Il tempo di Caterina
Il tempo di Caterina è secolo di profonda trasformazione con sullo sfondo le guerre cittadine, lo sfaldamento definitivo del feudalesimo, la crisi dell'impero, la peste, la minaccia dei turchi, la rottura dell'unità della chiesa. Finisce nel suo secolo senza appello la teocrazia medievale e si avvicina il laicismo teorizzato, nei suoi aspetti giuridici dagli studi dell'Università di Padova. Finisce il medioevo, quel medioevo che, come giustamente diceva Morghen, era medioevo cristiano proprio perché anche nello scontro tra papato e impero, tra eresia e ortodossia, tra evangelizzazione e recuperi barbarici, i secoli cosiddetti bui, ma in verità pieni di luce e di certezza, si riconoscevano tutti nella fede cristiana e nella rivelazione.

Avanza ora invece, nel secolo di Caterina, la dialettica nuova tra società religiosa e laica, tra autorità morale e autorità civile, tra etica dell'assoluto ed era il relativismo della politica. Una dialettica nuova che disorienta l'ordine cristiano che insidia e scuote la chiesa nella sua unità, che insidia l'autorevolezza del pontefice che, nel suo filone culturale, sboccherà nel Rinascimento, nel recupero pagano, nello scientismo e più tardi nel razionalismo, padre di tante vicende spirituali e storiche della nostra Europa.
Una dialettica storica nuova comincia nel ‘300 e scavalcherà la città medievale per trasformarla in signoria, in principato, in nazione moderna e in autorità regie ribelli all’impero. Finisce così il primato romano-cristiano imperiale sull’Europa, finisce una centralità latina del mondo di allora e si avvia un'epoca indubbiamente europea in cui la storia di ogni nazione del continente è autonoma ma nel contempo collegata a quella delle altre nazioni e capace di condizionarne le vicende. La Spagna sta per emergere nella saldatura dei suoi regni cristiani e nel balzo che sommergerà i “mori”. La Francia soffre la guerra dei cent'anni da cui uscirà unita e forte, l'Inghilterra cerca la sua identità, nella Germania, sotto il particolarismo dei principi fermenta, nella protesta sociale e nella ribellione dei riformatori religiosi, quella riforma che, due secoli dopo, creerà, almeno gli spiriti, la nazione tedesca.
(Mario Pedini, Santa Caterina da Siena e la nostra Europa, Edizioni Cantagalli, Siena 1989, pp. 7-8)
Siena e l’Europa nel Trecento
Siena era una delle tante città-Stato di quel tempo ed era in relazione con i suoi commerci con tutta l’Europa; si pensi alla lana e ai suoi prodotti, al ferro battuto e alle altre opere dell’artigianato, si pensi in modo speciale ai banchieri senesi quali i Cacciaconti, gli Angiolieri, i Piccolomini, i Salimbeni, i Bonsignori, i Tolomei che intrecciavano rapporti finanziari con le maggiori corti in Europa e avevano dunque sparsi loro rappresentanti di affari .

Gli artigiani e e gli artisti senesi (pittori, scultori, miniaturisti, orafi, musicisti), che in quel tempo attraversarono un periodo quantomai felice, venivano chiamati anche in paesi lontani a realizzare opere meravigliose: si pensi agli orafi senesi Pietro e Niccolò Gallicus di Simone che lavoravano in Ungheria, a Giovanni di Bartolo orafo della corte di Avignone del sec. XIV e al celebre pittore Simone Martini che ad Avignone affrescava le sale del Palazzo dei Papi. Persino i monaci e gli eremiti erano di diverse nazionalità: anche francesi, tedeschi e il celebre Guglielmo Fleete, inglese, grande ammiratore di Santa Caterina.
Gli studi universitari - a Siena c'era già una Sapienza e nel 1357 l'imperatore Carlo IV riconosceva l'ateneo cinese come studio generale, cioè aperto agli studenti di tutto l'Impero - attiravano studenti di altre nazioni accanto a quelli cittadini. Così avveniva a Parigi, a Colonia, a Lovanio, a Bologna, a Padova e in tante altre città universitarie.
Il latino era ancora la lingua ufficiale comune a tutta l'Europa, nonostante l'affermarsi delle lingue volgari. La cultura europea era unitaria, nonostante le divisioni politiche e comunali. I grandi maestri della teologia potevano insegnare indifferentemente a Parigi o a Colonia o Napoli, come era accaduto a Sant'Alberto Magno e a San Tommaso da Aquino. Al tempo di Santa Caterina l’aquinate si era affermato come il grande dottore unico incontrastato degli Studi Teologici.
Uno dei grandi fenomeni del tempo erano i pellegrinaggi verso la Terra Santa, verso San Giacomo di Compostella, e soprattutto verso la tomba di San Pietro in Roma. Nel 1300 si tenne il 1° Giubileo quello di Papa Bonifacio VIII.
I pellegrini provenienti dal centro Europa passavano tutti per Siena e a Siena trovavano ospitalità in quelle sale dell'ospedale che ancora oggi si chiamano “pellegrinai” e talvolta vi rimanevano a lungo per malattia o altri motivi.
A causa del viaggiare che facevano gli artisti, commercianti , pellegrini, gli ambasciatori, i corrieri, c'è stato qualche studioso che riferendosi a quel tempo ha parlato di civiltà “nomade” della città in contrasto con la città civiltà statica delle campagne. Certo, pur serbando ognuno la propria nazionalità, gli uomini del secolo XIV non si consideravano mai come dei forestieri l'uno con l'altro, si sentivano diremmo noi oggi “europei” e non avevano difficoltà a convivere insieme.
Magari convivevano per fare insieme la guerra come accadeva nelle compagnie di ventura assai numerosi a quel tempo. C’erano ad esempio i bretoni, gli svevi, gli italiani, gli alemanni che facevano volentieri questo mestiere e vivevano così praticamente di violenze e di saccheggi trasferendosi da un paese all'altro del continente, sotto la guida di esperti capitani e al servizio di chi meglio li pagava.
Portata qua e là dai commercianti, dai soldati di ventura, dai pellegrini, la peste - altro fenomeno comune unificante a tutta l’Europa - era sempre presente e scoppiava talvolta in forme diffuse e violente decimando intere città. Al tempo di Santa Caterina si verificarono tre grandi epidemie, o punte massime di virulenza: una terribile del 1348, un'altra del 1363, e un'altra ancora nel 1374 (a Varazze ancora nel 1376) e queste due videro Santa Caterina prodigarsi nell'assistere gli appestati con una carità inesauribile.
(Mario I. Castellano, Santa Caterina da Siena e l’Europa, Edizioni Cantagalli, Siena 1981, pp. 5-6)