vedrebbe che c'è una magia più grande, un incantesimo diverso. E saprebbe così che, quando al posto di un traditore viene immolata una vittima innocente e volontaria, la Tavola di Pietra si spezza e al sorgere del sole la Morte stessa torna indietro!

— Oh, è meraviglioso — esclamò Lucy battendo le mani e saltando dalla gioia.

— E ora come ti senti, Aslan?

— Sento che mi tornano le forze e, bambine mie, prendetemi se vi riesce!

Così dicendo, Aslan le fissava con i suoi grandi occhi lucenti, il corpo percorso da un fremito, frustando i fianchi con la lunga coda. Restò così per qualche attimo ancora, poi spiccò un balzo e atterrò dall'altra parte della Tavola di Pietra, oltre le teste di Susan e Lucy. Lucy scoppiò a ridere senza un vero perché e fece l'atto di acchiappare il leone. Aslan saltò di nuovo e la caccia cominciò. Lui correva intorno al grande prato sulla sommità della collina: ora lasciandosi avvicinare al punto che le ragazze quasi potevano toccargli la coda, ora sgusciando via lontano; ripiombava poi tra loro con una specie di gran tuffo, le ghermiva con le grosse zampe vellutate, le lanciava in aria e le riprendeva al volo. Poi si fermò, inaspettatamente, e le piccole gli furono addosso e rotolarono tutti e tre sull'erbetta in una gran confusione di criniere, capelli, braccia, gambe e zampe. Fu un gioco chiassoso e felice, come può esserci solo nel paese di Narnia e Lucy non capiva bene se stava scherzando con il Grande Aslan dalla voce di tuono o con un affettuoso micione. E la cosa più strana fu che quando si trovarono stesi sul prato, ansanti e allegri tutti e tre, le ragazzine non sentirono più la minima stanchezza, né la fame, né la sete.

C.C. Lewis, Il leone, la strega e l'armadio, trad. it. di F. Dei, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1995, pp. 116-122.