Racconti di un pellegrino russo

I Racconti di un pellegrino russo sono un’opera narrativa e spirituale, scritta tra il 1853 e il 1861 da un autore anonimo, forse un contadino o un mercante russo. Il testo narra la storia di un pellegrino che, spinto dall’esortazione di san Paolo a «pregare incessantemente» (1 Tessalonicesi 5,17), intraprende un lungo viaggio portando con sé solo la Bibbia e una bisaccia di pane secco. Il viaggiatore attraversa l'Ucraina e la Russia, cercando un monaco che gli insegni a vivere ogni istante della propria vita con la mente rivolta a Dio e, lungo il cammino, apprende la “preghiera di Gesù”, una preghiera che si ripete incessantemente, in accordo con il respiro, invocando il nome di Cristo. La sua esperienza si trasforma ben presto in un viaggio interiore, dove la preghiera non è più un atto compiuto dal pellegrino ma una pratica che trasforma profondamente e permea completamente la sua stessa esistenza.

L’opera, che fu pubblicata per la prima volta nel 1881 a Kazan’, poi in edizione completa a Parigi nel 1930, rappresenta una delle vette della spiritualità ortodossa. Con un linguaggio semplice, ma ricco di significato, il testo diventa la cronaca di una straordinaria esperienza di fede e di crescita interiore, intrecciando il racconto del pellegrino con le riflessioni sulla preghiera del cuore e sull’esicasmo, la pratica che insegna l’unione intima con Dio.

Nel passo che qui presentiamo, tratto dal Quinto racconto, il protagonista è già giunto a Kiev e prosegue il suo pellegrinare fermandosi in una locanda nei pressi della città di Počaev dove incontra un monaco del Monte Athos il quale gli spiega il significato profondo della “preghiera di Gesù” che recita: “Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore”.

 

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pellegrino
Mikhail Vasilyevich Nesterov, Un eremita (1888)

Decisi allora di andar via. Ero già nell’anticamera quando, inaspettatamente, attraverso la porta aperta di una cameretta vidi un uomo dall’aspetto straniero che stava disteso sul letto e leggeva un libro. Mi fece segno di avvicinarmi e mi chiese chi fossi. Io risposi e quello disse:

— Ascoltami, amato fratello. Te la sentiresti di assistermi, diciamo per una settimana, sinché, con l’aiuto di Dio, mi sarò ristabilito? Sono greco, monaco del santo Monte Athos, e mi trovo qui in Russia a raccogliere fondi per il mio monastero. Ero ormai sulla via del ritorno, ma all’improvviso mi sono ammalato e non riesco più a camminare per il dolore alle gambe; per questo ho dovuto prendere in affitto una camera. Ma non temere, servo di Dio! Sarai pagato.

— Non ho bisogno di denaro, ma vi servirò con piacere, nei limiti delle mie forze, per amore del Nome di Dio. E così rimasi con lui e appresi dalla sua bocca molte cose edificanti. Mi raccontò dell’ Athos, la Montagna Santa, dei molti e grandi asceti che vi vivono, degli eremiti e dei reclusi. Aveva con sé una Filocalia in lingua greca e un libro di Isacc il Siro. Quindi leggemmo insieme e confrontammo la traduzione slava di Paisij Velitkovskij [1] con l’originale greco. Alla fine egli disse che era impossibile tradurre dal greco in lingua slava la Filocalia con più precisione e fedeltà di quanto avesse fatto Paisij. Mi accorsi poi che pregava incessantemente e che era assai addentro nella preghiera interiore del cuore; allora lo interrogai su questo argomento. Egli, che parlava il russo assai bene, mi espose volentieri molte cose su questo argomento e io lo ascoltavo con attenzione, trascrivendo anche alcune sue parole. Ecco, ad esempio, come mi spiegò l'eccellenza e la grandezza della Preghiera di Gesù:

— La grandezza della Preghiera di Gesù si rivela sin dalla sua forma, che consiste di due parti; la prima, Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, rimanda l’intelletto alla storia della vita di Gesù Cristo o, come dicono i santi Padri, «riassume in sé l’intero Vangelo»; la seconda parte, abbi pietà di me peccatore, rappresenta efficacemente la storia della nostra condizione di debolezza e peccato. L’aspirazione e la preghiera di un’anima peccatrice, ma umile e semplice, non possono essere espresse in maniera più saggia, precisa e sostanziale che con queste semplici parole: abbi pietà di me. Nessun'altra espressione potrebbe essere così essenziale e completa, come lo è questa. Ad esempio, se dicessimo: «perdonami! rimetti i miei peccati! purificami dalle colpe! cancella i miei crimini!», questo significherebbe soltanto che la nostra anima paurosa e negligente chiede di evitare il castigo. L'espressione abbi pietà di me manifesta invece non solo il desiderio — dettato dal timore — di essere perdonati, ma anche il gemito dell’amore filiale che confida nella misericordia di Dio e riconosce umilmente la propria incapacità di sottomettere la volontà e di avere uno spirito vigilante; è un’invocazione di misericordia, cioè non solo un’implorazione di remissione dei peccati ma anche una richiesta del dono divino della fortezza spirituale, un dono che rinsalda la resistenza alle tentazioni e consente di sconfiggere l’inclinazione
al peccato. E come se un povero debitore chiedesse al buon creditore non solo di rimettergli il debito ma anche di fargli l’elemosina per la sua estrema miseria. È come se queste parole profonde, abbi pietà di me, significassero: «Signore misericordioso! Perdona i miei peccati e aiutami a correggere la mia vita, infondi nella mia anima una forte aspirazione a seguire i tuoi comandamenti, concedimi la grazia del perdono dei miei peccati e di rivolgere la mia mente distratta, la mia volontà e il mio cuore a Te solo».

Trascorsi circa cinque giorni con questo starec, sinché egli cominciò a recuperare le forze e a sentirsi meglio. Fu un periodo così istruttivo per me che quasi non mi accorsi del passare del tempo; vivemmo in quella cameretta come in un eremo, senza occuparci di nulla se non di pregare in silenzio, invocando il Nome di Gesù Cristo, oppure di conversare, unicamente sulla preghiera interiore.

 

[1] Autore dell’edizione slava della Filocalia (raccolta di testi di ascetica e mistica della Chiesa cristiana ortodossa) apparsa nel 1794.

Racconti di un pellegrino russo, a cura di Aleksej Pentkovskij, presentazione di Aldo Ferrari, introduzione di Tomáš Špidlík, Città Nuova, Roma 1997, pp. 231-233.