Jean-Baptiste Camille Corot, Jeune fille lisant (1845-1850)

    

Jean-Baptiste Camille Corot (Parigi 1796 – 1875)

Ragazza che legge
1845-1850

Olio su tela, 42,5 x 32,5 cm
Zurigo, Emil Bührle Collection

L’opera è eseguita dopo il rientro di Corot in Francia a seguito dei suoi soggiorni in Italia, di cui l’ultimo nel 1843. Il soggetto si inserisce nell’ambito della tradizionale iconografia di una giovane fanciulla con libro, che si lega al tema della riflessione intimistica. Corot sa cogliere la penetrazione psicologica della donna assorta nella lettura, malgrado lasci indefiniti i contorni dello sfondo senza alcun interesse per l’ambientazione, dove si riesce soltanto a identificare, sulla destra, parte di un cavalletto da pittore. Il taglio fotografico indirizza l’attenzione interamente sull’atto riflessivo, evidenziato dalla sapiente qualità luministica che si riverbera sulla fronte, sul corpetto e sulle pagine del libro.

Può un quadro esprimere l’esperienza del silenzio? In alcuni casi i colori, le forme, le linee sono in grado di veicolare una sensazione acustica, come nel caso di questa opera di Jean-Baptiste Corot. Nel ritratto di questa giovane assorta nella lettura si percepiscono una quiete e una concentrazione che fanno subito pensare ad un dialogo con la propria coscienza.
Il capo chino sul petto, le palpebre chiuse, quasi a rivolgere lo sguardo verso la propria interiorità: la ragazza dipinta da Corot sembra incarnare al massima di Agostino di Ippona: Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas: “Non uscire da te stesso, rientra in te: nell'intimo dell'uomo abita la verità” [1]. L’incontro con la coscienza coincide con questo movimento di ritorno a sé che prende la via dell’interiorità e necessita di tempo, calma e silenzio, elementi resi in forma pittorica dalla figura della giovane, sospesa sullo sfondo sfocato di quello che riconosciamo come un interno, una stanza.
L’aria immobile, il colore indefinito lascia risaltare per contrasto la giovane lettrice. Non è un caso che la ragazza stia leggendo un libro: spesso per tornare a se stessi è necessario un supporto materiale che catturi la nostra attenzione e la sappia indirizzare verso le profondità della coscienza. La lettura è capace di distoglierci dalle occupazioni quotidiane per proiettarci verso un mondo diverso, in cui le nostre riflessioni si giovano di quelle condotte da altri prima di noi. 
L’interiorità della propria coscienza non appare come un mondo astratto e rarefatto, quanto piuttosto un ritorno a sé, vivo e reale: la lettura pare accendere di rosso il vestito della giovane, aperto su una camicetta bianca che non costringe il petto ma lascia fluire il respiro. Dall’incontro con la coscienza sembra fluire un tenue espirazione, quasi un alito di vita.
Ma è possibile, oggi, dialogare con la propria coscienza? Dove questo silenzio e questa concentrazione? Il flusso della vita contemporanea ha ben altri ritmi. E allora l’ascolto della propria coscienza diviene il risultato di una scelta, il frutto di un incontro, l’esito di un impegno che ci vede capaci di organizzare tempi, luoghi, circostanze, come quando si prepara l’incontro con una persona con cui ci si desidera aprire, confidarsi con calma. L’incontro con se stessi è oggi poco praticato, ma necessario. Ne scopriamo la necessità al momento di dover prendere decisioni, di dirigerci verso un obiettivo che richiede sforzo e concentrazione. Forse ne hai già fatto l’esperienza. La coscienza non è il riflesso o l’eco delle proprie parole. È parola nuova, che spesso ci sorprende, ci investe, alla quale sentiamo di dover perfino obbedire, o almeno ascoltare con attenzione. È un giudizio che ci indica “fa questo, evita quest’altro”.
Un cercatore di senso deve imparare ad ascoltare anche questa voce, offrirle spazio, darle gioco.
Ma torniamo al piccolo libro che la ragazza di Corot tiene aperto in grembo. Ogni libro ci consente di dialogare con un autore, di sentirlo vivo e presente, anche se non più fra noi. Di andare alla sua scuola, di imparare da lui. Se oggi mancano i maestri, dobbiamo saper andare a scovarli; possiamo anche sceglierli e dialogare con loro, calandoli, appunto, nella nostra interiorità, nella nostra coscienza. Possiamo andare a lezione da Giacomo Leopardi, Dante Alighieri, Agostino di Ippona; da Chesterton e da Tolkien, da Dostoevskij e da Tolstoj. Possiamo ascoltare un discorso di Gesù di Nazaret come se fossimo seduti sull’erba di fronte a lui, nei pressi del lago di Cafarnao.
Dipende da noi, dipende da te. Solo il gesto di allungare la mano e aprire un libro, raccogliersi e cominciare a dialogare: ascoltare e porre domande, a ciascuno di loro e alla nostra coscienza.
Niccolò Machiavelli ci narra questa medesima esperienza – tornare a casa e dialogare con gli autori dei libri della sua Biblioteca – in una lettera che scriveal suo amico Francesco Vettori, nel 1513:

Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi trasferisco in loro.

Oggi il “supporto” è forse cambiato, ma ciò è meno importate. Un ebook o un podcast possono ugualmente favorire questo incontro con la propria interiorità: devi solo desiderarlo.


[1] De vera religione, XXXIX, 72