Marta di Betania: trasformare il lavoro in preghiera

Betania è una cittadina della Palestina, quasi alle porte di Gerusalemme. Oggi viene indicata sulle mappe con il nome di al-Azariyeh, che in lingua araba vuol dire “luogo di Lazzaro”. Betania è citata varie volte nei vangeli, soprattutto a motivo di una famiglia composta da tre fratelli, Lazzaro, Maria e Marta, che Gesù di Nazaret visitava spesso, fermandosi talvolta a mangiare nella loro casa. Questa famiglia finirà sulla bocca di tutti quando Lazzaro, morto prematuramente, verrà risuscitato da Gesù ben quattro giorni dopo la morte di lui, tra la sorpresa e lo sconcerto dei presenti. Di Lazzaro, però, i vangeli non ci riportano alcuna frase. Neanche di Maria, sua sorella. Di loro conosciamo solo gesti e comportamenti. Non così Marta. Lei parla, e lo fa spesso. Donna dal carattere risoluto, Marta interviene con decisione, affronta le situazioni con realismo, dà sfogo ai sentimenti. Rispetta Gesù, ma gli tiene testa. Anzi, lo rimprovera. Sì, lo rimprovera, in modo sorprendente, almeno due volte.

Chi è questa donna, dal carattere forte e deciso, ma anche sorretta da una fede immensa? Perché associamo questa donna al lavoro? Per quale ragione, dopo Giuseppe di Nazaret, buona parte delle riflessioni che il cristianesimo ha suscitato sul tema del lavoro ruotano intorno a lei? Andiamo con ordine e vediamo di conoscerla più da vicino.

Secondo san Luca, durante un viaggio dalla Galilea verso Gerusalemme Gesù e i suoi discepoli

Marta
Jan Vermeer, Cristo in casa di Marta e Maria, prima del 1654-1655.

entrano in Betania (cf. Luca 10, 38-42).
Qui Marta, subito citata dal testo evangelico, si fa avanti e ospita Gesù nella sua casa. Gesù era già noto per la sua predicazione e le sue guarigioni. Si trattava di un personaggio importante. Non era solo, c’erano altre persone con lui. Come c’era da attendersi, Marta si organizza immediatamente e si preoccupa di mettere a loro agio gli ospiti preparando per loro qualcosa da mangiare, secondo le regole dell’ospitalità ebraica. Entrato in casa, Gesù comincia a parlare, probabilmente insegnando qualche parabola. Marta è già al lavoro. Occorre far accomodare i presenti nella stanza principale, forse l’acqua per lavare i piedi degli ospiti, ma soprattutto cibo da preparare per tutti. E già corre il pensiero alla possibilità che Gesù, e con lui altri discepoli, possano fermarsi ad alloggiare presso di loro. Ogni donna, esperta della conduzione di una casa, avrebbe fatto quello che Marta fa: mettersi al lavoro. Ma l’evangelista Luca ci offre subito una scena che mostra la diversità delle reazioni delle due sorelle:

«Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta, invece era distolta dai molti servizi» (vv. 39-40).

Il verbo greco che esprime l’atteggiamento di Marta, peri-espato indica letteralmente “si muoveva, operava, girando intorno”. Nulla di più normale, si direbbe. È la scena abituale di una donna che lavora in casa. A questo punto accade qualcosa degno di nota. Marta sembra infastidita, forse innervosita, ed esordisce in modo singolare, rivolgendosi a Gesù direttamente, con decisione:

«Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (v. 40).

Dice al Maestro cosa egli dovrebbe fare e glielo dice lei, senza mezzi termini: dì a mia sorella che venga ad aiutarmi; non vedi quante cose ci sono da fare? Non è frequente, nei vangeli, che ci si rivolga al “Signore” in questi termini. Marta lo fa, di fatto quasi rimproverandolo. Ed ecco, pacatamente, la risposta di Gesù. Spostando lo sguardo da Maria e dagli altri che stavano ascoltandolo, Gesù guarda Marta e le dice, ripetendo il suo nome, scuotendo un po’ il capo, come fa un padre o una madre quando vogliono indicare ai figli qualcosa che non va…:

«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (vv. 41-42).

