«È cosí bello vivere mille volte la vita». Chi scrive queste parole non è un uomo spensierato, né un fortunato miliardario o una persona serena e fortunata. Chi scrive queste parole, nella lettera del 16 novembre 1801 indirizzata all’amico Franz Gerhard Wegeler, medico e suo futuro biografo, è Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770 – Vienna, 1827), tra i massimi compositori della storia della musica, uomo dall’esistenza travagliata fin da bambino ma che seppe riconoscere e ricercare sempre la bellezza: nella propria arte, nella natura, al di là di ciò che l’essere umano riesce a percepire.
Come musicista, naturalmente, non rivolse la sua attenzione alla bellezza visibile ma a quella sonora, propria della musica, componendo alcuni tra i lavori più noti ed eseguiti del repertorio classico. Quando scrisse le parole che abbiamo riportato sulla bellezza della vita, però, il suo udito si andava già indebolendo: a partire dal 1796 Ludwig iniziò a prendere coscienza della propria difficile situazione di salute che, per motivi tuttora non del tutto chiari, lo portò alla completa sordità prima del 1820.
Una condizione dolorosa, avvertita come un profondo distacco dalle persone intorno, ma che nel caso di un musicista già nel pieno della propria maturità artistica diventava la tragica consapevolezza di una perdita irrimediabile: come sarebbe stato possibile suonare, comporre, impartire lezioni agli allievi? In una lettera del 1802 indirizzata ai fratelli Kaspar Karl e Nikolaus Johann, nota come “testamento di Heiligenstadt” (dal nome del sobborgo di Vienna dove il compositore si trovava a vivere in quel periodo), possiamo leggere tutta la disperazione e lo sconforto per l’incomprensione e la solitudine cui la sordità lo esponeva:
O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me! Non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un'apparenza [...] pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile, che medici incompetenti hanno peggiorato. Di anno in anno, deluso dalla speranza di un miglioramento [...] ho dovuto isolarmi presto e vivere solitario, lontano dal mondo [...] se leggete questo un giorno, allora pensate che non siete stati giusti con me, e che l'infelice si consola trovando qualcuno che gli somiglia e che, nonostante tutti gli ostacoli della natura, ha fatto di tutto per essere ammesso nel novero degli artisti e degli uomini di valore.
Avviato alla carriera di musicista, Ludwig ebbe un’infanzia segnata da un’educazione rigida e da un rapporto difficile con il padre alcolista, tenore alla corte del principe elettore di Colonia, e con i successivi insegnanti di musica. La sua non fu un’adolescenza allegra: quando aveva 17 anni la madre morì di tubercolosi e l’anno successivo morì anche la sorella. Ben presto il padre, la cui condizione si era aggravata, non fu in grado di badare alla famiglia e Ludwig dovette prendersi cura e mantenere i suoi due fratelli. Ma grazie alla protezione del conte Ferdinand von Waldstein il giovane riuscì a farsi strada e a studiare sotto la guida di Joseph Haydn, massimo musicista viennese: come si legge in una lettera inviatagli dal suo mecenate (13 ottobre 1792), Ludwig avrebbe potuto «ricevere, in grazia di un lavoro ininterrotto, lo spirito di Mozart [morto l’anno prima] dalle mani di Haydn». Dopo gli anni di apprendistato a Vienna, Beethoven pubblicò le sue prime composizioni e nel 1795 iniziò una brillante attività di concertista, esibendosi sui principali palcoscenici del suo tempo e facendosi notare per l’assoluta originalità del suo talento. Ma fu proprio in quegli anni di grande popolarità che si fece strada la consapevolezza della nascente sordità.
L’abbattimento per la propria situazione non impedì però a Ludwig di continuare a ricercare quella bellezza, sempre meno sensibile, che pur non riuscendo più a percepire con le orecchie, continuava a sentire nel profondo di se stesso e riconosceva nella magnificenza della natura. Forza di volontà, determinazione ad affrontare e superare i propri limiti, aspirazione a quanto vi è di sublime, coraggio di fronte al destino: tutto ciò si ritrova in alcuni capolavori beethoveniani, come la Sinfonia n. 3 (Eroica, 1802-1804) o la Sinfonia n. 5 (1807-1808). Ma anche sentimento di stupore davanti alla bellezza della natura, riflessa dalla bellezza musicale: si pensi alla Sinfonia n. 6, Pastorale (1807-1808) in cui si riescono a percepire i canti degli uccelli, ricordi di musiche e danze popolari, il sopraggiungere di una tempesta, all’insegna di un naturalismo sonoro che suggestiona l’ascoltatore e lo trasporta in una paesaggio di campagna.
Con l’andare del tempo, il buio della sordità divenne totale. Si fece strada in Beethoven una potente ispirazione religiosa, che ritroviamo nella grandiosa Missa Solemnis in Re maggiore (1818-1822), al cui completamento seguì la composizione della Sinfonia n. 9, eseguita per la prima volta nel 1824 e accolta con strepitoso entusiasmo da parte del pubblico.
Con questo lavoro la musica sinfonica, prettamente strumentale, conosce un’assoluta novità: l’irruzione della voce umana, attraverso il coro che dà voce all’Inno alla gioia del poeta Friedrich Schiller. Il messaggio di fratellanza universale, lanciato dal compositore ormai immerso nella propria sordità, rivela l’orizzonte di una bellezza che travalica i limiti dell’esperienza umana e che apre l’ascoltatore alla scoperta di una bellezza diversa, assoluta. Inaudita.
Esecuzione dell’Inno alla gioia di Herbert von Karajan:
Testo tedesco con traduzione italiana a fronte: