Il senso della bellezza

(Svizzera, Italia 2017, col, 75') di Valerio Jalongo

Mentre il nuovo esperimento del CERN procede nella sua esplorazione della misteriosa energia che anima l’universo, scienziati e artisti ci guidano verso quella linea d’ombra in cui scienza e arte, in modi diversi, inseguono verità e bellezza. Tra queste donne e questi uomini alcuni credono in Dio, altri credono solo negli esperimenti e nel dubbio. Ma nella loro ricerca della verità, tutti loro sono in ascolto di un elusivo sesto, o settimo, senso… il senso della bellezza.

(dalla pagina web della casa di produzione Officine Ubu)

Cosa accomuna gli scienziati agli artisti? Perché un luogo di ricerca di eccellenza, come i laboratori di fisica nucleare del CERN di Ginevra, sente il bisogno di ospitare riflessioni sull’arte? Il docufilm realizzato dalla RAI – un esempio di accuratezza scientifica e di grande senso estetico, dove la bellezza della natura si fonde e confluisce nella bellezza degli strumenti creati dall’uomo – cerca di rispondere a queste domande. Entriamo nel sottosuolo che alloggia il più grande acceleratore di particelle del mondo, 27 km di diametro, e ascoltiamo le testimonianze di fisici di tutto il mondo su cosa voglia dire “studiare la struttura della materia”, scoprire come è fatta, quali sono le basi – materia, energia, informazione – su cui il nostro universo è edificato. Scopriremo una sorprendente analogia: anche gli scienziati, proprio come gli artisti, sono chiamati a rendere visibile l’invisibile. Diversamente da chi studia le dimensioni macroscopiche della materia, chi invece ne investiga l’intima struttura, studiando le particelle subatomiche e rivelando le fonti nascoste dell’energia, deve dedurre da effetti indiretti ciò che in sé resta invisibile e non è direttamente misurabile. E, come gli artisti, anche gli scienziati sono guidati dal senso della bellezza. Oltre ai cinque sensi che guidano la conoscenza sperimentale, è questo il “sesto senso” che sembra presiedere lo studio della struttura dell’infinitamente piccolo, retto da incredibili simmetrie e da processi ricorrenti, quasi danze infinitesimali che si rincorrono con una precisa armonia. Come afferma uno degli scienziati intervistati nel docufilm, il grande acceleratore del CERN non sta scoprendo solo il fondamento della materia, ma forse sta scoprendo anche il fondamento della bellezza.

Tutto ciò che è visibile – montagne, animali, cielo stellato –, è fatto di particelle invisibili. Per studiare l’intima struttura di cui sono fatte tutte le cose occorre allora cercare impronte, orme di energia, effetti che rivelino in modo visibile ai sensi – immagini fotografiche, livelli di energia, numeri su un tabulato – la presenza di ciò che è invisibile. Per poterlo fare occorreva la più grande macchina mai costruita da esseri umani. Una macchina “poetica”, che non fabbrica prodotti ma cerca risposte, dove lavorano oltre 10.000 ricercatori di 100 paesi diversi, tutti accomunati – come spiega la direttrice del CERN Fabiola Gianotti – da una “grande passione per la conoscenza” che trascende le culture e le religioni divenendo il linguaggio universale con il quale tutti comunicano e si intendono. La costruzione del CERN e del suo grande acceleratore ha molto in comune con la costruzione delle grandi cattedrali gotiche del medioevo. Non vi è un solo autore che abbia dato origine a un’impresa del genere: sono stati in tanti, e tutti insieme la elevano verso l’alto. È un’intera cultura, quella artistica e quella scientifica, consolidate in secoli di vita, che hanno fatto emergere il Duomo di Chartres e il Large Hadron Collider del CERN (LHC).