Ce n’è abbastanza, come si vede, per una lezione sul lavoro, anzi sul rapporto fra lavoro e preghiera, fra vita attiva e vita contemplativa. Ed è ciò che avviene nei secoli successivi: a partire da questo episodio, prima i Padri della Chiesa, poi gli autori spirituali di tutte le epoche, fino ai nostri giorni, hanno offerto i loro commenti sul lavoro rumoroso di Marta e sull’ascolto silenzioso di Maria, su cosa Marta e Maria indicano, evocano, rappresentano. Si va dalle letture scontate, ma certamente riduttive, come quella che il lavoro ostacola la vita spirituale, a quelle che cercano di mettere insieme le due “anime”, ma subordinando l’atteggiamento di Marta a quello di Maria, perché ritenuto il più importante. La regola monastica di san Benedetto ci ha tramandato il ben noto ora et labora, che raccomanda una vita dove orazione e lavoro si alternino in feconda continuità. Restano però degli interrogativi. Marta doveva certamente lavorare, quella sera, lo dettavano le regole dell’ospitalità e, se non lo avesse fatto, Gesù e i suoi discepoli sarebbero rimasti senza cena… Era anche logico che Maria, presto o tardi, sarebbe dovuta andare ad aiutarla… In cosa ha sbagliato Marta, se ha sbagliato? Se vi fossero due stili di vita diversi e incompatibili, incarnati da Marta e Maria, allora saremmo obbligati a sceglierne solo uno; se il lavoro non avesse alcuna dimensione spirituale, allora vorrebbe dire che la situazione di chi lavora, ovvero quella di tutti noi, non sarebbe adatta a chi desiderasse coltivare la vita interiore, il lavoro non potrebbe parlarci di Dio.

Provo anch’io a suggerirti una lettura di questo episodio. Marta doveva lavorare, certo; e anche Maria. Marta, però, ha sbagliato il momento: doveva fermarsi e ascoltare Gesù, perché Gesù stava parlando, stava insegnando. L’errore di Marta è stato un errore di tempismo. Di lì a poco, le due sorelle avrebbero potuto dedicarsi insieme alle faccende domestiche, secondo i doveri dell’ospitalità. A loro si sarebbero uniti forse anche Lazzaro e poi qualcuno dei discepoli, magari superando un’iniziale protesta di Marta. Dedicare tempo a Gesù non vuol dire rinunciare al lavoro, o trascurarlo, o farlo male; vuol dire restarne sempre “padroni”, nei tempi, nei modi, nelle relazioni, mai “schiavi”. Da Betania giunge una lezione anche per i nostri giorni. Il lavoro di Marta, svolto con lo spirito di Maria è possibile. Un santo che ha predicato a lungo sul lavoro, san Josemaría Escrivà, ci ha consegnato un consiglio inedito e controcorrente: “trasformare il lavoro in preghiera”. Lavorare in silenzio, senza far rumore, mossi dal desiderio di servire gli altri, con senso di sacrificio, accompagnando il lavoro con le virtù necessarie per farlo bene: ordine, precisione, competenza, costanza, unità e spirito di collaborazione, giungendo fino a mettere le “ultime pietre”.

C’è ancora un incontro faccia a faccia fra Marta di Betania e Gesù di Nazaret che voglio brevemente descriverti, per concludere. È un episodio drammatico ma a lieto fine, che ci ha trasmesso ancora tratti preziosi del carattere di Marta, protagonista di un nuovo appunto da lei diretto a Gesù (cf. Giovanni 11,1-44). Marta e Maria avevano fatto sapere al Maestro che il loro fratello, Lazzaro, era gravemente malato e speravano in una sua visita affinché lo guarisse. Gesù indugia. Non si reca subito da loro, ma lascia passare alcuni giorni. Lazzaro muore. Solo adesso Gesù si mette in marcia verso Betania. «Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria, invece, stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”» (vv. 20-21). La scena sembra ripetersi: Marta, più attiva, è già sulla stradaquando sente dell’arrivo del Maestro e non manca di rimproverarlo, apertamente, davanti a tutti. Perché hai tardato? Ti avevamo fatto sapere che Lazzaro stava male! Qualcosa però è cambiato in lei. La frequentazione di Gesù, aver finalmente ascoltato i suoi insegnamenti e visto le sue opere hanno fatto maturare in lei una fede profonda. Così, Marta aggiunge subito dopo il “rimprovero”: «Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Dio te la concederà» (v. 22). Ne nasce così un dialogo straordinario fra Gesù e Marta, che tocca i temi più alti che si possano immaginare:

«Gesù le disse: “Tuo fratello risorgerà”. Gli rispose Marta: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno”. Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”» (vv. 23-27)

Passano pochi minuti e Gesù è davanti al sepolcro dove è stato posto il cadavere di Lazzaro. Dà un comando inaspettato, ordinando di togliere la pietra circolare che, come di consueto, chiudeva le entrate delle tombe con vano interno. Marta interviene, con realismo, quasi per fermarlo: «Gli rispose Marta, la sorella del morto: “Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni”» (v. 39). I presenti obbediscono a Gesù e possono tutti udire il suo comando, imperato a gran voce: «“Lazzaro, vieni fuori!”. Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: “Liberatelo e lasciatelo andare”» (vv. 43-44). Marta e Maria ricevono, restituito alla vita, il loro fratello Lazzaro. I dialoghi di Marta, il suo spirito attivo e concreto, conferiscono all’evento un realismo straordinario. E lo consegnano – come già gli insegnamenti sul lavoro – alla nostra meditazione.