Simone bar Giona, chiamato Pietro: una vita accanto a Gesù

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Duccio di BuoninsegnaVocazione di Pietro e Andrea (1308-1311)

Strano destino quello di Simone, pescatore di Cafarnao, figlio di Giovanni (bar Giona, in ebraico), che da membro di una piccola azienda di pesca, proprietaria di due o forse tre grosse barche, si ritrova in poco tempo a capo di un gruppo di ebrei che cominciano a proclamare ai quattro venti la risurrezione dai morti di Gesù di Nazaret, ucciso dai romani a Gerusalemme attorno all’anno 30 della nostra era. Un cambio radicale, riflesso anche nel cambiamento del suo nome, da Simone bar Giona a Cefa (dal greco kephalé, capo), poi ulteriormente determinato come Pietro (Petros in greco), un nome mutuato dal sostantivo “pietra” (cf. Giovanni 1,42; Matteo 16,16) con l’esplicita intenzione di indicare stabilità e fondamento. Simon Pietro guiderà la comunità dei discepoli di Gesù a Gerusalemme, si stabilirà per qualche anno ad Antiochia e infine giungerà a Roma in compagnia dell’evangelista Marco, diventando il primo vescovo di questa città.

Ma chi era questo pescatore e come giunge, dalle rive del lago di Cafarnao, a guidare il movimento religioso che ha maggiormente influito sulla storia del mondo Occidentale? E perché la sua biografia è così strettamente intrecciata con quella di Gesù di Nazaret? Simone non era un filosofo né una guida spirituale, non era un combattente né un governante, ma solo un pescatore. Il suo temperamento impulsivo e il suo modo di pensare, a dir la verità piuttosto pratico, appaiono ben delineati in numerosi episodi dei quattro Vangeli e degli Atti degli Apostoli. La sua biografia segue assai da vicino la vita pubblica, la predicazione e le opere Gesù di Nazaret; anzi, si potrebbe quasi ripercorrere la vita del Maestro di Galilea attraverso i commenti e le reazioni, i gesti e le parole, gli slanci e i tradimenti di Pietro. Il pescatore di Cafarnao è coetaneo di Gesù, o forse ha solo qualche anno più di lui. Della sua famiglia sappiamo poco, tranne il nome di un fratello, Andrea, anch’egli membro del gruppetto dei “dodici” nominati da Gesù perché lo seguissero più da vicino, e il fatto che fosse sposato, perché i vangeli menzionano sua suocera, ma non sua moglie. Forse perché già vedovo? Pietro tratta Gesù con rispetto e deferenza, colpito dai suoi miracoli e dalla sua predicazione, ma talvolta sembra tenergli testa, ponendogli domande e perfino dirigendogli qualche imprudente rimprovero. Pietro è un personaggio intraprendente e volitivo. Spesso è lui che prende la parola a nome dei dodici, sbloccando situazioni delicate, talvolta imbarazzanti. È l’unico, fra i dodici, capace di dire a Gesù di Nazaret ciò che il Maestro dovrebbe o non dovrebbe fare, passando in meno di 5 minuti dal ricevere il più grande onore riservato a un uomo sulla terra – a te darò le chiavi del Regno del Cieli, gli promette Gesù – a meritare poco dopo, sempre dalla bocca Gesù, l’appellativo di satana, perché cerca di distoglierlo dalla decisione di andare incontro alla croce. I Vangeli ci trasmettono dei frequenti “duetti” fra lui e il Maestro, sotto forma di battute con botta e risposta, nelle quali Pietro spesso si ricrede, cambia idea, cede, non senza qualche protesta. È così vivace il rapporto fra i due, che seguendo le vicende della vita di Simon Pietro possiamo agevolmente seguire gli episodi più significativi della vita del Messia: conoscendo i pensieri e le reazioni del primo, veniamo e conoscere le intenzioni e gli insegnamenti del secondo.

È il lago di Cafarnao – conosciuto anche come lago di Tiberiade, città più a sud sulla costa, e anche lago di Genesaaret – il teatro di molti di questi episodi. Qui Gesù chiama Simone, annunciandogli che diventerà «pescatore di uomini» (cf. Matteo 4,18-19); in queste acque avviene il miracolo della pesca miracolosa, che spinge Pietro a gettarsi ai piedi di Gesù, chiedendogli di allontanarsi da lui, perché povero peccatore (cf. Luca 5,8). La presenza di Cristo-Messia fa percepire a Pietro la densità di un potere divino, di una santità, che l’essere umano non sembra poter reggere, come quando si sta di fronte al mistero Assoluto, tremendo e fascinoso, che spaventa e attrae. È ancora in questo lago che, durante una tempesta notturna, dove Gesù di Nazaret apparirà ai suoi discepoli camminando sulle acque, mentre sono sulla barca, seminando lo sconcerto. Pietro non ci sta: se sei veramente tu e non un fantasma, dice a Gesù, ordinami di venire sulle acque verso di te. All’ordine del Maestro, vieni!, Pietro comincia a camminare sulle acque per un po’, ma a un tratto affonda, venendo subito afferrato con forza da Gesù, dal quale ascolta poi un sonoro rimprovero: uomo di poca fede, perché hai dubitato? (cf. Matteo 14,24-33). Tra i due c’era tanta confidenza da poter chiedere una simile prova… e forse, perché no?, ce n’era anche tanta da poter coinvolgere Pietro in uno scherzo…