Con questo strumento, fra il 2012 e il 2013 è stato scoperto e confermato il bosone di Higgs, la particella che completa in modo supersimmetrico il modello standard delle particelle elementari, rivelando così che l’intima struttura della materia e le leggi fondamentali della fisica sembrano un gioco di specchi, quasi una magia. Durante i maggiori esperimenti, gli strumenti che studiano l’interazione delle particelle alle più alte energie (13 Tera EV) impiegano centinaia di milioni di canali che devono essere sintonizzati al miliardesimo di secondo. 500mila miliardi di particelle, stretti da 24 km di magneti in due fasci più sottili di un capello umano percorrono l’anello di 27 km alla velocità della luce e producono un miliardo di collisioni al secondo. Quando si sperimentano gli effetti di collisioni energetiche mai provate prima, come il CERN fa di tanto in tanto quando spinge al massimo le sue capacità, è come entrare in una “stanza buia”: non si sa cosa ci attende. Nessuno conosce in precedenza quali e quante particelle quella energia che verrà adesso prodotta lascerà poi trasformare in materia. Siamo ancora alle prese con l’invisibile e su come renderlo accessibile

Il mondo subatomico, spiegano i ricercatori del CERN, è alla ricerca di metafore, non facili da trovare. Mentre fenomeni macroscopici hanno dato origine ad immagini che cercavano di catturarne le caratteristiche – si pensi alla natura rappresentata come un orologio, o come un libro – ciò che accade al di sotto del livello degli atomi sembra non avere punti di appoggio nella nostra immaginazione. Ciò rende il dialogo fra scienziati e artisti ancora più stimolante. “Gli artisti, come gli scienziati, cercano di capire la condizione umana, l’universo che ci circonda”, afferma un ricercatore intervistato. “Qui al CERN affrontiamo gli stessi problemi metafisici che interrogavano Paul Gauguin nel momento in cui realizzò il suo famoso dipinto intitolato Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo…?

L’autentico incrocio fra arte e scienza si realizza attorno a un’esperienza di rivelazione. Un bellissimo esperimento scientifico è un’opera d’arte. Riappare allora, con insistenza, la domanda sulla bellezza, su cosa essa sia, sul perché noi la percepiamo, la riconosciamo senza saperla spiegare né definire. È però una bellezza nascosta… che bisogna rivelare, anche con gli strumenti della scienza. La bellezza è fuori di te o dentro di te? La vedi con i tuoi occhi o la senti con il tuo cervello?, si chiedono gli scienziati. Le loro risposte sono diverse e risentono, in certo modo, anche delle loro tradizione culturali. I ricercatori occidentali sottolineano l’aspetto oggettivo e realista delle leggi di natura e della loro bellezza; coloro che provengono da una tradizione orientale, enfatizzano la loro dimensione soggettiva, quasi mentale… Vi è però una preponderanza, fra i ricercatori del CERN, a considerare la natura e la realtà come qualcosa fuori di noi stessi, qualcosa con cui ci confrontiamo e da cui impariamo. Quasi tutti condividono l’intuizione che dietro, e alla base dell’universo, ci sia una suprema semplicità. Si tratta, tuttavia, di una semplicità che lascia spazio ad imprevedibilità. Simmetria non vuol dire previsione di tutto e predicibilità assoluta. La stessa simmetria deve ammettere delle “rotture”. Se l’universo fosse solo e soltanto simmetrico, allora resterebbe come ingessato: si può restare imprigionati dentro una simmetria troppo perfetta. Il fatto che le simmetrie si possano “rompere” – come è avvenuto nei primissimi istanti del Big Bang, le cui energie l’acceleratore del CERN di Ginevra cerca progressivamente di raggiungere – è la garanzia che possano sorgere delle novità, che la storia del mondo mantenga la sua creatività. L’uomo rincorre le energie e le temperature che diedero origine all’intero cosmo, 13.7 miliardi di anni fa. Ad esse si avvicinerà assai di più il Future Hadron Collider, che il CERN prevede come successore dell’LHC, un anello con una circonferenza di 100 km, che sarà realizzato entro il 2035. Ci si avvicina forse a conoscere, come diceva Albert Einstein, i pensieri di Dio.