Caravaggio, La vocazione di San Matteo (1599)

  

Michelangelo Merisi detto Caravaggio (Milano 1571 - Porto Ercole 1610)

Vocazione di San Matteo
1599-1600

Olio su tela, 322x340 cm
Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli

    

Caravaggio realizza la tela come laterale sinistro della cappella del cardinale francese Mathieu Cointrell, in San Luigi dei Francesi, insieme al Martirio di San Matteo (laterale destro) e alla pala d’altare con San Matteo e l’angelo. Si tratta della prima committenza pubblica dell’artista lombardo, che ha l’occasione di cimentarsi con la pittura sacra. La volta è decorata con affreschi del Cavalier d’Arpino (1591-1593). 

L’opera fissa il momento in cui Matteo Levi, il pubblicano, viene chiamato all’apostolato: Cristo rivolge la mano destra verso di lui, nel gesto che richiama la Creazione di Adamo di Michelangelo nella Cappella Sistina, ed è affiancato da Pietro, immagine della Chiesa mediatrice tra umano e divino. Il fascio di luce che parte dall’alto e segue il profilo del braccio di Gesù investe Matteo, identificabile o con il gabelliere seduto in fondo al tavolo, o, secondo un’altra interpretazione, con l’uomo con la barba che indica verso se stesso o verso il medesimo giovane intento a contare le monete dei tributi.

La luce ha un chiaro significato simbolico in quanto segno della grazia di Cristo e della Sua salvezza offerta all’intera umanità, mediata dal magistero della Chiesa di Roma.

«Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”» (Matteo 9,9). Matteo è un esattore delle tasse, la sua vita scorre sui binari del dovere e del denaro, non gode della simpatia dei suoi concittadini ebrei, vessati dai tributi imposti dagli invasori romani, e le sue preoccupazioni sono quelle concrete di uno scrupoloso contabile. Caravaggio lo ritrae al tavolo dove è intento a svolgere il suo compito, intorno a lui due giovani da un lato, dall’altro un vecchio e un uomo concentrato nell’atto di contare i danari.
Nel buio della stanza dove si trova irrompe una luce, che si va a posare proprio su di lui: Matteo volge il capo verso la sorgente di questo inaspettato chiarore e vede Gesù che solleva la mano e lo indica.
“Parli con me?”, sembra dire il suo gesto, che puntando l’indice contro il petto pare prolungare il gesto di Gesù, a completarne e a chiarirne il senso. Il destino di Matteo si trova improvvisamente a una svolta, dovuta a una precisa chiamata che ha il carattere personale di un gesto compiuto, di un gesto ricevuto e accolto, diretto proprio a lui. Nel bel mezzo dell’abituale esercizio del suo compito, peraltro così controverso nell’ambito della società del tempo, irrompe un evento che modifica il corso della sua esistenza, indirizzandolo verso una vita che non avrebbe mai potuto immaginare.
Intorno a Matteo, gli altri personaggi assistono alla scena ma non prendono parte a quello che rappresenta un momento singolare e decisivo della vita di quello che diventerà uno degli apostoli. C’è chi si accorge della presenza di Gesù di Nazaret, chi è inondato dalla luce ma sembra non cogliere appieno la portata di quanto sta accadendo; c’è chi rimane nell’ombra con la testa china sul tavolo, a contare il denaro e a sbrigare gli affari.
Il destino può chiamare chiunque, ma ognuno in modo diverso, specifico e personale. Caravaggio ritrae i personaggi trasportandoli dalla Palestina del I secolo alla Roma del suo tempo: gli abiti, i cappelli, la spada del personaggio di spalle indicano che la chiamata di Gesù, capace di determinare una svolta nella vita, giunge lì dove ci si trova, in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo, ma sempre in una maniera unica e irripetibile.
Il quadro ci fa vedere il momento immediatamente precedente a quello in cui si decide il destino di Matteo il quale, ci dice il Vangelo, «si alzò e lo seguì». Il destino ci sorprende, spesso modifica i nostri piani e può anche sconvolgere la nostra quotidianità, ma non si attua in maniera indipendente dalla nostra volontà. La chiamata rivolta da Gesù di Nazaret è un appello alla libertà, e come tale attende una risposta attiva e creativa. Matteo «si alzò e lo seguì», e con questo duplice movimento abbracciò il proprio destino. Quello che ci mostra Caravaggio, dunque, non è il fato, un futuro già scritto, ma l’apertura inattesa di un nuovo orizzonte, preludio di una risposta libera.
Nel cristianesimo il destino ha un nome, vocazione, ed è questo il titolo del dipinto. La vocazione, tuttavia, non è un privilegio o un destino riservato a pochi: tutti gli esseri umani sono destinati, in Cristo, a partecipare della vita di Dio come figli nel Figlio. Il cristianesimo sostiene che ogni essere umano riceve una prima, radicale vocazione: la chiamata all’esistenza. La vita è risultato di una chiamata. La Parola che crea il mondo e crea tutte le cose, chiama alla vita ogni essere umano che apre gli occhi sul mondo.
Il dito di Matteo è allora il nostro dito: perché proprio io? Perché proprio io sono venuto al mondo, in questo luogo, in questo contesto, in questo tempo. Perché esisto? A questa chiamata ognuno è invitato a rispondere. È imbarcato, non può scendere dal treno della storia. Deve scegliere: vivere in modo indifferente rispetto alle grandi domande dell’esistenza, oppure scegliere di vivere responsabilmente, di fronte a se stesso e agli altri, appassionandosi a scoprire il proprio destino.