Simon Pietro conosceva bene Gesù. Ne aveva ascoltato a lungo gli insegnamenti, accogliendolo spesso nella sua casa. Gli aveva posto interrogativi e gli aveva chiesto spiegazioni, in privato, sul significato delle parabole. In un’occasione, forse sfogandosi, era arrivato a chiedere a Gesù cosa ci guadagnano, coloro che lo hanno seguito, rispetto a tutti gli altri che prendono la vita assai più comodamente, dando al Maestro la possibilità di parlare del “cento per uno” riservato in premio ai suoi discepoli (cf. Matteo 19,27-29). Pietro si era fatto un’idea di chi avesse davanti: Gesù di Nazaret non era un semplice profeta, ma il Messia atteso, il Figlio di Dio. La frequentazione personale e l’intima conoscenza che egli aveva di Lui, consente al pescatore di Cafarnao di rispondere a domande impegnative, prendendo spesso la parola a nome di tutti. A Gesù che chiede ai dodici «voi chi dite che io sia?», Pietro risponderà senza tentennamenti: tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente (cf. Matteo 16,13-19). E sarà ancora lui a prendere la parola in circostanze delicate, quasi drammatiche, quando Gesù, insegnando nella sinagoga della città di Pietro, Cafarnao, parla senza mezzi termini del suo corpo e del suo sangue offerti in sacrificio, spiegando che questi sarebbero divenuti cibo e bevanda per i suoi discepoli. Nessuno comprende questo linguaggio, duro, oscuro, e tutti vanno via, abbandonando il Maestro. Ai dodici Gesù chiede schiettamente: «Volete andarvene anche voi? Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”» (Giovanni 6,67-69).

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Pietro Perugino, Consegna delle chiavi (1481-1482) 

Pietro presenzia ai miracoli più importanti, invitato da Gesù a seguirlo più da vicino insieme con Giacomo e a Giovanni. Assiste alla “trasfigurazione” di Gesù, un episodio di alto valore mistico in cui Egli muta d’aspetto ed è visto conversare con Mosè ed Elia; restandone estasiato, Pietro afferma fuori di sé: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Matteo 17,4).

Lo stretto rapporto fra Gesù e Simon Pietro fa sì che quest’ultimo sia ancora protagonista dei principali eventi che riguardano la passione, morte e risurrezione del Messia. Il carattere impulsivo e anticonformista di Pietro emerge già nelle prime battute dell’ultima cena. Gesù si inginocchia, si cinge di un asciugamano e comincia a lavare i piedi agli apostoli. Giunto al posto di Pietro, la reazione di questi si fa sentire subito: “Tu lavare i piedi a me? Non se ne parla neanche!”. Gesù lo avverte che se non accetterà questo gesto, dal significato profondissimo, resterà separato da lui. «Se non ti laverò – afferma Gesù – non avrai parte con me» (Giovanni 13,8). La risposta di Pietro non si fa attendere: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!» (Giovanni 13,9). Pietro ama Gesù: la sua impulsività lo porterà a promettergli una fedeltà indiscussa, proprio in quel frangente in cui la vita del Maestro appare già in pericolo. Anche se tutti si scandalizzeranno di te – Simon Pietro assicura – io non mi scandalizzerò mai: sono disposto a morire per te; anche se dovessi morire, non ti rinnegherò mai (cf. Matteo 26,33-36). Ma non sarà così. Poche ore dopo l’arresto di Gesù, Simon Pietro rinnegherà per ben tre volte il suo Signore, dichiarando pubblicamente di non conoscerlo (cf. Matteo 26,74-75). È notte. Basterà uno sguardo di Gesù, uscito dal giudizio del Sinedrio, per convertire il pescatore di Cafarnao, chiamato a missioni straordinarie, ma ancora sotto il peso dei suoi limiti. Annota l’evangelista Matteo: «Pietro si ricordò della parola di Gesù che aveva detto: “Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte”. E uscito fuori, pianse amaramente”» (Matteo 26,75).

Seguirà da lontano lo scandalo della croce e la morte del Messia, ma all’alba del primo giorno dopo il sabato, subito dopo l’annuncio della Maddalena che comunica di aver trovato il sepolcro aperto e vuoto, senza il corpo di Gesù, è il primo insieme a Giovanni a correre alla tomba del Maestro (cf. Giovanni 20,1-9). Gesù Cristo Risorto gli apparirà, dapprima a lui solo, sostengono Luca evangelista e Paolo di Tarso, e poi insieme con tutti gli altri apostoli, nel cenacolo di Gerusalemme. In una pagina del vangelo di Giovanni, dai toni mistici e altamente simbolici, che narra un’apparizione del Risorto sul lago di Cafarnao, dove la storia di Simone aveva avuto inizio, Pietro si butta dalla barca nel lago, seminudo, per andare incontro a Gesù fermo sulla spiaggia. Questi gli chiederà adesso di riparare il suo triplice rinnegamento con una triplice confessione di amore, annunciandogli poco dopo il martirio che avrebbe dovuto affrontare per Lui (cf. Giovanni 21,15-18). Siamo attorno all’anno 30. Pietro guida l’apostolato della Chiesa nascente tenendo un discorso programmatico a Gerusalemme, nel giorno di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Risurrezione. Non teme di essere imprigionato e predica con coraggio gli insegnamenti del suo Signore. Subirà il martirio a Roma, nell’anno 67, sotto l’imperatore Nerone, durante una durissima persecuzione narrata dallo storico Tacito nei suoi Annales. Crocifisso a testa in giù, forse cosparso di pece e arso vivo, come i suoi fratelli cristiani con l’accusa pretestuosa e ingiusta, così qualificata anche da Tacito, di aver appiccato il fuoco dell’incendio di Roma. La cristianità ha conservato i suoi resti, custoditi oggi nella necropoli sotto la basilica che porta il suo nome, San Pietro, a Roma.