Va, pensiero

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Giuseppe Verdi (1813-1901)

L’ideale e il desiderio di libertà hanno ispirato opere letterarie, rappresentazioni teatrali, componimenti musicali. È il caso del coro Va pensiero, una delle melodie più note e amate dal popolo italiano, testimone di una pagina specifica nella storia di questo Paese. Tratta dall’opera lirica Nabucco (1842) di Giuseppe Verdi, su libretto di Temistocle Solera, l’aria del coro Va, pensiero si colloca nel terzo atto ed è intonata sulla scena dal popolo ebraico, sconfitto dal re babilonese Nabucodonosor. Il librettista Solera esprime attraverso le parole degli ebrei lo sconforto e la nostalgia per la loro terra «bella e perduta». Il popolo “spinge” il pensiero sulle colline del «suolo natal», a rivedere le torri distrutte di «Sionne» (Sion, l’altura nei pressi della città vecchia di Gerusalemme, indicata come «Solima» nei versi dell’aria). Ispirato al Salmo 137, il coro ne riprende in maniera puntuale alcune immagini, come l’arpa appesa al salice, ormai «muta», cioè incapace di rallegrare con il proprio suono la tristezza del popolo ebraico: «Lungo i fiumi di Babilonia,là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre, perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: "Cantateci canti di Sion!"». Il pubblico italiano, impegnato nelle lotte risorgimentali contro la dominazione austriaca, accolse l’opera e in particolare il coro del Va, pensiero con grande entusiasmo, rispecchiandosi nel dolore del popolo ebraico sconfitto e nella sua aspirazione a liberarsi dall’oppressore straniero. Ben presto lo stesso Verdi divenne punto di riferimento delle lotte risorgimentali per la liberazione dell’Italia: nelle scritte VIVA VERDI comparse sui muri di città dominate dagli austriaci, come Milano e Venezia, i patrioti nascondevano il messaggio “Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia”. Il messaggio di libertà del Va, pensiero arriva a noi come un’esortazione all’autodeterminazione dei popoli, capaci di scegliere e di costruire il proprio futuro.

Va, pensiero, sull'ali dorate;
va, ti posa sui clivi, sui colli,
ove olezzano tepide e molli
l'aure dolci del suolo natal!

Del Giordano le rive saluta,
di Sionne le torri atterrate.
O, mia patria, sì bella e perduta!
O, membranza, sì cara e fatal!

Arpa d'or dei fatidici vati,
perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
ci favella del tempo che fu!

O simile di Sòlima ai fati
traggi un suono di crudo lamento,
o t'ispiri il Signore un concento
che ne infonda al patire virtù!