Raffaello Sanzio, La Scuola d’Atene (1510-1511)

 

Raffaello Sanzio (Urbino 1483 - Roma 1520)

La Scuola di Atene
1508-1511
Affresco
Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura

   

L’ambiente era in origine destinato a ospitare la biblioteca privata del pontefice Giulio II della Rovere, e pertanto gli affreschi sulle pareti rimandano alle “facoltà” della cultura umanistica: Teologia, Poesia, Giurisprudenza e Filosofia. Negli anni ‘40 del Cinquecento si insedierà in questo spazio il Tribunale ecclesiastico della Signatura Gratiae, da cui il nome della stanza.

All’interno di una monumentale architettura classica, filtrata dalla lezione del conterraneo Donato Bramante, Raffaello illustra la Filosofia dall’antichità all’età a lui contemporanea, rappresentando i massimi esponenti delle più importanti correnti di pensiero. Al centro, in corrispondenza del punto di fuga della composizione, Platone, raffigurato con le sembianze di Leonardo da Vinci, tiene in mano il Timeo e indica verso l’alto (l’Iperuranio), mentre alla sua destra Aristotele tende una mano verso la terra e con l’altra porta l’Etica Nicomachea. La figura di Eraclito in primo piano, abbigliato in vesti contemporanee, costituisce un omaggio a Michelangelo Buonarroti, che negli stessi anni attendeva alla volta della Cappella Sistina.

All’estrema destra della composizione compare l’autoritratto di Raffaello che guarda l’osservatore.

Alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano è conservato il cartone preparatorio a carboncino e biacca, che è stato oggetto di recente restauro.

Entriamo in quella che era la biblioteca privata di papa Giulio II, nella Sala della Segnatura. Davanti ai nostri occhi si affollano le immagini che Raffaello ha affrescato sulle quattro pareti. Forme e colori che mostrano scene concrete ma suggeriscono messaggi nascosti, da scoprire: le rappresentazioni della teologia, della poesia e della giurisprudenza sono disposte su tre pareti, la quarta è riservata alla filosofia.

Veniamo così trasportati ad Atene, in una scuola ideale dove i filosofi di tutti i tempi sono radunati e impegnati in profonde discussioni. Al centro della scena, subito l’occhio è attratto da due personaggi: sono Platone, il più anziano, e Aristotele, il più giovane, che posti sotto un’alta volta, sembrano dirsi l’un l’altro qualcosa di estremamente importante.

Platone addita il cielo, ha in mano uno dei suoi più noti dialoghi, il Timeo, nel quale viene affrontato il problema dell’origine del cosmo e viene introdotta la figura del Demiurgo, colui che ha plasmato la materia. Che cosa dice quell’indice puntato verso l’alto? Che la conoscenza tende a ciò che vi è di più alto: conoscenza del tutto, conoscenza dell’origine, conoscenza del fondamento. Non ci possiamo accontentare di piccole verità parziali: la nostra sete di sapere è de-siderio, volontà di strappare alle stelle il loro segreto.

Accanto a Platone, Aristotele sembra rispondere e controbattere qualcosa: una mano è protesa in avanti e rivolta verso la terra, nell’altra tiene l’Etica Nicomachea, in cui si riflette sul fine della vita umana e sulla sua felicità. Che cosa suggerisce quel palmo rivolto verso il basso? Che la nostra è conoscenza humana, appartiene a quell’essere che viene dall’humus, la terra, e che non può pretendere di spiegare le cose più alte e difficili senza partire dalle realtà più semplici e concrete, più umili.

Chi ha ragione tra Platone e Aristotele? Chi ha sete di conoscere, verso dove dovrà guardare: verso l’alto o verso il basso? Partirà dal cosmo o partirà dall’uomo? Ed io, dove mi colloco all’interno dell’affresco?

Intorno ai due grandi filosofi si accalcano molte persone, probabilmente altri pensatori che desiderano intervenire, ognuno parteggia per l’uno o per l’altro. Riconosciamo Socrate, sulla sinistra, che non si stanca di parlare con i suoi concittadini, mettendo in pratica l’arte maieutica. Seduto più in basso, con aria pensosa, c’è Eraclito (“tutto scorre”) e accanto a lui, quasi sdraiato sulla scalinata, il cinico Diogene. Più a destra, Euclide che illustra qualche figura geometrica ai suoi allievi, e un po’ più in là, con in mano la sfera celeste, troviamo Tolomeo. Non è un caso che questi ultimi siano uomini di scienza: fino al Settecento gli scienziati si definivano “filosofi naturali”. Non c’è da stupirsi, d’altra parte filosofi e scienziati sono tutti cercatori di verità.

Se guardi a destra, seduto alla base di una colonna, ci sono io che prendo appunti, scrivendo sul mio quaderno. Sento i discorsi di tutti, prendo nota di tutto e cerco la verità. Qui intorno ci sono tanti pensatori, e non è un caso: questa è la Scuola di Atene, questa vorrei dire è la scuola, un luogo dove nessuno ha la verità tutta intera ma in cui le diverse voci, di chi insegna e di chi impara, di chi spiega e di chi domanda, contribuiscono a condurre tutti a una verità che sempre ci supera, che tiene insieme il basso e l’alto, la terra e il cielo, l’umano e il divino.

Prendi carta e penna, trovati il tuo angoletto e vieni anche tu alla Scuola di Atene.

 

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