Sandro Botticelli, La nascita di Venere (1485)

       

Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, detto Sandro Botticelli (Firenze, 1445 - Firenze, 1510)

La nascita di Venere

1485 ca.

tempera su tela, 172,5×278,5 cm

Firenze, Galleria degli Uffizi

 

Da sempre la Venere di Botticelli è considerata il prototipo femminile della bellezza ideale, come il David di Michelangelo, che un tempo si ergeva monumentale all’ingresso di Palazzo Vecchio a Firenze, lo è per il canone maschile.

Contrariamente al titolo con cui è noto, il dipinto raffigura l’approdo di Venere sull’isola di Cipro, sospinta dalla coppia di venti Zefiro e Aura e accolta sulla costa da una giovane donna, identificata con l’Ora della primavera, che le porge un manto rosa ricamato di fiori. Ispirato a una delle Stanze di Poliziano, il dipinto celebra Venere quale simbolo dell’Amore e della Bellezza, secondo l’interpretazione neoplatonica offerta da Marsilio Ficino, fondatore dell’Accademia Platonica fiorentina.

Non si hanno notizie riguardo il committente, benché sia ragionevole ricercarlo nell’ambito della casata de’ Medici. Il dipinto è menzionato per la prima volta nel 1550 da Giorgio Vasari, che lo ricorda insieme alla Primavera nella villa medicea di Castello, che all’epoca di Botticelli era di proprietà dei fratelli Giovanni e Lorenzo de’ Medici, cugini del Magnifico.

Le forme, nette e sinuose, rivelano un sapiente uso del disegno e della linea di contorno e trovano la loro sublimazione nel nudo statuario di Venere. La posa della dea, con l’equilibrato contrapposto chiastico, deriva dal modello antico della Venus pudica (che si copre con le braccia il seno e il basso ventre), mentre la plasticità delle carni contrasta con la resa a-prospettica della spazialità, indicativa della nascente crisi degli ideali umanistici del primo Quattrocento.

La Venere del Botticelli è diventata ormai una specie di ‘logo’, simbolo convenzionale della bellezza. Ma proviamo a soffermarci sull’immagine, a riscoprire l’avvenenza della giovane donna qui raffigurata come se la guardassimo per la prima volta. Non è facile ma l’esperienza del bello non tollera uno sguardo distratto. Ognuno di noi conosce l’importanza dello sguardo dell’altro che ci dice “come sei bello!”. Allora, tornando a guardare la Venere davvero, notiamo la sua nudità, la semplicità con cui espone il suo corpo: un corpo umano, femminile, accarezzato dai venti, in armonia con l’ambiente naturale. L’essere umano è bello, stupendo il suo corpo, magnifico il suo ‘funzionamento’, ammirabile il modo in cui esso si apre al rapporto con gli altri e all’amore. Alla domanda del salmista, «quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi?» segue subito la risposta: «Davvero l'hai fatto poco meno di un dio,di gloria e di onore lo hai coronato» (Salmo 8,4-6). Il nostro corpo è coronato di una bellezza particolare, diversa eppure riconoscibile in ognuno di noi.

D’altra parte, continuando a osservare la Venere, notiamo il gesto delle mani, le dita a coprire il seno, la chioma con cui quasi si nasconde, il velo che le viene offerto dalla figura sulla destra. La bellezza del nostro corpo è un tesoro prezioso, e proprio per questo merita rispetto: in primo luogo da noi stessi e poi anche da parte degli altri. Usiamo una parola che suona un po’ antica: pudore. Che non significa vergognarsi di come siamo (lo abbiamo detto: l’essere umano è bello!) ma, tutto al contrario, renderci conto del valore della nostra bellezza e proteggerla, custodirla, per essere poi capaci di donarla agli altri con gesti di amore, fra i quali il più alto e santo è il gesto con il quale i coniugi trasmettono la vita.

Quante cose ci insegna Venere! Bellezza come qualità propria dell’umano e pudore come consapevolezza del valore della propria corporeità. Proviamo a guardarci e impariamo a guardare gli altri con la cura e i sentimenti che ci ispirano questo dipinto…